“Ischia rappresenta tutti i centimetri che possiedo. Accadeva una cosa strana, durante la mia infanzia e poi durante la mia adolescenza, almeno fino ai sedici anni. Qui, durante i tre mesi estivi, crescevo. Accumulavo centimetri e ve ne era traccia sul muro, segnando le tacche all’altezza del mio cranio. Al sole e al sole di Ischia devo quella crescita: a Napoli, misteriosamente, nei nove mesi restanti non crescevo. Quanto al Castello, a quest’isola nell’isola, si veniva a fine settembre in gita, con le prime piogge e l’aria fresca. Ricordo distintamente la cripta delle monache: quelle ossa ti restano impresse, mezzo secolo fa si trovavano i resti delle religiose. Amo tornare a Ischia, e qui in particolare. Compiacendomi dei luoghi che restano inalterati. Adoro tornare laddove il tempo si ferma. Ma sono che posti immutabili sono un’eccezione e mi consolo, in fondo, con il fatto che sono un visionario: in fondo mi basta un dettaglio del tempo passato, per ricostruire tutto”. Ha iniziato così, Erri De Luca, con un omaggio all’isola. Parole soavi pronunciate davanti a un pubblico nutrito e attento, domenica sera, per l’ultimo atto del Festival internazionale di Filosofia “La filosofia Il Castello La Torre”, andato in scena sul Castello aragonese.
Una chiusura con contenuti e riflessioni, incentrata sull’utensile parola. Introdotto dal direttore scientifico del Festival, Raffaele Mirelli, lo scrittore ha parlato. Affabile, disponibile, cordiale con tutti prima dell’intervento. Lucidissimo, profondo durante. Con quel passaggio inevitabile alle arcinote vicende giudiziarie che lo vedono coinvolto per la presunta istigazione alla violenza, legata alle sue parole sulla Tav in Val di Susa: “In questo momento sono sotto processo per un reato che risale al codice penale fascista. E che non solo non è stato mai applicato ad uno scrittore, ma che in generale ha pochissimi precedenti. Si tratta di una forzatura giuridica nei confronti di chi, come me, ha preso le parti di una piccola comunità in lotta esemplare da vent’anni”.
Con un intenso intervento dal titolo “L’utensile parola”, lo scrittore Erri De Luca ha concluso, davanti a un foltissimo pubblico, i lavori del Festival internazionale di Filosofia di Ischia.
“Una parola incriminata, nel mio caso. ma la difendo e la ribadisco. Non la ritratto, assolutamente. E preferisco parlare della parola libera, piuttosto che degli affari loschi della magistratura”.
Nella cornice del Castello aragonese, De Luca ha parlato anche del suo rapporto con Napoli: “Ho conosciuto un poeta bosniaco, Izet Sarajlić, che ha amato Sarajevo a tal punto da non lasciarla neanche mentre veniva bombardata. Si sentiva responsabile della sua infelicità come lo era stato, attraverso i suoi versi, della sua felicità. Ecco, io non saprei arrivare a una tale nobiltà d’animo. Ma mi rivedo in quel che diceva: tutte le volte che la città avrà bisogno di belle parole io ci sarò. Per me e Napoli sarà così. Sempre”.
Nel suo intervento sulla parola, De Luca ha anche omaggiato il dialetto: “Il napoletano è la mia lingua madre, quella che veicola le emozioni. Quando mi arrabbio, lo faccio anche in napoletano. Non tollero altri insulti. Lingua madre, in senso pieno: l’ho parlata con mia madre, sempre. L’italiano, invece, me lo ha insegnato mio padre. Mi è piaciuto perché era l’opposto del napoletano, lingua spiccia e veloce come succede per le lingue che si sviluppano nelle realtà ad alta densità abitative. Case di tufo, leggere, attraverso cui filtrano pensieri e parole”.
De Luca ha poi raccontato ai filosofi presenti in sala il suo rapporto con la filosofia: “Sono stato molto attratto dalle teorie dei presocratici, che si ispiravano alla meraviglia del mondo, cercando di trovarvi spiegazioni. Poi, con Socrate, ho iniziato a girare alla larga. Perché a me di conoscere me stesso non importa e soprattutto non mi riduco ad unità. Sono, piuttosto, numeroso ed affollato, fatto anche di assenze. Ingiustificate. Tra voi filosofi mi sento un intruso – ha poi aggiunto – perché nella mia testa non si sono fermate idee astratte, ma solo quelle legate a un’esperienza fisica. Se dovessi includermi nella categoria dei filosofi, mi definirei un filosofo del corpo”.
Lo scrittore ha poi fornito alcune anticipazioni sul suo prossimo libro: “Si chiamerà ‘Il più e il meno’ (sarà edito da Feltrinelli, in uscita a fine ottobre, n.d.r.), ma l’aritmetica non c’entra. Il più è la gran parte della vita che è alle spalle: affannata, urgente, infebbrata. Il meno è più sobrio e solido e conduce verso la fine”
Nei suoi quattro giorni di convegni, talk, dibattiti e laboratori, il Festival “La Filosofia il Castello la Torre” ha avvicinato il grande pubblico alla “madre” di tutte le discipline, trasformando l’isola d’Ischia in un vero e proprio pensatoio aperto, annullando il divario tra gli esperti, gli appassionati e i semplici curiosi. E toccando tre luoghi simbolo della nostra isola: il Castello aragonese, la città sommersa di Aenaria e la Torre di Guevara. Apprezzate le personali di Gabriele Renzullo e di Manuel Di Chiara, affollatissimo l’incontro tra filosofi e scolaresche, che ha animato la Torre domenica pomeriggio.
“Abbiamo coniugato le peculiarità di convegno e festival – ha spiegato Raffaele Mirelli, direttore scientifico del Festival – unendoli attraverso spazi e modi di relazione aperti tra addetti ai lavori e pubblico. Il filosofo è stato chiamato a ri-presentarsi al pubblico, prendendo coscienza delle difficoltà applicative legate alla sua – ahimè – poco chiara identità”.
L’evento, patrocinato dall’Istituto Italiano degli Studi Filosofici e dall’Università degli Studi di Palermo, ha visto tra gli organizzatori il Centro Internazionale per la Ricerca Filosofica di Palermo e il Circolo “Georges Sadoul” di Ischia. “L’appuntamento è all’anno prossimo” ha chiosato Mirelli.