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Molinaro: “Il DDL Falanga non blocca i processi, salva le necessità”

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Avvocato ha letto il nostro articolo su quanto detto a “La Stampa” dal Procuratore Riello, secondo cui la “legge Falanga” legherebbe le mani ai Pubblici Ministeri?
Ho letto il vostro articolo. Il Procuratore Riello è un magistrato di altissimo profilo, il primo in Campania e tra i pochi in Italia ad aver adottato una sorta di “disciplinare” relativo alla graduazione degli abbattimenti in funzione della “gravità” e “qualità” degli abusi, coniugando l’interesse privato alla inviolabilità del domicilio con quello pubblico all’esercizio obbligatorio dell’azione penale.
Una simile iniziativa trova – del resto – un suo importante precedente nella c.d. circolare Maddalena, ovvero quella direttiva con la quale il Procuratore Generale di Torino Marcello Maddalena, arresosi di fronte all’evidenza di non poter perseguire tutti i reati, soprattutto quelli a rischio di estinzione per l’indulto, ha, già diversi anni fa, messo nero su bianco e stabilito una scala di priorità nell’esercizio, pur obbligatorio, dell’azione penale. Tale circolare, equivalente ad una vera e propria “rottamazione” dei processi destinati a finire nel nulla, con privilegio per l’archiviazione dei reati a rischio prescrizione, ha ottenuto, nel maggio del 2007, l’approvazione, seppure con una spaccatura, da parte del Plenum del C.S.M. che ha espressamente escluso ogni contrasto tra la scelta di Maddalena e il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale.
La “legge Falanga” – a mio avviso – non lega affatto le mani ai Pubblici Ministeri, limitandosi soltanto a mettere ordine nella controversa materia. Essa – sostanzialmente – prende atto della impossibilità dello Stato di eseguire migliaia di demolizioni nel breve periodo ed assolve allo scopo di evitare disparità di trattamento tra i circondari e i distretti territoriali all’interno dei quali si muovono le Procure chiamate ad eseguire gli ordini giudiziali di demolizione contenuti nelle sentenze di condanna. A Napoli il Procuratore Riello ha già da tempo e meritoriamente anticipato la “legge Falanga” e da allora non è più accaduto che una sola casa abitata sia stata sacrificata sull’altare dell’obbligatorietà dell’azione penale. A Cava dei Tirreni, invece, è accaduto che un Sostituto Procuratore Generale, a pochi giorni dalla approvazione della “legge Falanga”, abbia fatto demolire una casa abitata da una povera donna separata con figlia unica, tale Pina Fariello, sprovvista di altro alloggio e, per giunta, in gravi difficoltà economiche, il cui dramma, nel volgere di pochi giorni, è diventato sui social tristemente virale.
È vero che il P.M. ha agito, nella specie, sulla base di una sentenza di condanna passata in cosa giudicata e, dunque, con iniziativa legittima sul piano formale e processuale, ma è vero, altresì, che, se la Procura Generale di Salerno si fosse dotata di un “disciplinare” analogo a quello di Riello, questa demolizione, che ha letteralmente gettato l’esecutata nella più cupa disperazione, non si sarebbe verificata.
Parlo di cupa disperazione anche perché mi si è accapponata la pelle quando ho letto un messaggio che la Fariello mi ha indirizzato, scrivendo: “DDL Falanga approvato, Pina Fariello morta”.

La “legge Falanga”, dunque, per ricalcare sostanzialmente il “disciplinare Riello”, non viola il principio di obbligatorietà dell’azione penale?
Assolutamente no. Intanto, va osservato che sia la Commissione Affari Costituzionali della Camera che quella del Senato, anche in seconda lettura, hanno escluso profili di incostituzionalità.
Se poi si vuole sostenere che il Procuratore Riello abbia lasciato intendere che la legge possa prestare il fianco a sospetti di illegittimità costituzionale, osservo che il Procuratore ha solo posto l’accento sul fatto che i criteri di priorità stabiliti per legge finirebbero per vincolare in modo eccessivo l’attività di esecuzione penale, determinando maggiori oneri organizzativi a carico delle Procure.
Va, tuttavia, considerato che, già con il suo “disciplinare”, il Procuratore Riello ha organizzato il suo Ufficio in modo diverso rispetto al passato.
E non vi è dubbio che tale nuova organizzazione stia dando i suoi frutti, mediante l’esecuzione delle sentenze nei casi più gravi ed evitando, al tempo stesso, i drammi verificatisi nel passato.

