venerdì, Dicembre 27, 2024

Premio Aenaria, intervista alla regista Marianna Esposito

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Marianna Esposito, milanese, attrice, regista, insegnante di recitazione. Vanta una formazione di alto livello al CTA, Quelli di Grock, laboratorio dell’Attore di Raul Manso; Corso Superiore per attori di ERT. Studia con, tra gli altri: Living Theatre, Pepe Robledo, Maria Grazia Mandruzzato. Dal 2004 è direttrice artistica e regista della compagnia TeatRing che si esibisce sabato 7 novembre a Ischia al Teatro Polifunzionale di Via delle Ginestre con “Tu, mio” una sua riscrittura teatrale del capolavoro omonimo di Erri De Luca.
Come è avvenuto il tuo incontro con Erri De Luca e con il romanzo “Tu, mio” che andrà in scena ad Ischia sabato 7 novembre?
«In un modo molto naturale. Una persona che conosco mi aveva suggerito di leggere “Tu, mio”, perché gli dicevo di aver letto degli scritti di Erri De Luca e di esserne rimasta molto colpita. Mentre leggevo “Tu, mio”, poi, già sorgevano le immagini e la voglia di mettere in scena quella meravigliosa storia. Così ho contattato Erri De Luca e gli ho chiesto il permesso e lui, con la grande generosità che lo contraddistingue, ce l’ha accordato senza alcuna esitazione».

Che lavoro c’è dietro una trasposizione teatrale come questa, quanto rimane di Erri de Luca, quanto c’è del tuo gusto autorale?
«È stato davvero difficile operare la riscrittura. Erri De Luca è un poeta che parla per immagini e anche il teatro è un’arte di immagine. Sommare le due cose diventava ridondante e così il lavoro che in compagnia abbiamo fatto è di “agire” le metafore che De Luca scrive e, contemporaneamente, scarnificare il testo e renderlo più colloquiale. Un lavoro doloroso, quando hai a che fare con un poeta. Ma proprio per amore del poeta crediamo di aver fatto la scelta giusta, dandogli in teatro quello che la letteratura non può dare e cioè l’azione viva, la carnalità e la tridimensionalità. Inoltre, mentre la letteratura può permettersi di essere a volte rarefatta, o di sospendere un finale, il teatro, non può fare questo. Quindi ciò che abbiamo fatto è stato anche immaginarci quello che non c’è. O quello che ci sarebbe potuto essere. Poi, ultimo ma non ultimo, abbiamo ridotto l’azione ai due personaggi principali e gli altri sono diventati narrazione o, nel caso di Nicola, il pescatore con cui si confronta il protagonista del romanzo, una sorta di monologo interiore».

Come si sviluppa la trama di “Tu, mio”? Qual è il rapporto che lega i due personaggi tra loro, e con il mare, sempre presente nel racconto teatrale?
«Caia ed Enrico sono giovani. Lei 19 e lui 16. Sono solo tre anni ma c’è un abisso tra loro, perché in quella manciata di anni si gioca la memoria. E’ il 1955 e mentre Caia ricorda perfettamente i fatti della guerra, Enrico non ci riesce, proprio perché quei tre anni di differenza sono quelli che gli impediscono di aver conservato memoria. Inoltre Caia è ebrea e orfana di guerra, a causa delle deportazioni. Nonostante le differenze i due si innamorano con la forza e la purezza degli adolescenti e si danno totalmente, risucchiati da un’estate assolata, dove il mare rappresenta il tumulto che si muove dentro il cuore di Enrico, che entra in quell’estate da bambino e ne esce da uomo. Tutto ciò che gli succede in mare è metafora di quello che gli accade nella vita: lo morde una murena lo stesso giorno in cui conosce Caia e si innamora violentemente, un’onda alta in barca e lui all’improvviso si guadagna la sua fiducia, non riesce a baciarla e la notte infuria la tempesta e lui ha paura di annegare. Il mare rappresenta il cambiamento. Ciò che non è mai fermo, anche quando sembra. è in continuo movimento e nessun’onda è mai uguale all’altra».

Attrice, autrice, regista, come convivono queste “anime” dentro di te? Raccontaci anche le tue esperienze passate.
«Ho iniziato come attrice, ma ho sempre desiderato avere una compagnia teatrale con la quale portare avanti una personale ricerca.
Per me il teatro è un mezzo e non è mai un fine. Esiste teatro nel momento in cui si voglia dire qualcosa di urgente. Altrimenti, per come la vedo io, se il teatro cerca di imitare l’intrattenimento televisivo, non solo fallisce miseramente, ma fa un torto alla sua funzione primaria, che è sempre stata la capacità di far pensare. Pensare alle persone ormai fa paura. E’ proprio per questa ragione che credo che i teatranti non debbano MAI cedere e continuare a far pensare. La nostra compagnia esiste dal 2004 e siamo un gruppo eterogeneo di artisti che provengono da esperienze differenti. Siamo un ensemble dove io non sono il vertice della piramide. Creiamo assieme e discutiamo tanto. Litighiamo anche molto. Ma quello che ci unisce è la voglia di fare teatro per comunicare. Lavoriamo su un tessuto drammaturgico che è fatto non solo di parole ma anche di immagini e musica e tutto quanto non è mai puramente decorativo. Tutto ciò che è in scena è sempre parte della nostra storia. Ci prendiamo la responsabilità di una narrazione e la portiamo fino in fondo e combattiamo fino alla morte l’istrionismo e il narcisismo. Di più posso aggiungere che io ed Ettore Distasio, coprotagonista insieme a me dello spettacolo, stiamo imbarcandoci in un altro progetto, che vedrà la luce intorno a Marzo/Aprile 2016. Un progetto per noi molto “pericoloso” e ambizioso, ma che ci sta molto appassionando».

Raccontaci l’emozione di recitare a Ischia e ripercorrere le strade dove sono ambientate le scene del romanzo prima e dello spettacolo poi.
«Voi non avete idea di quanto siamo elettrizzati. Io sono di origini napoletane e sono stata diverse volte a Napoli, ma mai a Ischia, nonostante abbia sempre desiderato andarci. Questo romanzo me l’ha fatta sognare. Abbiamo visto foto, guardato documentari, film ambientati lì. Ma niente sarà come venirci per davvero».

Perché gli ischitani dovrebbero vedere questo spettacolo?
«Perché è uno spettacolo che parla a tanti livelli: ai romantici racconta la bellezza di innamorarsi quando ancora la vita non ti ha preso a schiaffi. Agli appassionati di storia mostra uno spaccato d’Italia particolare, che si lecca le ferite e sogna un futuro splendente a suon di canzonette e boom economico, agli idealisti racconta la bellezza delle idee, appunto, del coraggio di quei pochi uomini che decidono di dedicare la propria vita alla giustizia, alla civiltà, e a combattere ovunque per essere umano, di qualunque nazionalità sia. Conoscere il nostro protagonista riconcilia anche i cinici con la bellezza degli uomini e mostra come dentro ad ognuno si possa annidare un piccolo eroe. Come Erri de Luca ci ha insegnato, non solo con la sua letteratura, ma soprattutto con il suo esempio di integrità».

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