La chiesa di Ischia è al centro di una nuova “guerra”. Una guerra che, in qualche modo, potrebbe terminare se alcuni suoi esponenti (ad esempio don Giuseppe Nicolella) facessero un passo in Avanti verso l’istituzionale che dicono di servire e annunciassero, urbi et orbi, di rinunciare alla presunte nomina da parroco.
Un passo in Avanti, questo che potrebbe compiere don Giuseppe Nicolella, promettendo di non accettare la nomina a Parroco di San Vito per “amore della chiesa” che, in parte, potrebbe coprire lo sgarro di chi, anni fa, invece, ferì la chiesa cattolica, quell don Gino Ballirano che, pur di perseguire la sua “chiamata” andò contro il suo vescovo e contro la sua chiesa.
Una Guerra giudiziaria che, oggi, risuona più forte di sempre.
A Forio cova il sentimento campalinistico e si iniziano a costruire le barricate. L’affetto e l’orgoglio di poter gridare “prima i foriani” è più forte di qualsiasi altra ragione. Adelaide Patalano è pronta allo scontro e con lei ci sono ben 1487 firme. Il nostro “anonimo foriano, cattolicone storico, attacca con forza e piglio critico. La nostra N.N., invece, va giù di fioretto ma il silenzio di Via Seminario ad Ischia è monumentale. Nessuno parla. Nessuno si sbilancia. I Nicolella si lamentano sotto traccia e, nel frattempo, però, gli animi sono sempre più confusi.
Ma la vicenda, oltre alla cronaca locale che, indubbiamente, è interessante, offre un altro spunto di riflessione che è legato, in maniera forte, all’aspetto giuridico della vicenda.
Per conoscere più da vicino questo aspetto, abbiamo chiesto all’avvocato Bruno Molinaro, l’avvocato che difende la Curia e il Vescovo Lagnese nel complicato contezioso amministrativo per l’asilo della Sentinella di illustrarci quali siano i confine di questo privilegio.
Avvocato ci può spiegare in che consiste esattamente il diritto di patronato che è oggi materia di contesa tra i comuni di Casamicciola, Forio e la Curia?
É un istituto giuridico a mio avviso alquanto anomalo, per giunta risalente al Medioevo e, dunque, abbondantemente superato dai tempi. Esso nasce – secondo gli storici – come un diritto concesso sull’ “altare” della chiesa ad una famiglia che si faceva carico di garantire una “dote” all’altare stesso, cioè di donare soldi, utilità ed immobili dai quali la chiesa traeva importanti rendite. Il diritto di patronato veniva, poi, associato allo ius presentandi, ovvero al diritto da parte della famiglia di indicare il sacerdote cui conferire in titolo la parrocchia con la cura delle anime e con giurisdizione propria. Sempre gli storici ci ricordano, infatti, che: «il giuspatronato o semplicemente patronato ebbe origine già nell’Alto Medioevo come manifestazione della gratitudine della Chiesa verso i suoi benefattori e l’elemento caratteristico, che peraltro mancava nei primi tempi, è quello della “presentazione”, il diritto, cioè, di una o più persone, di presentare un sacerdote all”autorità affinché questa, con la “institutio”, lo nomini all’ufficio». Per una più completa ricostruzione delle origini dell’istituto, va ricordato che esso venne per la prima volta introdotto da Papa Alessandro III come beneficio “annesso allo spirito” per i nobili che si impegnavano a restaurare chiese e conventi. Con l’abolizione del feudalesimo nel XIX secolo il diritto dei nobili venne esteso alle comunità parrocchiali e, quindi, ai comuni mediante convenzioni con la diocesi. Il diritto di patronato è, pertanto, un chiaro retaggio feudale. Nel tempo sono cambiati solo i beneficiari, prima i nobili, in seguito i comuni.
In parole povere questo privilegio sarebbe frutto di uno scambio, di reciproche concessioni tra la Chiesa e i suoi fedeli?
Ritengo sia proprio così! A me personalmente questo privilegio ricorda molto da vicino la vendita delle indulgenze, ossia quel particolare condono o sconto delle pene, appartenente ad un passato ormai remoto, che il credente avrebbe dovuto espiare in Purgatorio nella vita ultraterrena. É risaputo che i soldi raccolti con le indulgenze avevano, di solito, un obiettivo dichiarato come la costruzione di una Chiesa o di un monastero. A questa pratica poco cristiana pose fine la riforma protestante di Lutero, il cui credo si basava sul fatto che la salvezza dipende solo dalla fede e non già dall’importanza delle opere o dal valore delle offerte alla Chiesa. E come dargli torto? Nel giuspatronato il diritto di scegliere il parroco amico della comunità dovrebbe valere – si fa per dire – quasi come una buona raccomandazione per la salute spirituale dei consociati e nella migliore delle ipotesi – perche no? – come auspicabile viatico per il Paradiso. In cambio il comune dovrebbe dare soldi, immobili e utilità alla Chiesa. Sarebbe interessante sapere se a Casamicciola o a Forio i comuni hanno dato alla Chiesa in cambio di questo privilegio denaro, utilità o immobili o, in caso affermativo, se abbiano incrementato la dote patrimoniale successivamente.
Ma questo privilegio può ritenersi oggi ancora in vigore?
Nel 1917 i giuspatronati sono stati limitati, tant’è che il canone 1450 del Codice di diritto canonico vieta la costituzione per il futuro di qualsiasi forma di patronato. Quelli già stabiliti restano in vigore qualora non intervenga una risoluzione consensuale della convenzione istitutiva del privilegio. Ciò è confermato, del resto, dal canone 1451, il quale raccomanda agli ordinari di esortare i patroni a rinunciare al proprio diritto in cambio di suffragi spirituali. Nel 1969 Papa Paolo VI ha invitato a rivedere tali convenzioni delle quali, tuttavia, non si fa più cenno nel Codice di diritto canonico del 1983. Questo lascia pensare ad una sorta di abrogazione tacita, in quanto il privilegio in questione sarebbe rimasto coinvolto nella soppressione del concetto stesso di beneficio ecclesiastico.
É vero che in Campania non siamo soli? Il privilegio esiste anche oltre l’isola?
Sì è Vero. Nell’Arcidiocesi di Sorrento-Castellammare di Stabia esistono ben sette parrocchie nelle quali il giuspatronato risulta istituito. Anche da quelle parti ci sono accese dispute tra Chiesa e istituzioni locali. I fautori della soppressione del privilegio hanno scomodato, per convincere i patroni a fare un passo indietro, addirittura San Cipriano, il quale ammoniva che “non può avere Dio per padre chi non ha la Chiesa come madre”, ricordando, altresì, che “i fedeli devono essere uniti al Vescovo come le corde alla cetra”.