Davide Conte | Nel tennis, sport a me caro da sempre, esistono i lucky losers. Chi sono? Si tratta di giocatori professionisti ripescati dopo una sconfitta nelle fasi di qualificazione al main draw di uno dei tornei dello Slam. Capita sovente, nel mondo della racchetta, che uno di loro approdi dopo il ripescaggio ad un risultato clamorosamente positivo. Ultimo cronologicamente, agli Internazionali d’Italia di Roma (recentemente conclusisi con la vittoria dello scozzese Andy Murray sul numero uno al mondo Novak Djokovic), emerge il francese Lucas Pouille, arrivato in semifinale dopo il ripescaggio ottenuto per il forfait del connazionale Tsonga e dell’argentino Monaco ai quarti, passando per turni precedenti costellati dalla provvidenziale precarietà fisica degli avversari incontrati.
Lo sport oggetto del 4WARD di oggi, però, è il calcio. Un ambiente, quello tennistico, lontanissimo da quello del pallone, ma che in questo caso mi consente di creare un parallelo con le due squadre a cui, in modo diverso nel corso del tempo, ho sempre tenuto: il Napoli e l’Ischia.
Le riflessioni che seguono sono nate mercoledì della scorsa settimana allorquando, a Caserta per lavoro, venivo raggiunto da una telefonata del mio amico Gianni Di Meglio, il quale mi annunciava la possibilità di essere ingaggiato dall’Ischia Isolaverde, insieme ad Enrico Buonocore, per tentare di vincere i play-out contro il temibile ma non insormontabile ostacolo-Monopoli, attraverso una sferzata di orgoglio ischitano d.o.c. al fin troppo martoriato spogliatoio di una squadra senza più capo né coda.
Quel che dissi a Gianni che mi chiedeva –bontà sua- cosa ne pensassi, ovviamente, lo tengo per me, ma in quel momento mi resi conto che Vicki Di Bello (conosco anche lui da oltre un quarantennio, accidenti al tempo che passa inesorabile…) sia meno fesso di quanto non lasci trasparire, calcisticamente parlando. Il factotum dell’Ischia Isolaverde, infatti, seppur convinto che il calcio possa rappresentare un business, è andato a giocarsi l’unica possibilità su cento di poter ricompattare l’ambiente e salvare la squadra dalla retrocessione, chiamando in causa due autentiche bandiere gialloblu; due professionisti, Gianni ed Enrico, che per il solo gesto di aver accettato con coraggio e petto in fuori una rogna del genere, meriterebbero già l’appoggio incondizionato di una piazza sempre troppo avara verso il calcio, abituata a vedere lo spettacolo pagato da altri e, al tempo stesso, pronta a criticare tutto e tutti a spada tratta.
C’è un accostamento inversamente proporzionale tra l’Ischia e il Napoli, o meglio, tra Vicki Di Bello e Aurelio De Laurentiis, presidente del Napoli: da una parte, Vicki detiene un’attenuante mica da ridere, consistente nel fatto che sarebbe stato costretto ad allontanare la squadra da Ischia (non solo la prima squadra, ma anche tutto il settore giovanile) per l’incapacità delle componenti isolane di mantenere gli impegni economici assunti da tempo, con un conseguente stato di instabilità che potrebbe rappresentare la causa (o la concausa) della débâcle dell’Ischia in campionato. Di contro, abbiamo un De Laurentiis che ogni anno, pur ricevendo un cospicuo contributo dai tifosi in termini di biglietti, abbonamenti allo stadio e alle pay-tv, riesce sistematicamente a trovare una “pezza a colore” per evitare di investire adeguatamente nella crescita del Napoli: una volta la mancata qualificazione alla Champions, con la conseguente perdita economica e l’impossibilità di ingaggiare giocatori di livello ai quali non poter garantire la tanto agognata vetrina europea; un’altra volta perché nel mercato di riparazione i giochi che contano sono già delineati e spesso si sprecano solo soldi; un’altra ancora perché ci si mettono di mezzo i procuratori “cattivi” e il financial fair play e, per concludere, il Comune di Napoli che non lo mette in condizioni di avere uno stadio che si rispetti. Intanto, sebbene il Napoli sia una delle società dai bilanci più sani, i risultati che contano ancora stentano ad arrivare.
Definire Di Bello un perdente nella sua esperienza calcistica nostrana è fin troppo facile, così come rendersi conto che un’economia come la nostra avrebbe dovuto mettere in moto già da anni un azionariato popolare in grado di ottenere per l’Ischia Isolaverde traguardi analoghi almeno a quelli di Parma, Entella, Lanciano, Crotone (giusto per fare qualche nome) e forse anche Carpi, senza dover dipendere dagli umori del politico o dell’imprenditore deluso. Ma ancor più perdente è oggi chi, pur a giusta ragione e in virtù di una inutile quanto ammirevole coerenza, si rifiuta di sostenere l’Ischia con la sua presenza allo stadio, un atto dovuto foss’anche solo per quella maglia tanto amata. Anch’io non seguo l’Ischia da qualche anno, perché –credo a giusta ragione- non ho mai più visto un progetto societario che mi appassionasse e, soprattutto, convincesse. Ma sabato sarò al “Mazzella” e non solo per Gianni ed Enrico, ma perché è giusto così; e se avrò tempo e modo, parteciperò anche alla trasferta di Monopoli. E’ vero, se l’Ischia si salvasse, trasformeremmo a tutti gli effetti Di Bello e compagni in veri e propri lucky losers, forse assecondando il loro gioco deviato; ma è meglio conquistare la salvezza e provare a ripartire daccapo (forti anche di impegni scritti con la coppia di tecnici isolani), oppure restare a casa attendendo il cadavere sulla sponda del fiume, il costo del cui funerale ricadrebbe esclusivamente su di noi e sulla nostra passione?
Salvandoci, il lucky loser Di Bello non avrebbe attenuanti: andrebbero rispettati i patti, con Gianni, con Enrico, con la pur avara isola d’Ischia, a meno di perdere definitivamente la faccia. Così come non ne avrà, per il prossimo campionato, Aurelio De Laurentiis, anch’egli lucky loser per non aver vinto nulla oltre il secondo posto utile per la Champions League, ma che avendo finalmente tutte le carte in regola per investire secondo i canoni che ha sempre dettato e invocato, per il campionato 2016-2017 non avrà alibi sostenibili per dribblare ancora una volta le spese necessarie all’adeguamento della rosa ed al concreto perseguimento di obiettivi che diventino alla portata del Napoli e dei suoi fin troppo generosi tifosi.
Per seguire le vicende in casa partenopea abbiamo ancora qualche mese di tempo. Per sperare, invece, di poter continuare ad avere un’Ischia Isolaverde tra i professionisti che ritrovi finalmente, in un modo o nell’altro, la sua anima autoctona, non ci resta che tentare di vincere insieme a Gianni, Enrico e i loro ragazzi. Sono solo due gare, provarci è d’obbligo. Forza Ischia, solo per la maglia. E per il futuro!