Erminia Turco | Nel piccolo paese di Lacco Ameno, adagiato sul mare si parla di pescatori, si viveva di pesca prima dello sviluppo turistico con la venuta di Angelo Rizzoli. Organizzato dalla Pro Loco di Lacco Ameno, un elogio ai pescatori, l’orgoglio di portare avanti la famiglia con l’immensità del mare, generoso, e non e ladro di vite. Storie infinite, intense s’intrecciano nel piccolo paese affacciato sul mare. Una intera comunità dove si respira l’essenza di esser pescatore, figlio di pescatore e poi padre di pescatore. Le lunghe notti che non passano mai fino ai ritorni e le attese vane di giorni, mesi e anni di chi non tornerà mai più. Introduce Vincenzo Morgera presidente della Pro Loco, ma non è solo, Restituta De Siano, Catrin Cigliano, Maria Rispoli e Annamaria Geladas sono la sua spalla forte, lavorano dietro le quinte fornendo materiale fotografico, spunti e storie dimenticate. “ A pesca di ricordi “ si svolge sulla terrazza del bar “Franco” affacciato sulla spiaggia del fungo, per l’occasione è stato curato tutto nei minimi particolari, piccole lanterne colorate illuminano il mare rendendo ancora più suggestivo la scelta del luogo.
“Tutte le famiglie portano il mare nel cuore, questo luogo è stato scelto perché da sempre appartiene ai pescatori e alla nobile arte della pesca, s’incontravano, e si concentravano in tutte le attività inerenti alla pesca. Il pensiero va a tutti quelli che hanno perso la vita, che hanno lasciato un vuoto in una comunità piccola come la nostra“.
Il ricordo è ancora doloroso, vivo, erano giovani, forti e pieni di speranza. Quando il destino spezzo tutto portandoseli via, quella notte del 2005, quando il peschereccio “ Padre Pio” calo’ a picco a largo di Casamicciola. Ciro e’Papote aveva solo 43 anni, Antonio Manfredi ne aveva 44 e Antonio Buonomo ne aveva solo 20. La famiglia di Ciro, pescatori da sempre, con il mare nel sangue e Ciro era esperto, di bufere a mare ne aveva vissute tante. Il suo peschereccio però nella notte del 28 giugno entrò in collisione con una moto cisterna proveniente da Napoli e Ciro e i suoi compagni insieme alla sua barca furono ingoiati dal mare, lasciando ancora una volta ad una madre il più terribile dei dolori, giovani vedove e figli orfani che cresceranno solo di ricordi. Il sindaco Giacomo Pascale dice che è importante chi eravamo, e ricorda di essere figlio di pescatore che da ragazzo il padre gli diceva sempre di voler morire a mare e così è stato. Essere figli di pescatore significa fare tante rinunce, la sveglia di notte suonava per tutti, non ci sono orari, una madre che sposa un lavoro faticoso, incerto, le notti insonni quando c’è il cattivo tempo, le attese e i tanti capodanni passati a guardare la barca a mare invece di andare a ballare, ma si doveva dare una mano. Questo mestiere insegna il valore del sacrificio, la solidarietà e la condivisione nel rione Ortola siamo cresciuti come in un unica famiglia e quando il pescatore perde la sua barca, deve avere la forza di ricominciare.
La parola passa al professore Giuseppe Silvestri che di pescatori ne ha conosciuti tanti e scritto tanto. “ un tempo si osservavano tre tonnare, quella di Lacco, quella di San Pietro e quella di Procida. L’impianto di Lacco è quello più antico, la data dell’inizio resta incerta tra il 1732 e il 39, fino al 1959 con l’inizio dell’industria turistica che avviò il commendatore Angelo Rizzoli, la tonnara di San Pietro fini la sua attività nel 1852 per l’inizio dei lavori dell’apertura del porto avvenuto poi nel 1854 mentre la tonnara di Procida terminò nel 1947 quando iniziarono a spirare i venti di guerra, così disse il rais Carlo Intartaglia.
La tonnara di Lacco è una delle più antiche di tutto il Mediterraneo, una storia lunga oltre duecento anni di attività mai interrotta fino al 1959, l’ultimo tonnarotto vivente è Vincenzo D’Orio. La storia delle tonnare è legata ai privilegi Aragonesi, i re Federico III e Alfonso D’Aragona concessero agli ischitani di amministrare mezzo mezzo miglio di mare più le peschiere, si davano in fitto dopo un bando con gara di appalto con il sistema della candela vergine, l’ultimo Rai di Lacco è stato Vincenzo De Luca. La serata prosegue con momenti di poesia con Milena Monti e Antonio Zappulla, un monologo con Pierpaolo Mandal, con Mariacristina Mattera, la chitarra del maestro Lino Saviano e la voce di Salvatore Mattera. I ricordi si susseguono attraverso le testimonianze della maestra Caterina Patalano come figlia di pescatore, Aniello Che diceva che il posto più bello del mondo era il pontile di Lacco dove lo si poteva trovare intento a riparare le sue reti. Imma che ancora scossa ricorda dell’aria ferma e il silenzio di quella mattina, quando incrociò per l’ultima volta gli occhi azzurri di Pasquale, morto d’infarto sulla sua barca e da allora ha dovuto fare da madre e da padre. Francesca ricorda con la sua penna sui nonno Aniello Buonocore, “Se penso a mio nonno, una delle prime cose che mi viene in mente è la sua passione per il mare, per la pesca. Passione che è diventata la sua vita, una vita segnata fino alla sua fine da questo amore del tutto naturale con il mare, secondo solo al suo amore per la famiglia. Mio nonno è stato un grande uomo prima di tutto, un grande papà, un grande nonno e anche, per ultimo ma non per minore importanza, un grande pescatore. Il suo lavoro che ha amato tanto gli ha permesso di garantire una vita dignitosa per sé e per la sua famiglia. Ricordo con tanto amore che anche nei suoi ultimi anni, segnati da una distanza forzata dal suo amore, tornare su quel pontile dove per quasi tutta la vita ha trascorso le sue giornate, a contatto con i suoi amici, lo faceva star bene.
Anche solo l’odore del mare, il rumore delle onde e delle cime lo faceva sentire nel suo posto. Tutti hanno un buon ricordo di lui, quasi tutti lo ricordano con quegli stivaloni da pesca intento a vivere nel segno della sua passione.Mio nonno ha trasmesso il suo amore ai suoi figli e a suo nipote che ad oggi devono a lui ciò che hanno scelto per le loro vite.” E spolveriamo i Peperpe’, Pesc e’Tat, e Papote, Cap e Muren, Pnstiell, O’Pacione, CAP e purp, a’Cagntell, i soprannomi fanno parte del luogo dei pescatori che vi hanno abitano e vissuto, di tutte le reti che sono state intrecciate e dal sapore e l’odore del mare che avvolge con un alone magico questa serata dedicata a loro.