lunedì, Dicembre 23, 2024

«Condannate Zavota a quattro anni e Ungaro a tre anni!»

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Il pubblico ministero Valter Brunetti è stato molto duro nelle richieste. In quindici minuti di requisitoria ha cercato di riassumere le tesi dell’accusa per fondare la “mazzata” a quattro anni di reclusione nei confronti dell’assessore del Comune di Lacco Ameno Giovan Giuseppe Zavota. Ritenuta comprovata l’ipotesi di tentata estorsione ai danni della costituita parte civile.

Non è andata meglio all’ex dirigente del Comune di Lacco Ameno Crescenzo Ungaro, per il quale il pubblico ministero ha ritenuto fondata l’accusa di falso ideologico per chiedere tre anni di reclusione. Senza alcun beneficio previsto dalla legge. Il sostituto Brunetti ha quindi ritenuto che il lavoro svolto dalla collega della Procura che ha coordinato l’inchiesta, Stefania Buda, ha più di un fondamento per convincere il collegio giudicante ad emettere una sentenza di condanna. Per il terzo capo d’imputazione, di concorso in abuso d’ufficio di cui rispondono Zavota e Ungaro, il pubblico ministero ha spiegato che il dibattimento non ha consegnato una prova tangibile, tale da poter chiedere anche per questo reato la condanna. Un’assoluzione per entrambi con la formula perché il fatto non sussiste, non essendosi materializzata la fantomatica intenzionalità dei due a voler arrecare un ingiusto danno alla parte offesa Senese.

Due richieste pesanti che non soddisfano in alcun modo i difensori, ritenendo le condanne “sponsorizzate” dalla Procura eccessive, tanto che per Zavota, accusato di tentata concussione, non vi è alcun riscontro. Una prova al di là di ogni ragionevole dubbio. Le testimonianze che sono state raccolte avrebbero invece dimostrato che sussisteva tra le varie parti in causa un contenzioso. Anche con toni aspri e tali da consigliare alla Procura una maggiore attenzione, riflessione e accertamento dei vari episodi che sono passati sotto la lente d’ingrandimento durante questo lungo processo.

Il pubblico ministero invece si è soffermato sui ruoli ricoperti dallo Zavota, che era un eminente rappresentante dell’Amministrazione comunale ricoprendo incarichi di governo e tale da poter “pilotare” determinate scelte a tutto svantaggio del Senese. E questo comportamento si sarebbe riversato anche sulla figura del capo dell’Ufficio tecnico, dipendente che per il sostituto Brunetti era rimasto sottoposto a delle scelte politiche e tali da costringerlo a commettere il falso ideologico. A riportare in alcuni atti circostanze che per l’accusa non sono affatto veritiere. In particolar modo sull’immobile di proprietà del Senese, allocato in quella zona dove vennero realizzate tempo fa le famose baracche del dopo-terremoto del 1883, che mise in ginocchio i comuni di Casamicciola e Lacco Ameno. Sulla possibilità di recupero di questi immobili si è molto discusso, interrogando i testi dell’accusa e della difesa. In modo da capire se le autorizzazioni che vennero rilasciate a tutti coloro che erano proprietari di queste strutture post terremoto, avessero avuto il medesimo iter burocratico e che le autorizzazioni non fossero discriminanti tra un immobile e l’altro e tra un proprietario e il suo vicino. A seconda delle amicizie o protezione in ambito politico e tecnico. Un intervento di risanamento e di recupero voluto dalla stessa Amministrazione comunale con l’avallo degli altri organismi preposti al controllo del territorio.

Il tribunale è stato molto attento nel valutare questi aspetti e agli amministratori che hanno governato in quel periodo e ai tecnici di parte è stato chiesto specificatamente quali siano stati gli interventi eseguiti o quelli ancora da definirsi e quali erano gli ambiti territoriali interessati.

