giovedì, Dicembre 5, 2024

I matrimoni gay, i giudici faziosi, l’informazione e il Parlamento

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4WARD di Davide Conte

Ho grande rispetto per il mondo gay, ancorché sia notoria la mia posizione decisamente contraria al matrimonio omosessuale, al pari di quanto sia favorevole, invece, quella verso il totale riconoscimento giuridico alle coppie di fatto. Tuttavia, l’altroieri ho provato fastidio verso i commenti alla sentenza del Consigliere di Stato Carlo Deodato e non certo per la manifesta delusione di chi sperava in un dispositivo diverso, perché questo posso facilmente comprenderlo.

davide-188x80Trovo invece che in questa vicenda, accusare Deodato di faziosità in quanto convinto cattolico abbia la medesima credibilità (e la conseguente capacità di indignare) di quanto i collegi giudicanti Silvio Berlusconi nella sua miriade di processi siano (stati) ostaggio della sinistra. Oppure, se vi piace di più, possiamo dire che se a suo tempo Berlusconi è stato agevolmente e reiteratamente accusato dalla quasi totalità dei media e delle parti politiche di aver vilipeso l’istituzione-magistratura con le sue accuse di faziosità politica, oggi i medesimi accusatori dovrebbero essere ugualmente risentiti verso chi sta puntando il dito contro Deodato per aver sancito, nella sua sentenza contro la registrazione dei matrimoni gay, la mancanza del “requisito principale richiesto in Italia per celebrare un matrimonio, ossia la diversità tra i sessi”. Così come appare troppo comodo e fazioso, da parte di un opinionista come Matteo Winkler, evocare finanche Piero Calamandrei per definire dalle colonne de “Il fatto quotidiano” la decisione del Consiglio di Stato “sentenza fuori dal tempo”, specialmente quando sei socio di Rete Lenford – Avvocatura per i diritti LGBT, l’associazione di avvocati e praticanti che si occupa della tutela giuridica delle persone omosessuali, bisessuali e transgender (quella, in pratica, che ha fatto tanto sgradevole rumore su questo provvedimento negli ultimi giorni).

Emerge con forza, ancora una volta, che viviamo in un Paese in cui i due pesi e le due misure rappresentano il modus operandi ricorrente nella maggior parte dei contesti. In questo, devo dire che è proprio il mondo dell’informazione a farla da padrone, perché se per la politica il gioco delle parti può essere assolutamente comprensibile, ancorché fuori dal tempo, per chi dovrebbe fare di oggettività ed obiettività il proprio pane quotidiano la soglia di ammissibilità di questo tipo di comportamenti è decisamente diversa.

Il Ministro dell’Interno Alfano ha parlato di “fascismo rosso”. Io non intendo farne un problema politico, bensì squisitamente etico. Ci troviamo dinanzi ad un’epoca delicatissima, un periodo in cui la voglia di cambiare pervade anche gli ambienti più apparentemente impermeabili, riuscendo talvolta a sortire risultati insperati. E nonostante la mia obiettività rispetto alla Chiesa, sia sul piano locale che internazionale, sia stata ampiamente sviscerata in tanti articoli trascorsi e non ha quindi bisogno di essere dimostrata ancora una volta, ci tengo ugualmente a scrollarmi di dosso, nello scrivere, l’etichetta di cattolico praticante.

Il Parlamento Italiano, con la sua maggioranza tutt’altro che legittimata dalle urne e rispondente agli schieramenti del 2012 a causa del trasformismo imperante, si trova ormai dinanzi ad una scelta importantissima: omologarsi all’orientamento della Corte Europea ed a quello di tanti paesi “evoluti” in materia di matrimoni gay, ovvero conservare la sua visione tradizionale che ignora questo genere di fenomeno privilegiando la famiglia, per così dire, naturale. E’ giunto il momento in cui certe posizioni politiche devono essere manifestate con alto senso di responsabilità, perché in un’epoca in cui si invocano le riforme quale panacea per l’intero Paese è impensabile sottrarsi ad una decisione che, in un senso o nell’altro, si rivelerà estremamente impopolare e, comunque, epocale.

Non è concepibile considerare le coppie gay, insieme alle loro esigenze, quale semplice minoranza; al pari di come, evocando il “libera Chiesa in libero Stato” di cavouriana memoria, non si può ignorare la necessità di rispettare la sacralità di un vincolo per il quale, pronto o non pronto che sia il Paese e la sua gente, l’atipicità della formula genitore1 + genitore2 rappresenterebbe molto più di uno smacco. Occorre, finalmente, che chi deve assumere le decisioni del caso lo faccia e subito, creando uno strumento normativo che in un verso o nell’altro definisca senza ulteriori equivoci questa situazione; e soprattutto, senza la paura di scontentare tanto elettori (filo-cattolici o laico-atei che siano) quanto alti prelati o vertici associativi della propria corrente.

Credo che quello relativo ai matrimoni gay non sia esattamente l’argomento più scottante di cui il Governo dovrebbe occuparsi. Al tempo stesso, auspico che anch’esso riesca ad ottenere la giusta attenzione del Parlamento, scevro dalle lungaggini di un sistema-paese la cui lentezza burocratica e i cui giochi di palazzo rappresentano da tanto, troppo tempo, la principale causa del suo declino.

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