domenica, Dicembre 22, 2024

Ischia, un grande laboratorio naturale per capire il pianeta

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Parla di Ischia, del nostro mare e del nostro importantissimo ecosistema, uno degli articoli più cliccati e condivisi della rivista Micron, una pubblicazione molto interessante sul grande mondo della scienza e della natura.
L’articolo titola “Mari acidi: il laboratorio naturale del Castello a Ischia” ed è stato scritto dal “nostro” giornalista e studioso universitario Pietro Greco.
Ischia con il suo mare e le sue mille particolarità diventa un “laboratorio naturale” nel quale i ricercatori e gli scienziati possono condurre ricerche e test difficilemnte ripetibili altrove. Ed i risultati sono tutti di rilevanza mondiale.
Leggiamo insieme l’articolo pubblicato online dalla testata di divulgazione scientifica.

L’ultimo lavoro lo hanno pubblicato lo scorso mese di giugno sul Journal of Chemical Ecology. Riguarda, come suggerisce il titolo (Chemoreception of the Seagrass Posidonia Oceanica by Benthic Invertebrates is Altered by Seawater Acidification), i cambiamenti nella comunicazione chimica tra piante e animali causati dell’aumento dell’acidità nei mari. La ricerca è stata realizzata dagli eredi dell’istituto di biologia marina, il primo al mondo, creato nel 1872 dal tedesco Anton Dohrn, amico di penna di Charles Darwin, a Napoli. Anzi, per essere più precisi, dai ricercatori del centro di Ecologia del Benthos ospitato a Villa Dohrn, all’ingresso del porto di Ischia. Ed è stata effettuata in un laboratorio unico al mondo. Un laboratorio naturale creato da fontane di anidride carbonica che irrorano il mare prospiciente il Castello Aragonese, un duomo vulcanico fortificato dai Siracusani nel V secolo a.C., ben prima degli iberici che, duemila anni dopo, ne hanno preso possesso e gli hanno dato il nome. Il lavoro dimostra come la comunicazione chimica a base di composti organici volatili (VOC) tra la pianta che ha colonizzato i fondali del mare di Ischia, la Posidonia Oceanica, e gli animali invertebrati che normalmente vi pascolano dipende dal pH, ovvero dall’acidità, del mare. Ed è solo l’ultimo dei tasselli di un complicato puzzle che i ricercatori di Ecologia del Benthos di Ischia, insieme a colleghi provenienti da tutto il mondo, stanno ricostruendo da una decina di anni. Un puzzle di interesse generale. Che riguarda tutto il mondo. Anzi, tutti gli oceani del mondo: come sarà la vita nei mari del pianeta Terra alla fine di questo secolo? Il laboratorio naturale del Castello Aragonese è una sorta di telescopio che scruta il futuro ed è in grado di fornire delle risposte, parziali ma di estremo interesse, alla nostra domanda. Per spiegare perche dobbiamo aprire due parentesi. La prima ha un carattere globale. La concentrazione di CO2 (anidride carbonica) in atmosfera sta aumentando a causa delle attività umane. Era di 280 ppm (parti per milione) in epoca pre-industriale, è di oltre 400 ppm oggi. Sarà, con ogni probabilità, di 600 ppm alla fine del nostro secolo. L’atmosfera dialoga con gli oceani e, di conseguenza, la concentrazione di CO2 è aumentata e continuerà ad aumentare anche nei pari. La CO2 reagisce con l’acqua e produce ioni H+, ovvero acidità. Di conseguenza, negli ultimi decenni in tutti i mari del mondo è stato registrato una diminuzione del pH (l’indice logaritmo che misura l’inverso della concentrazione di ioni H+, ovvero dell’acidità). La diminuzione del pH sarà ancora più accentuata alla fine del secolo, quando dall’attuale valore di 8,1 passerà a circa 7,5 e forse meno. Con quali conseguenze sulla vita? Non lo sappiamo esattamente. Anche perché ricostruire in laboratori artificiali la complessità degli ecosistemi – per esempio, la comunicazione tra piante e animali – è, per definizione, affare affatto semplice. Eccoci, dunque, alla seconda parentesi: riguarda il laboratorio che ha creato la natura nelle acque prospicienti il Castello Aragonese di Ischia. Si tratta di fontane di anidride carbonica che zampillano sui bassi fondali marini in un’area, a nord e a sud del duomo vulcanico, probabilmente sulla verticale di una faglia, e irrorano 18.000 metri cubi di mare che insistono su una superficie di 5.000 metri quadri, creando un gradiente di pH che passa dal valore normale di 8,12 appena fuori la zona irrorata fino a un minimo di 6,0 in prossimità degli zampilli. Vaste zone dell’area irrorata registra un pH prossimo a 7,5 e, dunque, analogo a quello che avranno i mari del pianeta alla fine del secolo. Particolare non irrilevante: la acque del laboratorio naturale del Castello Aragonese conservano la stessa temperatura e lo stesso grado di salinità delle acque lontane dalle fontane di CO2. L’unica differenza, dal punto di vista chimico e fisico, rispetto al resto del mare che bagna l’isola d’Ischia è dunque solo e unicamente il pH.

