domenica, Dicembre 22, 2024

Colombaia, il mistero dell’opera scomparsa: “Donata alla Fondazione, non so dove è finita”

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Altro che il neorealismo di Luchino Visconti: qui, nella Villa che ospitò il regista e che oggi è inesorabilmente chiusa e abbandonata al degrado, sembra trovare spazio, piuttosto, la suspense degna del miglior giallo di Alfred Hitchcock. Nulla a che vedere con le sorti, per la verità sempre più indecifrabili, dell’immobile e della Fondazione che lo gestisce, né con la cervellotica decisione di Francesco Del Deo, sindaco di Forio, di prevedere comunque le celebrazioni per l’anniversario tondo della morte di Visconti, benché la Villa sia chiusa. La storia che vi raccontiamo oggi è un’altra, certo egualmente sinistra e singolare. Parte dall’appello dell’artista polacca Barbara Karwowska, classe 1970, oltre cinquanta esposizioni in giro per il mondo (e qualche opera acquistata da collezioni prestigiose, come la galleria “Changing Role”di Guido Cabib). Barbara si è semplicemente chiesta che fine abbia fatto la sua opera “Il Rosario”, parte integrante di una mostra personale del 2002 alla Colombaia. “L’avevo donata come opera permanente – racconta – un omaggio alla Fondazione, nel ricordo di Luchino Visconti”.
Il punto è che quell’opera, realizzata nel 1999 e composta da ventisette tele, tutte dipinte a olio, con due ante di cartone dipinto e colorato (“Ci ho messo un po’ di mesi di duro lavoro”) sarebbe letteralmente scomparsa. «L’ex direttore della Fondazione – racconta l’artista, che si sente orfana di una sua creazione e vuole, legittimamente, andare a fondo – non mi ha saputo dire che fine abbia fatto l’opera. Qualche conoscente che ha visitato la Villa, mi ha assicurato che comunque non è esposta. Vuoso mi ha detto che con il cambio di gestione è stato distrutto tutto. Anche la mia opera?».
Ecco, che ne è di quel delicato inno alla figura delle monache («Quelle che spuntano all’improvviso dagli angoli delle stradine di Napoli», spiega Barbara), una composizione originale nella quale l’artista utilizza per la prima volta il centrino ricamato ad uncinetto, che sarà poi una costante della sua produzione successiva? Mistero. Evaporata, l’opera, da un direttivo, quello governato da Vuoso, a un altro, poi dimissionario. A capo – lo ricorderete – c’era il gioielliere Massimo Bottiglieri. Che oggi fa spallucce: «Nella Villa, al momento del nostro insediamento quell’opera non c’era. E non c’era neanche nel verbale di consegna».
Sarebbe certo gravissimo, benché almeno non irrecuperabile, se l’opera dell’artista polacca fosse in qualche magazzino o sottoscala. Inquietante, invece, se risultasse addirittura scomparsa, tra una gestione e l’altra.
«Quel che è certo – racconta Barbara – è che la mia opera, di dimensioni particolarmente grandi, si integrava bene con gli spazi della villa. Così, quando mi chiesero di donare un mio piccolo pezzo, preferii essere generosa, regalando quella che ritenevo essere una delle mie opere più riuscite, piuttosto che un piccolo quadro. Inoltre, pensavo che lì, in quella splendida cornice, visitata da turisti di tutto il mondo, avrebbe avuto la sua visibilità».
E invece il destino è stato assai beffardo per Barbara. Perché “Il Rosario” sembra essersi volatilizzato. Misteriosamente. E la Villa ha chiuso i suoi cancelli ai visitatori, né è dato sapersi se e quando li riaprirà. «Quel che è certo – promette Barbara – è che la storia non può finire qui. Andrò presto alla Colombaia chiedendo lumi». Il sospetto terribile è che nel disastro, economico e gestionale, che ha irrimediabilmente fagocitato la Villa al cui esterno riposano le ceneri di Luchino Visconti non trovi spazio la romantica e legittima rivendicazione di un’artista che, oggi, si sente tradita.
In gioco, peraltro, non c’è il valore economico dell’opera ma la credibilità di un intero sistema e, per esteso, dell’isola, di cui la Colombaia è stata – per un breve periodo – fiore all’occhiello ed è, oggi, più croce che delizia. Prova ne sia il misero naufragio dell’ipotesi di una riapertura utile per le celebrazioni del 17 marzo (quando ricorrono i quarant’anni dalla morte di Visconti). Se celebrazioni ci saranno, dovranno esserci lontano da quel piccolo Paradiso che così bene e così tanto ha rappresentato l’anima del maestro e che oggi, ancor prima della sua chiusura, sembrava già irrimediabilmente discostandosene, come raccontato laconicamente al “Dispari” dall’attore Umberto Orsini.
Sarà forse poca roba, un’opera, di fronte allo sfascio generale dell’immobile e delle sue pertinenze, tra calcinacci a rischio crollo, intonaco staccato in alcuni ambienti, le inconfondibili persiane azzurre cadenti, le balaustre fradice, la pavimentazione dell’anfiteatro in legno ormai inesorabilmente del tutto compromessa. Per tacere, naturalmente, del percorso per le ceneri di Luchino Visconti, ricoperto da erbacce e foglie secche, deturpato e danneggiato dalle intemperie. Viene quasi il dubbio che quell’opera, di cui la Karwowska denuncia oggi con malcelata amarezza la scomparsa, non sia che la metafora di una fuga senza fine dal luogo degli orrori.

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