Su tre capi d’imputazione due sono stati riconosciuti “validi” e meritevoli di una condanna. Ma questo non significa che il collegio segua pedissequamente il ragionamento svolto dal pubblico ministero in requisitoria. Farà una sua valutazione in camera di consiglio dopo aver ascoltato le altre parti processuali. Primo fra tutti la costituita parte civile, che si è dimostrata particolarmente battagliera nel dimostrare la responsabilità dei due imputati per tutti i capi d’imputazione. Cosa che invece respingeranno i difensori dei due imputati, spiegando soprattutto l’iter seguito nel recupero di questi immobili e quali erano stati i rapporti che intercorsero tra gli imputati e la parte offesa. Un compito complesso perché dovranno partire da una richiesta che è alquanto pesante, di quattro anni per tentata concussione e tre anni secchi per un falso ideologico. Le parti sanno anche che il pubblico ministero Brunetti è un magistrato che con le richieste è abbastanza duro, alza l’asticella degli anni di condanna rispetto ad altri suoi colleghi che per le medesime contestazioni sono più bassi nell’infliggere le condanne.

Se la sono cavata, al momento, Ungaro e Zavota in ordine all’abuso d’ufficio, che riguarda espressamente gli aspetti tecnici della vicenda. Prendendo spunto dalle disposizioni inerenti il piano particolareggiato di recupero delle strutture cosiddette baraccali. Per andarsi a ricongiungere con i titoli rilasciati dall’ufficio edilizia privata su questi immobili: «Perché nelle qualità indicate in epigrafe, in concorso e previo accordo tra loro, Zavota quale istigatore e beneficiario, Pascale (prosciolto all’udienza preliminare, ndr) e Ungaro, nello svolgimento delle funzioni pubbliche indicate, in violazione di norme di legge o di regolamento, in particolare delle disposizioni di cui all’art 5 del Piano Particolareggiato di Recupero degli insediamenti baraccali post terremoto del comune di Lacco Ameno, al fine di procurare intenzionalmente allo Zavota un ingiusto vantaggio patrimoniale (derivante dal mancato deprezzamento della proprietà confinante con l’immobile del Senese) ovvero arrecando danno ingiusto a Senese Vincenzo, illegittimamente negavano a questi il rilascio del titolo di assentimento edilizio, che gli avrebbe consentito l’adeguamento e l’innalzamento del manufatto per circa un metro e mezzo, al cui ottenimento il Senese aveva ed ha tuttora diritto, parimenti ad altri cittadini, proprietari di immobili con le medesime caratteristiche edilizie, ai quali invece i permessi edilizi sono stati rilasciati».

Le strade processuali dei due imputati a questo punto si dividono, avendo contestazioni diverse. L’Ungaro è chiamato a difendersi dall’accusa di falso ideologico per aver sottoscritto un documento in cui, per la Procura, riportava fatti e circostanze non corrispondenti al vero: «Perché, in esecuzione di medesimo disegno criminoso, al fine di eseguire il reato di cui all’abuso d’ufficio, quale pubblico ufficiale, formando un atto nell’esercizio delle sue funzioni di responsabile dell’UTC comunale, nella relazione tecnica istruttoria del 17.6.2010, di cui alla richiesta di permesso di costruire avanzata dal Senese, attestava falsamente che l’immobile del sig. Senese “…sviluppa due piani fuori terra con sottotetto praticabile ma non abitabile per cui la definizione di “casa baraccata” è appropriata…”, mentre l’immobile è costituito da un piano più il sottotetto praticabile ed ha i requisiti per essere definito “baracca”, assentibile ex art. 5 del Piano particolareggiato di recupero degli insediamenti baraccali post terremoto».

Ed infine Zavota di tentata concussione perché, grazie al ruolo ricoperto nell’ambito dell’Amministrazione comunale, avrebbe richiesto al Senese una contropartita per avere il suo nullaosta. Il pubblico ministero fa specifico riferimento ad una richiesta dello Zavota affinché i lavori venissero svolti dalla sua impresa edile al fine di garantire che tutto filasse per il verso giusto: «Perché, abusando dei suoi poteri correlati alla sua qualità di assessore comunale, nel prospettare al Senese la possibilità di dare il suo consenso, necessario al Senese Vincenzo per l’ottenimento del titolo di assentimento edilizio presso l’ufficio tecnico comunale, compiva atti idonei diretti in modo non equivoco ad indurre il Senese a promettergli indebitamente il danaro corrispettivo dei lavori edili a farsi a cura dell’impresa edile di cui Zavota è titolare, con la seguente affermazione: “… però si intende Vincenzo che se vuoi fare il lavoro vicino casa mia, pare che devo farlo io, non deve farlo un altro… Bravo, io ti faccio fare il lavoro e io devo fare la casa…”, non riuscendo nell’intento per cause indipendenti dalla sua volontà».

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