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Accesso civico la rivoluzione di Sant’Angelo: fuori tutti gli atti!

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Gaetano Di Meglio | Nella camera di consiglio del 6 marzo 2019, il TAR Campania, con l’intervento dei magistrati Paolo Passoni, Presidente; Carlo Buonauro Consigliere e Anna Corrado, consigliere e estensore, ha scritto una sentenza che è destinata a fare giurisprudenza e ad entrare nella storia sia della nostra isola sia della nostra nazione.
Accogliendo il ricorso promosso dagli avvocato Bruno Molinaro e Miriam Petrone contro il comune di Serrara Fontana, nel merito della querelle tra l’ente di Rosario Caruso e l’ex Ristorante “da Peppino” a Sant’Angelo, si apre una pagina completamente nuova. Una sorta di “Liprone” legalizzato, per restare nel novero delle storie di casa nostra che, però, ha un riverbero enorme.

Il TAR ha “condannato” il comune di Serrara Fontana a garantire alla parte l’accesso civico generalizzato.
Ovvero: “Ne consegue l’obbligo dell’amministrazione intimata di dare corso, senza alcun indugio, alla domanda di “accesso civico” quale, se del caso, riformulata dal ricorrente, previa attivazione e conclusione, nei termini di legge, della procedura di confronto con i potenziali controinteressati; l’amministrazione potrà, se del caso, tenere conto (mediante il parziale oscuramento dei dati) solo di eventuali specifiche ragioni di riservatezza dei controinteressati, puntualmente motivate e circostanziate, eventualmente ritenute meritevoli di protezione (cfr. Cons. St., sez. III, 6 marzo 2019, n. 1546)”.
In pratica il comune di Serrara Fontana deve rendere alla parte “tutte le licenze commerciali di qualunque natura rilasciate nel comune di Serrara Fontana; dei certificati di agibilità di dette attività commerciali (alberghi, ristoranti, negozi, ecc.); delle domande di condono non ancora evase ovvero a cui non è stata ancora concessa la sanatoria in relazione ad immobili in cui vengono esercitate attività commerciali per le quali è stata rilasciata licenza di commercio; di tutte le continuità d’uso rilasciate per immobili sottoposti a pratica di condono non ancora esaminata e concessa”. Un terremoto sociale, politico e amministrativo che non si placherà troppo testo.

