Una considerazione a margine dell’intervento di Paolo Crepet
Intervento di Lello Montuori | A margine del Convegno di sabato a Ischia che ha visto il brillante intervento di Paolo Crepet mi sentirei di dire questo, ovviamente senza pretesa di verità e con tutti dubbi che possono spingere a riflettere e interrogarsi su un gran tema. Educare è un compito difficile, forse la più difficile fra le attività umane ma anche la più entusiasmante. Non so se ci sono regole valide per tutti o protocolli da seguire. Forse no.
Premi e sacrifici, desideri e gratuità non possono essere declinati a senso unico. Perché tanto poi si sbaglia, in ogni caso. Una vita senza sogni o senza desideri è molto grigia, ma inseguire i sogni, passando sopra o trascurando chi ci sta intorno, a partire da chi è prossimo per noi, può essere molto pericoloso e forse molto ingiusto. Per chi pretendiamo di educare e anche per noi.
Forse la strada, non dico la più semplice ma almeno più giusta, è quella di assecondare, per quanto possibile, desideri e inclinazioni di chi deve crescere e maturare. Senza pregiudizi. Senza trasferire aspirazioni, le nostre aspirazioni, ma anche senza trasmettere ansie di riuscita. Il mondo globalizzato richiede di raccogliere nuove sfide. È vero.Ma non tutti si sentono in grado di affrontarle. Alcuni poi affrontano le loro sfide tutta la vita restando esattamente dove sono.
Chi ha torto e chi ha ragione? Nessuno ha sempre torto. Nessuno può dire di aver fatto sempre bene. Possiamo dare ai figli ciò di cui essi, a nostro giudizio, hanno bisogno. Difficilmente coinciderà con ciò che essi si aspettano da noi. E raramente coinciderà con ciò che è più giusto per loro.
Sicuramente sbaglieremo tutte le volte in cui vieteremo senza offrire una ragione. Tutte le volte in cui negheremo senza che il rifiuto sia, non dico condiviso, ma almeno compreso. Sbaglieremo quando temendo di offrire loro troppe cose li renderemo diversi da chi invece le ha avute, se non proveremo a spiegare che avere tutto conta poco quando non si è grado di stare bene con gli altri per ciò che si è.
Ma sbaglieremo anche nell’ansia di renderli autonomi per inseguire i loro sogni in questa o nell’altra parte del mondo, con l’idea che siano i luoghi a fare gli uomini e non gli uomini a fare i luoghi, creando occasioni di crescita dove ci è capitato o abbiamo scelto di vivere.
Sbaglieremo a ripetere luoghi comuni. Persino ciò che sto scrivendo. Che un figlio senza desideri sarà un adulto senza aspirazioni. Perché spesso un bambino a cui è mancata una sola delle cose che ha desiderato può diventare un adulto frustrato con l’ansia di arrivare, un’ansia che potrà farne un uomo cinico disposto a tutto per ciò che gli è mancato. A torto o a ragione.
Sbaglieremo a far nostro ogni capriccio perché cresceremo bimbi viziati e adolescenti senza regole, incapaci di comprendere i modi del nostro stare insieme. Sbaglieremo, sbaglieremo, e sbaglieremo ancora. Perché, forse, l’unica regola dell’educare è che non ci sono regole, se non sappiamo scoprire chi ci sta di fronte. Scoprire, scoprire proprio. Chi è un bambino. Cosa crede. Cosa spera. Di cosa ha paura. Cosa lo emoziona. Ciò di cui è curioso.
Perché pensare di riproporre un modello educativo di regole, divieti, conquiste e sacrifici, è un’impresa senza senso. Velleitario quando non inutile. Che frutti ha dato quel modello educativo? Gli adulti di oggi sono forse migliori dei bimbi che cresciamo? Non vengono, essi stessi, dalla generazione delle regole, dell’impegno richiesto e del rigore a scuola? Che società hanno disegnato per i giovani? Non è forse quel convenzionale senso del rispetto, il presunto rigore degli studi, i voti con i numeri, la frustrazione di ogni inclinazione, una cultura nozionistica, superficiale omologante, datata e mnemonica, ad aver prodotto una società che insegue il troppo e il vano, contro la quale proprio oggi si vorrebbe condurre una crociata?
Come si può confondere così gravemente la causa con l’effetto, propinando un ritorno a ciò che l’ha prodotta, anziché sforzarsi di renderla migliore?
Davvero basta dire a un giovane, corri, insegui i tuoi sogni, vola in Australia, mangiati il mondo, imparati un mestiere, non aspettare i 30, ingegnati col poco, per renderlo felice? Davvero sbagliamo se invece coltiviamo l’idea che quel giovane aiuti ad assistere il nonno non più giovane, magari se ci crede vada a messa la domenica, si laurei a pieni voti studiando con profitto, anche se il mercato non lo assorbirà e non per colpa sua?
Davvero sbagliamo se lo lasciamo razzolare fra i classici anziché fargli studiare economia o ingegneria, perché non troverà lavoro in azienda a 23 anni? E magari dovremo mantenerlo fino a 30? Davvero esiste un unico modello nella società globalizzata in cui la cultura deve inseguire il mercato e le sue regole per poter dire di essere vincenti?
Davvero a questo si è ridotto l’educare? Non ho risposte. Piuttosto tanti dubbi. Gli stessi forse di molti genitori, per me che non lo sono affatto. So solo che non vale la pena riproporre strade vecchie. Perché hanno già fallito. E cercarne nuove mettendo in conto di sbagliare. Perché il dubbio dell’errore forse è l’unica ragione.