A questo punto i ricercatori ischitani sono in grado di fornire una risposta, sia pure parziale, alla nostra domanda: che ne sarà della vita in ambiente acido? Quello che emerge dalle acque acide intorno al Castello Aragonese è uno scenario drammatico. Nel laboratorio naturale la biodiversità si riduce fino al 74%. I ricercatori del centro di Ecologia del Benthos hanno rilevato, infatti, la presenza nei mari di Ischia di 551 taxa (gruppi di organismi viventi) di benthos (alghe e animali vari) e di pesci. Tra questi solo uno su quattro sopravvive nelle acque intorno al Castello Aragonese in cui il pH è analogo a quello che avranno tutti gli oceani a fine secolo. In particolare, dei 551 taxa ischitani: 494 (l’89%) sono presenti nelle zone a pH normale e fuori dall’influenza diretta delle emissioni; mentre solo 274 (il 50%) sono presenti nelle zone con emissioni modeste e con valori solo un po’ più bassi del pH; solo 139 taxa (il 25%) sono presenti nelle zone più acide; mentre 18 (3,2%) vivono esclusivamente in queste aree. Tra queste anche un verme piatto appartenente a una specie finora sconosciuta ai biologi marini. In soldoni, le praterie di Posidonia che caratterizzano i fondali dell’isola scompaiono nelle acque acide e tra le specie animali sopravvivono solo le patelle e pochissime altre. Tra le poche piante e i pochi animali che resistono, la comunicazione chimica è profondamente alterata. Insomma, il mare acido è molto simile a un deserto. E tuttavia il quadro non è tutto nero. Con uno studio pubblicato qualche anno fa su Nature Climate Change un gruppo di ricercatori del centro di Ecologia del Benthos e del Hopkins Marine Station del Dipartimento di Biologia della Stanford University, negli Stati Uniti, ha dimostrato che in ambiente acido alcuni tipi di alghe in un ambiente crescono meglio: la loro biomassa, infatti, nella zona acida intorno al Castello Aragonese, tende ad aumentare. Queste più fitte foreste algali sono pascolate da animali erbivori che entrano in competizione con coralli e molluschi. In definitiva, sostengono i tre studiosi, l’erosione della biodiversità degli animali intorno al Castello è accompagnata e influenzata dalla variazione delle relazione tra membri dell’ecosistema.

Ma, in gioco, ci sono anche altri fattori. La temperatura, per esempio. Esperimenti condotti nei freddi mari del Nord (nel Baltico, in particolare) sembrano indicare che una maggiore acidità non determina necessariamente una diminuzione degli invertebrati con conchiglia. Perché questi animali reagiscano alla cambiamento delle condizioni ambientali “costruendo” conchiglie più robuste. Questo comporta un investimento superiore di energia. Ma i molluschi nei mari freddi del nord hanno nutrienti sufficienti per sopportare la maggiore spesa energetica. Mentre nei caldi mari mediterranei quei nutrienti non ci sono e l’adattamento diventa più difficile.
Ecco, dunque, che si propone un’altra domanda: quale sarà la temperatura nei mari del nord a fine secolo? Aumenterà e, di conseguenza, diminuiranno i nutrienti? Le domande restano aperte. In conclusione, il laboratorio naturale del castello di Ischia ci dice che l’aumento del pH determina una forte riorganizzazione dei sistemi ecologici. In questa riorganizzazione molte specie riescono ad adattarsi e alcune, addirittura, a proliferare come mai prima. Ma la maggior parte delle specie si arrende e scompare.

È quasi certo, dunque, che i mari a fine secolo subiranno una netta erosione di biodiversità. Ma è certo che saranno profondamente diversi da quelli che conosciamo.

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