sabato, Gennaio 11, 2025

L’albero di Natale di Gennaro ‘o Capurale è un vero manuale di storia ed antropologia

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Gianni Vuoso | Sono tanti i curiosi, gli amici e i turisti che stanno ammirando l’ultima fatica di Gennaro Di Meglio, Gennaro ‘o Capurale della ‘ndrezzata, l’”arti…” che sta per “artista e artigiano”, come recita una mattonella che lui stesso ha creato ed affisso accanto alla porta d’ingresso, della casa in cui abita a Buonopane, con la moglie Maria e i figli.
E’ l’albero di Natale completata da una grotta e relativi protagonisti, che sintetizza il presepe ed una nave con i re Magi: tutto rigorosamente realizzato con cestini, di quelli che produce in grandi quantità e con vimini, fino alla stella che campeggia in cima.
Ma l’elemento che impreziosisce il tutto è l’aspetto storico e antropologico delle zone contadine della nostra isola, che Gennaro ha curato con particolare attenzione. L’albero è infatti un vero e proprio manuale molto utile ad insegnare agli alunni, ai giovani, usi e costumi delle zone rurali e sono tanti quelli che non sanno nulla degli antichi mestieri, degli attrezzi, delle cantine.
Gennaro ha riprodotto la “conocchia”, il fuso che le nostre nonne usavano per filare e tessere; e poi c’è il trapàno (Gennaro raccomanda di mettere l’accento sulla seconda “a”), quello che usava l’ “acconciatiano” per praticare di fori che servivano ad unire le parti frantumate del tegame in terracotta, ed usava nitro e calce, che permettevano al tegame di sopportare temperature fino ai 400 gradi. Gennaro mostra il “nassiello”, una base di vimini sulla quale venivano deposti i fichi a seccare, quindi il “pirolo” ovvero il tappo che andava a chiudere il foro della botte e il “magliulo”, una sorta di martello in legno, utilizzato per far penetrare accuratamente il pirolo nel foro. Ed ancora, la forchetta e il cucchiaio ricavati da una canna. Gennaro spiega: “Poteva capitare di organizzare una cena o un pranzo in cantina e di avere un numero di partecipanti superiore al previsto, allora come rimediare alla mancanza di posate? Si prendeva una canna e ad una estremità si realizzavano due denti a mo’ di forchetta, mentre all’estremità di un altro spezzone di canna si applicava una foglia consistente di cipolla che fungeva da cucchiaio che, alla fine del pranzo, si mangiava perché ormai cotto”.
Tanti particolari, fra cui anche il portabicchieri che in cantina prevedeva un’assicella sulla quale venivano impilati i bicchierini. Altri due attrezzi che Gennaro ci mostra con l’orgoglio dell’artista-artigiano che è riuscito a riprodurli: il “tiraportello” che serviva a chiudere ermeticamente l’apertura della botte e infine, lo scalpello “serve per calatafare- continua a raccontare- cioè a stagnare le fessure della botte, così come si usa fare per chiudere le fessure di una barca”.
Un lavoro duro che l’entusiasta Gennaro arricchisce con altre note: “Anticamente gli anziani cercavano di arrotondare la pensione, i pochi averi, con il ricavato che proveniva da questi lavori, c’era tanta fatica è vero, ma era anche l’occasione per tenere unita la famiglia e gli amici nelle cantine, nelle case, nei terreni dove poi si lavorava per procurarsi da mangiare e da bere”.
E nel raccontare non dimentica di offrirci del vino ma il problema è che chi scrive è astemio da circa quarant’anni e chi parla dovrebbe bere solo acqua per curare gli acciacchi che non mancano e che, proprio nel periodo di Natale, hanno causato un improvviso ricovero ospedaliero, tanto che qualcuno in paese ha subito trasformato in notizia da telefono senza fili “Gennaro è morto”. E lui si diverte tantissimo perché non la considera una cattiveria, ma uno scherzo beneaugurante degli amici tanto che quando telefona a qualcuno, ormai, si presenta con una sua enfasi particolare: “Pronto? sono Gennaro, sono morto prima di Natale, ma ora sto bene”. Non potrebbe essere diversamente, perchè su tutto, prevale la scritta che lui mostra con entusiasmo, sulla felpa che indossa: “Nun me passa manco p’’a capa”. Ovvero, come vivere felici e contenti per cent’anni.

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