Pasquale Raicaldo | Un bicchiere di Coca Cola a pranzo. E uno a cena. La domenica patatine, rigorosamente fritte. Salutisti convinti, girate alla larga. Perché Gemma Migliaccio, la vispa nonnina dell’isola che oggi spegnerà 108 candeline circondata dall’affetto di nipoti e pronipoti, fa spallucce: «Segreti? Nessuno in particolare. Un po’ di tutto, senza particolari rinunce. Perché in fondo io sono un maiale di bocca buona. E Dio mi ha regalato un altro anno».
C’è uno splendido ulivo secolare a dominare il giardino, incorniciato dalla finestra della camera da letto di Gemma: il reticolo di stradine alle spalle di piazza San Rocco, a Barano, sembra un labirinto per chi vi si addentri per la prima volta. Persiane in legno e vecchie parracine, alberi che grondano arance mature che forse nessuno raccoglierà. Quell’ulivo fu piantato a inizio Novecento. Era un fragile alberello, per farsi largo avrebbe dovuto mostrare insospettabile tempra: oggi, ha addirittura innalzato le mattonelle improvvidamente sistemate sul pavimento che introduce all’accogliente casa di Gemma. E certo è una bella lotta, tra quell’ulivo maestoso e l’ultracentenaria nata appena qualche anno dopo: storie di tenacia, la natura che sfida i limiti e le avversità, le metafore – alle volte – si presentano evidenti, quasi inevitabili.
Era il 9 gennaio 1908. «Le dieci di sera», sussurra la festeggiata. Isola di Ponza, perché questa è anche una storia di emigrazione, di isole, di amore. In mezzo, c’è tutto il secolo breve: «Le guerre? Non ricordo molto. Una cosa sì: si mangiava male», ma c’è forte il sospetto che sia solo memoria selettiva, per una che non indugia un attimo persino sull’ora in cui venne al mondo, 108 anni fa.
La festeggeranno con torta dolce e torta salata, guai a farle mancare la Coca Cola oggi pomeriggio. Per i suoi cent’anni – una vita fa, verrebbe da dire – arrivò persino la targa dell’amministrazione comunale di Barano. Ma lei non concederà particolari deroghe alla routine quotidiana, cui la dolce Concetta – suo angelo custode, “badante” è un termine freddo e tecnico – dedica attenzioni e assistenza. Sveglia presto, a colazione soprattutto frutta. «Di questi tempi, anche mustacciuoli e roccocò». Poi, le preghiere. C’è un delizioso angolino dedicato a Santa Lucia, protettrice della vista persa a ottant’anni. Affinché preservi quella dei propri cari, naturalmente. Uno sguardo a San Silverio, patrono dell’isola di Ponza. Un pensiero a Padre Pio. «Un’ora e mezza al giorno», conferma orgogliosa. Il ricamo, poi. Che scandisce la mattinata, conduce verso l’ora del pranzo. Mezzogiorno, inderogabile. «Oggi è pasta e piselli, volete favorire?». Apprezziamo l’invito, pur declinandolo. «La pasta add’a essere cotta al punto giusto», sottolinea, e pare essere un promemoria a Concetta. Che sa, e sorride. «La domenica è cannelloni al forno e coniglio alla cacciatora, con patatine. Le fettuccine al pesto vanno con la carne arrosto». Sembra il menù di un ristorante, ingenui noi ad attenderci minestrine e patate lesse.
«Ma i miei preferiti sono spaghetti coi purpetielli. O coi calamaretti. O con le alici. Sono un maiale di bocca buona», ribadisce. Nessun dubbio.
Una luce intensa filtra dalla finestra, illuminando il grande letto matrimoniale nel quale dorme – immancabile, il pisolino pomeridiano, cui fa seguito un bel caffè espresso (pensavate mica che vi rinunciasse, suvvia?). Arriva anche Nino Vitale, uno dei nipoti. Il prediletto, comprenderemo di qui a poco. E allora proviamo a riannodare il lunghissimo filo dei ricordi, un secolo e passa di passioni e sensazioni, dolori e preghiere: «La mia vita? Un po’ amara e un po’ dolce».
