domenica, Novembre 17, 2024

Sandra aspettava settembre. Un ricordo di Mario

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L’aspettava dal 29 giugno, giorno in cui la famiglia si trasferiva armi e bagagli ad Ischia, portandosi dietro anche i materassi e il frigorifero. La scuola era finalmente finita e Sandra con fratellini e cuginetti sbarcava da quel traghetto il giorno di San Pietro e Paolo con una vibrante felicità fatta di attesa. La “terra promessa”, la chiamava in cuor suo, e pensava a quale piede doveva toccare il suolo “agognato” dell’isola verde. Già dalla prima serata, la pizza a Ponte da “di Massa” – ma poi si finiva sempre per mangiare il polpettoncino con il sugo rosso che colava ai lati della palla di carne imbottita di mozzarella – tra le bancarelle della festa, l’odore proibito dello zucchero filato, mandorle tostate e torrone, quei giocattoli di plastica colorati e ammiccanti terribilmente “cafoni”, le pistole ad acqua, le bolle di sapone e i tamburelli, rappresentava l’inizio di un’estate infinita. Si, perché l’estate negli anni sessanta non finiva mai. A Napoli non si tornava che agli inizi di ottobre, con la riapertura delle scuole.

La spiaggia del lido, allora enorme – i genitori, per arrivare dalla passerella di legno dello scorbutico Mimì fino alla prima fila di ombrelloni, bagnavano con i secchielli la sabbia bollente – era il teatro immutabile, sereno e vociante nei lunghi mesi di luglio e agosto. Forse ci si annoiava anche un po’, tutti i giorni uguali, con mamma che ci rincorreva per spalmarci sulle spalle la crema Nivea (protettiva!), gli scavi sempre più profondi a mani nude e qualche paletta per “trovare l’acqua”, i tuffi con la rincorsa e quel languorino quasi doloroso allo stomaco al passaggio dell’omino vestito di bianco, i capelli impomatati e un grande vassoio profumato portato in equilibrio tra la spalla e il braccio puntato sull’anca. “Graffeeee”, urlava, ma Sandra sapeva che non avrebbe mai e poi mai potuto addentare quell’invitante ciambella fritta cosparsa di granelli di zucchero.  Sabato e domenica erano diversi: arrivava papà che smaniava, non amava la spiaggia e si piazzava con suo gozzo nero e giallo soprannominato da tutti “il teutonico” quasi a riva, già dalle prime ore del mattino, aspettando, senza troppa pazienza, che qualcuno della famiglia o degli amici gli chiedesse di andare dietro al Castello o a San Pancrazio o solo “di fronte”, ovvero Procida e Vivara. Ma in realtà il vero tedesco era proprio lui, papà, perché appena “accalappiati” i passeggeri, li rapiva, portandoli in giro per tutta la giornata senza possibilità di sbarco. Noi bambini però tornavamo a casa, tutti a tavola alle due precise, dopo la doccia – l’acqua del pozzo era fredda e un po’ puzzolente – e una maglietta pulita, con l’obbligo del “riposino” nelle ore più calde. Ma Sandra, puntualmente, chiudeva la porta e usciva dalla finestra andando a “caccia” di gattini appena nati nella pineta. Li toglieva alla mamma, è vero, però ne aveva una cura addirittura morbosa: li nutriva dando loro il latte col contagocce, li riempiva di coccole, poi li lavava e li metteva ad asciugare appesi per la collottola con una molletta alla corda per i panni, sempre stesa alle spalle della casa.

Quella pineta non c’è più. Lì, dietro piazza degli Eroi, c’era solo una grande pineta delimitata da via Variopinto, la pensione Geronda e una falegnameria dove Sandra, Cicci, Antonella, Piero si facevano fare – di nascosto – lunghe spade di legno per le loro battaglie con gli ischitani per la conquista del “fortino”, una roccia spuntuta in mezzo ai pini. Nel pomeriggio era permesso di nuovo scendere sulla spiaggia dove si andava a giocare “a tappi”, dietro le cabine arlecchino del Bagno Sirena, facendo la “pista” col popò di Piero, il più tondo e leggero, che veniva trascinato per i piedi sulla sabbia umida e compatta. Era una festa quando raramente si rimaneva a fare colazione sulla spiaggia e mamma scendeva più tardi con il cesto del picnic pieno di palle di riso e cotolette appena fatte. Le metteva ordinate e avvolte nella carta assorbente in certe scatole di metallo con il manico e la chiusura a scatto. La loro apertura mandava in visibilio tutta la prima fila di ombrelloni.

Se il vento aveva agitato il mare c’erano “i cavalloni”, allora era più divertente andare a “prenderli” sulla spiaggia di Citara o dei Maronti. L’adrenalina procurata dalla forza delle onde che prima tiravano a largo e poi ti arrotolavano e ti trascinavano giù, era davvero elettrizzante.

A volte, ma solo quando venivano i nonni, era permesso prenotare Ciro e la sua cavalla bianca per andare fino a Mezzocammino in carrozzella. E allora c’era il litigio e poi il tocco per chi dovesse sedere “a cassetta” e prendere in mano le redini di cuoio, mentre la lunga coda dell’animale sulla salita si alzava e regalava ai fantini grosse folate di… fieno.

A fine agosto c’erano due date memorabili: il compleanno di Antonella e l’onomastico di Sandra a due giorni di distanza l’uno dall’altro. Si festeggiavano entrambi sulla terrazza di Calise con un tripudio di “cose buone” ed era una gara senza esclusione di colpi tra le due cugine a chi avesse i doni più attesi: ma mentre alla prima si regalavano sempre bambole, vestitini, piccole stoviglie e giocattoli per “femminuccia”, l’altra fremeva per la bici, la nuova cartella per la scuola e magari qualche macchinina e gli ultimi pezzi del Lego.

Ma Sandra aspettava settembre. Aspettava quell’aria finalmente più fresca che faceva desiderare di indossare il “pulloverino”. Aspettava le giornate di pioggia per respirare l’odore della pineta bagnata, per avere il tempo di scrivere il suo diario abbandonato. Aspettava quei pomeriggi ormai quasi autunnali quando si programmava di andare a fare il giro dell’isola e fermarsi a mangiare pane e salame (solo a settembre, solo a Serrara Fontana) su quella terrazza mozzafiato sospesa sul tramonto e su Sant’Angelo.

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