giovedì, Dicembre 26, 2024

La Capria e le villeggiature ischitane negli “ultimi viaggi nell’Italia perduta”

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I “sacri siti” di un tempo, Positano, le nostre Ischia e Procida, l’amatissima Capri, la stessa Napoli e tanti luoghi dell’Italia meridionale e della Sicilia, ripercorsi attraverso le pagine di autori come Norman Douglas, Giovanni Comisso, Norman Lewis, Giuseppe Ungaretti e poi rivissuti attraverso i ricordi, in un ideale pellegrinaggio tra l’immensità azzurrina dei Faraglioni, sprazzi di villeggiature ischitane, estati di “abitudini e modesti svaghi”, spesso insidiati da “una sottile malinconia”.
Con la riedizione targata Bompiani di “Ultimi viaggi nell’Italia perduta (pagine 188, euro 13) Raffaele La Capria ci guida in questo Grand Tour della memoria, tra paesaggi mediterranei e autobiografia intellettuale, sul filo della nostalgia, “che non è più un sentimento romantico abbellito dal ricordo”, ma diventa un’arma “contro la rassegnazione e il disincanto, e serve a non lasciar andare le cose come vanno, cioe’ verso l’inesorabile degrado”. Il viaggio si muove sulle tracce di autori come George Gissing, che si spinge ‘Sulle rive dello Jonio’ da Napoli verso la Calabria e scopre “la presente dolorosa realta'” del Sud, o Norman Douglas, autore di una serie di monografie su Capri in cui si intrecciano storia, religione e piacere di vivere. E poi l’incontro tra Giovanni Comisso e Napoli, in cui scocca “la scintilla di un’attrazione reciproca”, o il ‘Viaggio nel Mezzogiorno’ di Giuseppe Ungaretti, in cui il poeta fa nascere “accostamenti, associazioni, intuizioni e metafore che sono vere e proprie ‘illuminazioni’ sulla Storia e sul Mito”. E la visita nella villa di Curzio Malaparte a Capri, con le mattonelle di ceramica dipinte da Savinio, il ritratto fatto da Campiglio “bellissimo e stilizzato” o il camino con il fondo di vetro attraverso il quale si intravedevano i Faraglioni. Un percorso alla riscoperta della ‘grande bellezza’ perduta. Una bellezza, precisa La Capria, che “non e’ un fatto puramente estetico, ma ha a che fare con la nostra piu’ segreta identita’ e con la nostra memoria immaginativa che, come ognun sa, e’ quella che ci accompagna nelle varie etù della vita ed e’ legata ai nostri ricordi più cari, ai nostri sogni, alla nostra fantasia e alle nostre facolta’ creative, alle nostre energie spirituali. Le linee di un paesaggio, il verde di una collina, uno specchio di mare, ci parlano nel tempo, restano impressi in noi, diventano pensiero e parola, fan parte della nostra esistenza”. La Capria indugia poi sulla sua ‘geografia personale’, con il golfo di Napoli conteso tra la visione omerica, fatta di roccia a strapiombo sul mare, e quella virgiliana, fatta di tufo, caverne stillanti, verde campagna che degrada verso la costa, Positano, la costiera, Ischia, Procida e soprattutto Capri, capace di ispirare a chi la visita “uno stupore e un timore come quello che si prova quando entriamo in rapporto col mistero”. Capri fatta di rocce e balze alla Jurassic Park, Capri marina con le sue grotte e insenature, Capri agreste “dove la vegetazione infuria e il lavoro del contadino e’ ancora visibile nei gesti antichi”, Capri cittadina e paesana, artistica e archeologica, alta e bassa. Ed e’ struggente cercare con lo scrittore, da lontano, da una barca in mezzo al mare, la casa caprese sotto il monte Solaro abbandonata per sempre e scorgerla lassù, una macchiolina bianca nel verde. Nostalgia, sì. Ma “oggi la funzione del nostalgico – conclude La Capria citando un passo del suo “L’occhio di Napoli” – è quella di ripetere ostinatamente ai disincantati com’era pulito il mare quando era pulito, com’era bella la giornata quand’era bella, e com’era vivibile la città quando era vivibile. Com’era chiara l’acqua a Posillipo quando era chiara, non e’ solo il ricordo di un ‘nostalgico’, perche’ la chiarezza di quell’acqua e’ simbolica, e’ un momento creativo della memoria che invoca una possibile rigenerazione”

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