In merito all’interrogatorio del maresciallo del Circomare di Ischia Giovan Giuseppe Ferrandino, uno dei suoi difensori, l’avv. Bruno Molinaro, ha rilasciato questa dichiarazione, sottolineando che tutti i punti contestati hanno trovato precisa risposta dell’indagato, anche documentalmente. Il difensore si dice rammaricato per il grave danno subito dal sottufficiale che durante tutta la sua carriera ha sempre avuto un comportamento irreprensibile. E che al giudice ha dichiarato con forza e determinazione la propria innocenza.
«Mi limito solo a dire che Vanni Ferrandino ha risposto a tutte le domande che gli sono state rivolte, fornendo la massima collaborazione possibile e basando le proprie dichiarazioni a discarico su una serie di importanti elementi di prova documentale.
In sintesi, il Ferrandino ha professato con forza la propria innocenza e l’assoluta correttezza dell’attività svolta anche quale ufficiale di polizia giudiziaria.
D’altronde, i sequestri delle strutture lo testimoniano con solare evidenza, così come le dichiarazioni dello stesso albergatore che ha riferito agli inquirenti di non aver mai subito “abusi di autorità”.
Le vacanze – lo si ripete – sono state pagate dal Ferrandino con danaro proprio e l’acquisizione ad opera della Procura della copia forense della memoria dei dispositivi elettronici (computer, telefonini, ecc.) rinvenuti presso la sua abitazione non potrà che confermare ulteriormente tale circostanza.
Ovviamente una simile operazione richiede i necessari tempi tecnici ma il tempo è … galantuomo, come lo è, per la sua storia personale e professionale, lo stesso Ferrandino.
Si è, poi, appreso dai giornali che gli inquirenti avrebbero organizzato una vera e propria “trappola” per incastrare il Ferrandino.
Se le cose stanno così, è innegabile che i risultati di tale attività non siano processualmente utilizzabili in quanto la Corte Europea, le cui statuizioni in materia sono vincolanti anche per i giudici italiani, ha ripetutamente affermato che, in tal caso, “deve ritenersi violata la clausola del processo equo di cui all’art. 6 della CEDU”.
E’ noto, peraltro, che la legge italiana riconosce la possibilità, sin dal 1990, di far ricorso alla figura dell’agente “provocatore” (poliziotto o privato cittadino) solo per indagini riguardanti la criminalità organizzata e nell’ambito del contrasto al traffico di stupefacenti, al terrorismo e al mercato illegale delle armi.
Analoga possibilità non è affatto prevista per le indagini riguardanti i reati contro la pubblica amministrazione.
Lo conferma il fatto che lo stesso Consiglio Superiore della Magistratura, in una relazione di studio trasmessa alla Commissione per la riforma della giustizia, ed ancor più di recente anche il Presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione Raffaele Cantone, con propria proposta al Governo, hanno espressamente chiesto di estendere la previsione anche alle indagini su quei reati, ai quali il Ferrandino è, comunque, estraneo».