La Consulta accoglie il ricorso che denuncia l’incostituzionalità del Piano Strategico della Portualità: in ballo 1,8 miliardi di finanziamenti al Meridione
Il Piano Strategico Nazionale della Portualità e della Logistica è incostituzionale.
A sancirlo è stata la Corte Costituzionale con una sentenza depositata nei giorni scorsi. La Corte in particolare ha dichiarato “l’illegittimità costituzionale dell’art. 29, comma 1, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive), convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, nella parte in cui non prevede che il piano strategico nazionale della portualità e della logistica sia adottato in sede di Conferenza Stato-Regioni”.
Il problema, cioè, è sempre il solito, vale a dire la competenza concorrente fra Stato e Regioni sulla materia porti stabilita dagli articoli 117 e 118 della Costituzione, che non a caso questo Governo vorrebbe modificare (col DDL Boschi attualmente all’esame della Camera).
Bisognerà capire adesso il Governo come intenda procedere. Che il Piano, adottato con un Decreto a inizio agosto, sia in essere o meno, cambia poco o nulla a livello pratico per i porti. Però il testo è richiamato esplicitamente nella bozza di riforma della governance (contenente anche provvedimenti su sburocratizzazione e dragaggi) in attesa di passaggio in Consiglio dei Ministri. Inoltre la sentenza della Corte è un atout non da poco per i campanilismi regionali: se già la bozza ha creato parecchi mal di pancia (sebbene non si possa dire che le Regioni non siano considerate: possono pronunciarsi, seppur non in modo vincolante, sul presidente e partecipano al Comitato di Gestione delle previste AdSP), è facile intuire che ogni eventuale anelito centralista rischi di essere soffocato sul nascere.
Non è tutto. Mentre la bozza di riforma potrebbe in teoria sopravvivere anche senza il Piano (basterebbe cancellare il relativo richiamo), il Piano stesso – a confermarlo è direttamente il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti – è stato determinante, quale condizione ex ante, per l’approvazione da parte di Bruxelles del Pon Reti e Infrastrutture 2014-2020, il programma da 1,8 miliardi di finanziamenti pubblici (75% europei, 25% nazionali) per le reti infrastrutturali delle regioni meno sviluppate (Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia), che il Governo era riuscito a farsi faticosamente promuovere a fine luglio (dopo la disastrosa gestione della precedente programmazione, che rischia di sprecare il 30% circa dei fondi stanziati).
Il ricorso della Campania, storicamente una delle regioni più incapaci di spendere i fondi europei, rischia di rimettere tutto in discussione. A meno che un provvidenziale passaggio approvativo del Piano in Conferenza Stato-Regioni non basti per risolvere la questione.
A.M.