domenica, Dicembre 22, 2024

Demolizioni, la Corte Europea “salva” le prime case!

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Una cosa è proteggere il diritto economico di chi costruisce violando la normativa edilizia, un’altra assicurare che la prima ed unica casa di una famiglia in difficoltà economica non venga demolita. Partiamo da questo assunto. Partiamo da quello che abbiamo sempre detto. Partiamo dal punto dove ci abbiamo messo la faccia e non solo: il diritto dei nostri concittadini a salvare la loro unica abitazione. Un diritto e una necessità che ci serve a fare i giusti distinguo: ci sono abusi e abusi. C’è chi ha speculato e chi, invece, ha sperato. Chi si è arricchito e chi, invece, si è “impoverito”.
E oggi, con un po’ di gioia prendiamo questa notizia che cambia, davvero, la storia dei nostri territori.
Abbiamo chiesto all’avvocato Bruno Molinaro di illustrarci questa sentenza, molto particolare, pronunciata dalla Corte Europea Diritti dell’Uomo, Sez. V, del 21 aprile 2016 (n. 46577/15) sul caso Ivanova e Cherkezov.
«I ricorrenti ritenevano che l’esecuzione di un ordine di demolizione della casa presso cui abitano avrebbe violato il loro diritto al rispetto della vita privata e familiare del domicilio, e che essi non avevano alcun rimedio interno per far valere una simile violazione. La signora Ivanova, in aggiunta, sosteneva che la demolizione avrebbe rappresentato un’interferenza sproporzionata rispetto ai suoi beni». Il caso, nonostante sia bulgaro, è fin troppo simile a tanti ischitani. I cittadini bulgari, impegnano tutti i loro averi e realizzano, senza titolo, una piccola abitazione. Caso come tanti.
I “parenti” della signora la denunciano e la Cassazione decreta che la casa deve andare giù. Proprio come in tanti nostri casi: abbiamo una sentenza passata in giudicato
E, proprio come accade da noi: «Una volta divenuta definitiva la decisione, la ricorrente è stata invitata ad ottemperare volontariamente alle relative statuizioni con l’avvertimento che, in mancanza, avrebbero provveduto le autorità competenti.»
La ricorrente propose appello con il quale, tra l’altro, la signora fece presente che, rappresentando la struttura oggetto del provvedimento di demolizione la sua unica abitazione, l’esecuzione di tal provvedimento avrebbe comportato considerevoli difficoltà alla signora, impossibilitata ad acquistare una nuova casa.
Ma veniamo al cuore di quanto hanno deciso i giudici europei

PRESUNTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE
I ricorrenti lamentano come la demolizione della casa da loro abitata si ponga in contrasto con il diritto al rispetto della propria casa. Essi invocano l’articolo 8 della Convenzione, che prevede, per quanto qui rileva: “1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria casa … 2. Non può esservi ingerenza da parte di un’autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza non sia prevista dalla legge e risulti necessaria in una società democratica nell’interesse della sicurezza nazionale, della pubblica sicurezza, del benessere economico del paese, della prevenzione dei reati, della protezione della salute o della morale o della protezione dei diritti e delle libertà altrui. ”
Il Governo bulgaro, ovviamente, ritiene legittima la decisione di ordinare la demolizione della casa in cui i ricorrenti vivono, essendo stata confermata anche in sede giurisdizionale e ponendosi come necessaria anche per la protezione di sicurezza pubblica.
E, giusto per collegare il caso bulgaro con noi, vi evidenzio questo passaggio: «Il Mediatore della Repubblica aveva espresso un commento su questo punto, osservando che le autorità non hanno combattuto sistematicamente le costruzioni illegali e avrebbero dovuto farlo preventivamente piuttosto che “a posteriori”». Non vi ricorda la mattanza del territorio fatta perpetrare dai nostri politici?

LA VALUTAZIONE DELLA CORTE
La denuncia non è manifestamente infondata ai sensi dell’articolo 35 § 3 (a) della Convenzione o inammissibile per altri motivi.
«Nonostante solo la signora sia proprietaria della casa, entrambi i candidati hanno infatti vissuto in esso per un certo numero di anni. Rappresenta dunque la “casa” per ciascuno di essi e l’ordine per la sua demolizione comporta un’interferenza al loro diritto al rispetto della casa abitata. Pertanto, la questione saliente è se la demolizione sia “necessaria in una società democratica”. Su questo punto, il caso assume notevole somiglianza con casi riguardanti lo sfratto degli inquilini costruzioni residenziali pubbliche e casi riguardanti lo sgombero degli occupanti di terreni di proprietà pubblica. Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte, come sostenuto anche in tali sentenze, la valutazione della necessità dell’ingerenza nei casi riguardanti la perdita della propria casa in vista di un interesse pubblico riguarda non solo questioni sostanziali, ma anche questioni procedurali: infatti occorre porsi anche il problema se il processo decisionale era tale da permettere il rispetto per gli interessi tutelati ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione. Al riguardo si può osservare che, rappresentando la perdita della propria casa la forma più estrema di interferenza del diritto di abitazione, chiunque rischi ciò (…) dovrebbe in principio poter ottenere una misura proporzionale determinata da un tribunale indipendente alla luce dei rilevanti principi affermati in quell’articolo.
I fattori che possono rilevare in tal senso, avendosi riguardo ad una costruzione illegale, sono se la casa è stata costruita in violazione di legge (pur se gli interessati lo hanno fatto consapevolmente), qual è la natura e il grado di illegalità, qual è l’esatta natura degli interessi che si mira a tutelare con la demolizione e se le persone coinvolte hanno una sistemazione alternativa adeguata. Potrebbe ancora valutarsi se ci siano modalità meno gravose per risolvere la questione; l’elenco non è esaustivo. Pertanto, se la persona interessata contesta la proporzionalità dell’ingerenza sulla base di alcune argomentazioni, i tribunali hanno l’obbligo di esaminare attentamente e di dare adeguata motivazione in relazione ad esse; occorre poi considerare la semplice possibilità di ottenere un controllo giurisdizionale della decisione amministrativa con la quale si dispone la perdita della casa che non è sufficiente: l’interessato deve essere messo in condizioni di poter contestare tale decisione, rappresentandone la ‘’sproporzione’’ in considerazione della sua situazione personale.»
C’è altro da aggiungere se non considerare che l’abuso di necessità è una realtà. Che la Corte Europea l’ha scritto nero su bianco. Che la Corte Europea Diritti dell’Uomo ha fatto giustizia in Bulgaria e, speriamo, lo faccia anche in Italia. Anche ad Ischia e Procida.
Il caso di Elizabeth Ayala, infatti, merita “questa” giustizia. E non solo Elizabeth.
«I ricorrenti – in conclusione – lamentavano che non avevano alcun rimedio interno per far valere la violazione dell’art. 8 della Convenzione.
Essi invocano a tal proposito l’articolo 13 della Convenzione, che dispone quanto segue: Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella presente Convenzione siano stati violati, ha diritto ad un ricorso effettivo davanti ad un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali.»
Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette che in modo incompleto di riparare le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, quando è il caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.
La Corte ha dichiarato il ricorso ammissibile e dichiara l’avvenuta violazione dell’art.8 della CEDU, essendo necessario riconsiderare l’ordine di demolizione della casa abitata dai ricorrenti alla luce delle condizioni personali degli stessi ricorrenti.»
Giustizia!

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