Conviene sul fatto che, come sostiene Riello, l’approvazione della “legge Falanga” determinerebbe una eccessiva proliferazione del contenzioso perché gli avvocati presenterebbero incidenti di esecuzione a cascata, finendo per rallentare oltremodo il corso della giustizia?
Su questo punto, non sono d’accordo con il Procuratore Riello.
Personalmente ritengo che l’approvazione della “legge Falanga”, contrariamente a quanto ipotizzato, non determinerebbe un aumento del contenzioso, bensì una sua forte diminuzione.
Quale avvocato, infatti, consiglierebbe ad un suo cliente di presentare un incidente di esecuzione per contrastare l’abbattimento di una costruzione pericolante o di uno scheletro costruito magari su una spiaggia o in un’area particolarmente sensibile?
Il buon senso imporrebbe, in tali casi, all’avvocato di suggerire al proprio cliente l’autodemolizione anche al fine di evitare il recupero delle spese in danno.
Diverso è, invece, il caso della demolizione di una casa abitata magari da decenni, ancor più se questa, per caratteristiche e dimensioni, sia riconducibile ai parametri dell’edilizia economico-popolare.
In tale situazione, l’avvocato dovrebbe consigliare al cliente di proporre l’incidente di esecuzione perché una casa con simili caratteristiche è tutelata anche dall’art. 8 della Convenzione dei Diritti dell’Uomo, che garantisce il diritto alla inviolabilità del domicilio, come espressamente riconosciuto dalla Corte Europea con sentenza del 21.4.2016 per una comune abitazione realizzata abusivamente in territorio bulgaro.
Secondo gli ambientalisti, la “legge Falanga” equivale ad un condono mascherato. Lei è d’accordo?
Assolutamente no.  Non è un condono 2.0 perchè non determina alcuna sanatoria.
Infatti, gli abusi restano abusi e come tali sanzionati.
Questa legge è semplicemente una soluzione ragionevole e costituzionalmente orientata perché – da un lato – serve a proteggere le case abitate dai nuclei familiari più poveri e – dall’altro – fa sì che le esigue risorse disponibili vengano utilizzate per abbattere gli immobili della speculazione, gli ecomostri e i grezzi che deturpano il paesaggio.
È innegabile che le sentenze debbano essere eseguite e che non possa esserci scappatoia che tenga.
Il problema, però, diventa grave quando le demolizioni avvengono con il contagocce, come, appunto, verificatosi nella nostra regione, vuoi per difficoltà di ordine organizzativo, vuoi per mancanza di risorse finanziarie.
Non va dimenticato, peraltro, che l’ordine di demolizione collegato alla sentenza di condanna è stato introdotto per la prima volta nel nostro ordinamento dalla legge n. 47/85.
L’istituto, dunque, è vecchio di oltre trent’anni.
Se le demolizioni si contano sulle dita di una mano e avvengono a macchia di leopardo, è evidente che qualcosa non funziona.
Come si fa a spiegare a chi subisce la privazione della casa, sia pure in esecuzione di una sentenza di condanna passata in giudicato, che il turno del vicino, che magari ha realizzato un abuso di dimensioni maggiori ed in epoca ancor più risalente, non è ancora arrivato?
Lo scopo della “legge Falanga” è proprio quello di mettere ordine nella esecuzione dei provvedimenti di demolizione che, secondo i dati di Legambiente, sono migliaia nella sola regione Campania e riguardano, come è noto, ecomostri, fabbricati pericolanti, scheletri di cemento armato, immobili della criminalità organizzata, costruzioni realizzate sulle spiagge o in violazione del limite di distanza dalla costa e finanche case di necessità abitate da persone prive di ogni altra possibilità di alloggio.
Va, inoltre, ricordato che il quotidiano Il Mattino ha segnalato qualche tempo fa che la demolizione di tutte le costruzioni abusive realizzate a Napoli e Provincia equivale alla demolizione di una città grande come Padova, aggiungendo che, per radere al suolo questo immenso patrimonio edilizio, occorrono almeno due secoli ed un enorme fiume di denaro, senza considerare i problemi, sui quali si è soffermato anche il Governatore della Campania Vincenzo De Luca, legati alla carenza, nella intera regione, di un numero sufficiente di discariche dove poter smaltire i residui della attività demolitoria che costituiscono rifiuti speciali.
Questo è anche uno dei motivi per i quali il Genio Militare difficilmente viene utilizzato in tali procedure.

