Massimo Coppa | Jacopo Sannazaro (1456-1530) è stato un discreto poeta del Rinascimento italiano. Napoletano, ha fatto parte del cenacolo culturale di Vittoria Colonna e, molto probabilmente, è stato fisicamente presente ad Ischia, presso il Castello Aragonese.
La cosa è risaputa e non scopro niente di nuovo. Ma forse non tutti sanno che la sua principale opera, quella che gli ha dato fama imperitura, contiene una fortissima suggestione che ormai i lettori del “Dispari” conoscono bene, visto che ne ho parlato più volte anche nella mia rubrica “Misteri d’Ischia”: quella della cosiddetta “Terra Cava”.
Come si ricorderà, questo mito – vecchio di secoli – è incentrato sull’ipotesi che il nostro pianeta sia vuoto all’interno e che contenga a sua volta i panorami a noi più consueti, fatti di montagne, valli, prati, mari e fiumi. Inoltre, il Monte Epomeo ne sarebbe uno degli ingressi più noti a livello mondiale, censito anche da una famosa fanta-cartina geografica di Max Fyfield e ricordato persino dall’astrofisica Margherita Hack nel suo ultimo libro, “Notte di stelle”, pubblicato prima di passare a miglior vita.
Nella sua “Arcadia”, un componimento di poesia e prosa di ambientazione pastorale, il Sannazaro illustra un sogno e molte pagine sono dedicate a questo immaginario mondo sotterraneo, la cui descrizione sposa appieno, ed in maniera stupefacente, la leggenda della Terra Cava. E basterebbe questo verso per dare il senso sorprendente di questa “scoperta”: “O mirabile artificio del grande Idio! La terra, che io pensava che fusse soda, richiude nel suo ventre tante concavità!”.
Leggiamo alcuni di questi passaggi veramente suggestivi, dove una Ninfa guida il poeta nel mondo che è sotto la superficie terrestre: “Ma dal vicino fiume, senza avvedermi io come, in un punto mi si offerse avanti una giovene doncella ne l’aspetto bellissima, e nei gesti e ne l’andare veramente divina; (…) Costei venendo vèr me e dicendomi: «Séguita i passi miei, ch’io son Ninfa di questo luogo», tanto di venerazione e di paura mi porse inseme, che attonito, senza rispondergli e non sapendo io stesso discernere s’io pur veghiasse o veramente ancora dormisse, mi pusi a seguitarla. (…) Dubitava io andargli appresso, e già mi era per paura fermato in su la riva; ma ella piacevolmente dandomi animo mi prese per mano, e con somma amorevolezza guidandomi, mi condusse dentro al fiume. Ove senza bagnarmi piede seguendola, mi vedeva tutto circondato da le acque, non altrimente che se andando per una stretta valle mi vedesse soprastare duo erti argini o due basse montagnette. (…) la Ninfa che mi guidava, forse pietosa di me, togliendomi quindi, mi fe’ passare più oltre, in un luogo più ampio e più spazioso, ove molti laghi si vedevano, molte scaturigini, molte spelunche, che rifundevano acque, da le quali i fiumi che sovra la terra correno prendono le loro origini. O mirabile artificio del grande Idio! La terra, che io pensava che fusse soda, richiude nel suo ventre tante concavità! Allora incominciai io a non maravigliarmi de’ fiumi, come avessero tanta abondanza, e come con indeficiente liquore serbasseno eterni i corsi loro. Così passando avanti tutto stupefatto e stordito dal gran romore de le acque, andava mirandomi intorno, e non senza qualche paura considerando la qualità del luogo ove io mi trovava. Di che la mia Ninfa accorgendosi: – Lascia – mi disse – cotesti pensieri, et ogni timore da te discaccia; ché non senza voluntà del cielo fai ora questo camino”.
E non manca un riferimento ad Ischia, “Aenaria”, con il gigante Tifeo imprigionato sotto terra dopo essere stato punito da Giove per aver tentato l’assalto al Cielo e la produzione di acqua termale derivante dai suoi tormenti: “Le pene de’ fulminati Giganti, che volsero assalire il cielo son di questo cagione; i quali, oppressi da gravissime montagne, spirano ancora il celeste foco, con che furono consumati. Onde avviene che sì come in altre parti le caverne abondano di liquide acque, in queste ardeno sempre di vive fiamme. (…) et appresso poi sotto la famosa Enaria, la quale voi mortali chiamate Ischia, ti mostrarei il furioso Tifeo, dal quale le estuanti acque di Baia e i vostri monti del solfo prendono il lor calore”.
Tiriamo le somme.
Il Sannazaro, dunque, a quanto pare credeva o quantomeno si ispirava al mito della Terra Cava, tanto da ambientarvi parte della sua “Arcadia”; nel contempo faceva parte dell’entourage della poetessa Vittoria Colonna e, quasi certamente, ha frequentato la corte del Castello Aragonese e, quindi, l’isola d’Ischia; Ischia era forse già considerata, al tempo del Sannazaro, uno degli accessi ad un ipotetico mondo sotterraneo. Addirittura si potrebbe supporre che l’Arcadia sia stata in parte composta o ispirata proprio stando ad Ischia. Del resto il D’Ascia, nella sua celeberrima “Storia”, afferma che almeno un’opera in latino del Sannazaro, il “De partu Virginis”, sia stata composta sul Castello Aragonese.
Concludiamo il sillogismo, seppur spericolato: non potrebbe essere che il Sannazaro, ad Ischia, venisse non solo per poetare o per frequentare Vittoria Colonna, ma anche per cercare – diciamo a tempo perso e di nascosto – l’ingresso al mondo di sotto? E chissà che non ne abbia parlato, magari, anche alla “Castellana” di cui era ospite, ricevendone forse in risposta un garbato ed enigmatico sorriso.
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