Sposa a trentatré anni. «E chi ci pensava più all’amore? Credevo di restare zitella, invece incontrai Francesco». L’amore di una vita? «Mi dovevo sistemare, quale amore. Un matrimonio senza amore e senza affetto, funzionava così. Lui era un pezzo di pane, imparai a volergli bene».
La più grande di tre sorelle, l’unica in vita. Da Ponza a Ischia, altra storia. Alla morte del marito, Gemma rimase con sua figlia, già abbondantemente adulta. «I medici mi dissero che non poteva prendere troppo iodio. Aveva bisogno di aria di campagna, il mare non faceva per lei».
Accade, nel mondo, che tutto è relativo. E persino che Ischia sia innegabilmente meno “isola” di Ponza: di qui, la scelta di trovare la campagna non già sulla terraferma – perché in fondo chi nasce isolano, fatica a piantare i piedi dove il mare non c’è – ma a Barano, dove Gemma raggiunse una sorella, Albina, che aveva sposato un ischitano. Ci sono intrecci meravigliosi tra le due isole: quando nel 1734 Elisabetta Farnese, madre di Carlo III di Spagna re di Napoli, cedette l’intero arcipelago delle Ponziane al figlio, fu avviata un’intensa colonizzazione di Ponza, dove approdarono coloni soprattutto da Ischia. Isola vicine, eppure lontane. Legate a doppio filo: a Ponza si parla ischitano. Un filo che Gemma ha percorso, per amore di una figlia. E oggi che le è sopravvissuta, di Ponza ricorda con piacere trent’anni da lavoratrice indefessa nella cucina di un ristorante, “La Cernia”, quando andare al ristorante era un privilegio per pochi turisti abbienti e notabili isolani. Qualche fidanzato, anche. «Tre o quattro», rivela orgogliosa. Poi, quell’abilità da sarta con la quale aiutò sua sorella, Silvia, partita poi per l’America. «Ho parenti anche dall’altra parte del mondo», sorride compiaciuta. Complesso ricostruire l’albero genealogico: nipoti in America, a Roma, naturalmente a Ponza e a Ischia – con Nino, anche Giulia e Peppino – e l’esercito dei pronipoti (Giovanni Pio, Giuseppe Pio, Maria Pia e Anna Pia), che quest’oggi scorazzeranno per le stanze di una casa silenziosa e profumata, provando a sottrarre la Coca Cola alla vecchina sorridente. Talenti? «Tanta fantasia. Amavo ballare, nuotare, cantare, cucinare, cucire». Oggi, gioca ancora con l’ago. Va a tentoni, certo. Prova a cucire, tornando con la lucida memoria ai tempi andati, senza tuttavia abbandonare l’ironia che – se la solleciti, gridandole all’orecchio destro – diventa quasi contagiosa. «La televisione? E chi ‘a vere cchiù. – spiega, indicando le palpebre immobili – Na vota verevo quel programma, tanto tempo fa, comme se chiamma. Quello con Brooke e Riggio». Beautiful, Gemma: si chiamava Beautiful. E la sorprendiamo quasi annunciandole che prosegue, la soap infinita. «Veramente? E’ passato tanto tempo». Veramente. Sopravvive alle stagioni persino una telenovela che cerca spasmodicamente nuovi intrecci narrativi, figurarsi questa donna di 108 anni che lamenta un fastidio alla gamba («Non posso più alzarmi come facevo prima») e che neanche sa, magari, di essere la nonna di un’intera isola, forse due, record di longevità (e di lucidità), preziosa custode di storie e di memorie. Chiede persino se deve togliersi lo scialle colorato, quando la fotografiamo sorridente di un sorriso vero, perché «poi esce ‘ncopp ‘u giornale» e anche a 108 anni – diamine – si può essere un pizzico vanitosi.
Un delicato profumo di piselli invade le ampie camere della sua casa, l’orologio biologico conferma che è l’inderogabile ora del pranzo. «Ah, bevo anche vino. Un bicchiere, o bianco o rosso non importa», aggiunge orgogliosa, quasi a rimarcare che – benché la cerchiate – una formula per la longevità non esista. Lo dice, sullo sfondo di quel possente ulivo secolare, il monumento della natura che impreziosisce questo piccolo angolo di Barano. Poi sorride di nuovo e ribadisce l’invito: «Sicuri che non volete mangiare pasta e piselli?».