Avvocato quale è il contrappeso sul piano amministrativo alla “legge Falanga”?
L’art. 41 del Testo Unico dell’Edilizia già prevede – oggi – che, “nel caso di impossibilità di affidamento dei lavori, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale ne dà notizia all’ufficio territoriale del Governo, il quale provvede alla demolizione con i mezzi a disposizione della pubblica amministrazione, ovvero tramite impresa finanziariamente e tecnicamente idonea se i lavori non siano eseguibili in gestione diretta”.
La “legge Falanga” introduce, a ben vedere, una significativa novità, prevedendo, per la prima volta, un termine massimo di 270 giorni entro il quale il funzionario del comune è tenuto a concludere il procedimento di demolizione, scaduto il quale scatta l’intervento sostitutivo del Prefetto.
Il ruolo del comune, tuttavia, continua ad essere centrale, nel senso che il potere-dovere di repressione degli abusi resta concentrato in capo al dirigente o responsabile dell’Ufficio Tecnico e non viene meno anche oltre il superamento del termine di 270 giorni, di natura ordinatoria e non perentoria.
Ciò è confermato – del resto – dall’orientamento della giurisprudenza formatasi in materia ed anche da una interessante circolare del Ministero dell’Interno del 19.2.2004, n. 18, in ordine alla corretta applicazione dell’ art. 32 della legge n. 326 del 2003.
Non va, poi, dimenticato che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 196 del 2004, dichiarò illegittimo il comma 49-ter dell’art. 32 della legge n. 326 del 2003, che attribuiva il potere-dovere dell’intervento repressivo in via diretta ed immediata al Prefetto, con conseguente esautoramento del comune.
La Consulta stabilì, nell’occasione, che tale norma violava l’art. 118 della Costituzione, “dal momento che non si limita ad agevolare l’esecuzione della demolizione delle opere abusive da parte del comune o, anche in ipotesi, a sottoporre l’autorità comunale a firme di controllo sostitutivo in caso di mancata attività, ma sottrae al comune la stessa possibilità di procedere direttamente all’esecuzione della demolizione delle opere abusive, senza che vi siano ragioni che impongano l’allocazione di tali funzioni amministrative in capo ad un organo statale”.

Si prevedono conseguenze per il tecnico comunale in caso di superamento del termine di 270 giorni?
La mancata esecuzione dell’ordine di demolizione, in caso di ingiustificato superamento del termine, potrà certamente produrre conseguenze per il funzionario comunale sul piano disciplinare, amministrativo e contabile-erariale, fatta salva, ovviamente, la responsabilità penale per il reato di abuso o omissione di atti di ufficio.
Segnalo, a tal proposito, che la Corte di Cassazione, in un lontano precedente del 1999 (sentenza n. 9400/99), ritenne congruo il termine di un anno “per la esecuzione dell’abbattimento disposto dal Sindaco”, scaduto il quale, “se l’opera è ancora in piedi, scatta l’omissione di atti di ufficio penalmente sanzionata”.

Come si articola in concreto l’intervento del Prefetto?
Scaduto il termine di 270 giorni, il Prefetto, nei trenta giorni successivi alla trasmissione dell’elenco delle demolizioni da eseguire, provvede agli adempimenti conseguenti alla avvenuta acquisizione delle opere al patrimonio comunale, notificando il provvedimento acquisitivo al proprietario e al responsabile dell’abuso.
Poichè l’acquisizione non è incompatibile con la demolizione, come più volte chiarito dalla giurisprudenza sia penale che amministrativa, il Prefetto, al fine di dare esecuzione al provvedimento, incaricherà dei relativi lavori, anche a trattativa privata, una impresa tecnicamente e finanziariamente idonea e, all’occorrenza, potrà anche avvalersi del Genio Militare sulla base di quanto previsto da apposita convenzione stipulata tra il Ministero delle Infrastrutture e il Ministero della Difesa.
Va aggiunto che la possibilità di chiamare in causa l’esercito viene riconosciuta anche al comune, il quale potrà attingere anche ad un apposito fondo – per la copertura finanziaria delle spese occorrenti per le demolizioni – presso il Ministero delle Infrastrutture, fondo che va ad aggiungersi a quello di rotazione di 50 milioni di euro già esistente presso la Cassa Depositi e Prestiti. Quindi, chi dice che la “legge Falanga” impedirà le demolizioni e rappresenterà una manna per gli abusivi dimostra di non aver letto bene la legge.

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