LE QUESTIONI INIZIALI
Le questioni che vengono in evidenza nella presente decisione sono molteplici e concernono aspetti propri sia della disciplina dell’accesso documentale (ex art. 22 e ss. della legge 241/1990), per i quali già esiste un consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa, che sarà in questa sede richiamato ai fini della decisione, che dell’accesso civico generalizzato (art. 5, co. 2 e ss. del d. lg. 33/2013), istituto quest’ultimo, che al contrario del primo, risulta tuttora poco “esplorato” nel nostro ordinamento quanto a presupposti, finalità e limiti, in ragione della sua recente introduzione, in particolare quanto alla sua differenziazione con l’accesso documentale. L ’accesso ai documenti è stato considerato per anni il principale strumento di trasparenza, costituendo, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, principio generale dell’attività amministrativa, finalizzato a favorire la partecipazione e ad assicurare l’imparzialità e la trasparenza dell’azione amministrativa. Come è noto, l’istituto dell’accesso ai documenti consente all’interessato di accedere a quei documenti amministrativi la cui conoscenza è importante per la tutela di una propria situazione giuridicamente rilevante, in pratica consentendogli di soddisfare un interesse individuale e qualificato alla conoscenza. Tale diritto non si sostanzia in un’azione popolare e neppure può tradursi in un controllo generalizzato sulla legittimità dell’azione amministrativa, ma deve essere strumentale alla tutela di un interesse personale del richiedente. Alla luce dei principi sopra richiamati, l’istanza di accesso documentale formulata dal ricorrente deve essere respinta in quanto soggiace al limite di cui all’art. 24 co. 3 poiché preordinata ad un controllo generalizzato dell’operato della pubblica amministrazione, avendo richiesto il ricorrente di avere copia di “tutte le licenze commerciali di qualunque natura rilasciate nel comune di Serrara Fontana; dei certificati di agibilità di dette attività commerciali (alberghi, ristoranti, negozi, ecc.); delle domande di condono non ancora evase ovvero a cui non è stata ancora concessa la sanatoria in relazione ad immobili in cui vengono esercitate attività commerciali per le quali è stata rilasciata licenza di commercio; di tutte le continuità d’uso rilasciate per immobili sottoposti a pratica di condono non ancora esaminata e concessa”.
Il comune di Serrara Fontana incassa un piccolo punto: “Il ricorso, quindi, con riguardo all’accesso ai documenti richiesti in base alla legge 241/1990” ma “A diverso esito si giunge allorquando si esamina la domanda di accesso del ricorrente in base all’art. 5, co. 2 del d. lg. 33/2013.”
L’Accesso civico generalizzato: ambito oggettivo e finalità
Sulla scia dei concetti introdotti dal d.lg. n. 150 del 2009 in materia di trasparenza e in attuazione della delega recata dall’art. 1, commi 35 e 36 della l. 28 novembre 2012, n. 190, in tema di “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”, è stato adottato il d.lg. 14 marzo 2013, n. 33, come modificato dal d. lg. 97/2016, che ha operato una importante estensione dei confini della trasparenza intesa oggi come “accessibilità totale dei dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, allo scopo di tutelare i diritti dei cittadini, promuovere la partecipazione degli interessati all’attività amministrativa e favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche”.
Tale controllo è, quindi, funzionale a consentire la partecipazione dei cittadini al dibattito pubblico e finalizzato ad assicurare un diritto a conoscere in piena libertà anche dati “ulteriori” e cioè diversi da quelli pubblicati, naturalmente senza travalicare i limiti previsti dal legislatore e posti a tutela di eventuali interessi pubblici o privati che potrebbero confliggere con la volontà di conoscere espressa dal cittadino. Per facilitare il raggiungimento di tale obiettivo la disciplina prevista per l’accesso civico generalizzato dispone che questo non sia sottoposto ad alcuna limitazione quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente; l’istanza non deve essere motivata; deve esclusivamente limitarsi a indicare i dati, le informazioni o i documenti che si intendono conoscere.
Alla luce di quanto argomentato, quindi, anche richieste di accesso civico presentate per finalità “egoistiche” possono favorire un controllo diffuso sull’amministrazione, se queste consentono di conoscere le scelte amministrative effettuate. Il controllo diffuso di cui parla la legge, infatti, non è da riferirsi alla singola domanda di accesso ma è il risultato complessivo cui “aspira” la riforma sulla trasparenza la quale, ampliando la possibilità di conoscere l’attività amministrativa, favorisce forme diffuse di controllo sul perseguimento dei compiti istituzionali e una maggiore partecipazione dei cittadini ai processi democratici e al dibattito pubblico.

L’ESAME DELLA RICHIESTA DI MOLINARO-PETRONE
Fatta questa premessa di carattere normativo-interpretativo, e passando all’esame dell’istanza di accesso, il ricorrente ha chiesto di avere copia, ex art. 5, co. 2 del d. lg. 33/2013 «ditutte le licenze commerciali di qualunque natura rilasciate nel comune di Serrara Fontana; – dei certificati di agibilità di dette attività commerciali (alberghi, ristoranti, negozi, ecc.); – delle domande di condono non ancora evase ovvero a cui non è stata ancora concessa la sanatoria in relazione ad immobili in cui vengono esercitate attività commerciali per le quali è stata rilasciata licenza di commercio; – di tutte le continuità d’uso rilasciate per immobili sottoposti a pratica di condono non ancora esaminata e concessa visto che il T.A.R. non l’ha riconosciuta come equipollente del necessario requisito dell’agibilità». L’intento principale del ricorrente (come esplicitato in ricorso) è quello di sapere, anche per difendersi adeguatamente, se ha subito discriminazioni e quindi di verificare l’osservanza del principio della par condicio civium. Afferma di voler sapere se il diniego di agibilità basato effettivamente sulla pendenza di una domanda di condono edilizio, non ancora evasa dall’amministrazione comunale, è principio applicato per la generalità dei cittadini e se l’ente ha rilasciato per gli esercizi commerciali, la cui attività è svolta in locali oggetto di domanda di condono edilizio, l’agibilità provvisoria.

IL CONTROLLO SULL’ATTIVITA’ DELL’AMMINISTRAZION
Va in primo luogo ricordato, come detto sopra, che non rileva ai fini dell’accesso generalizzato la legittimazione rappresentata. Ciò che diventa dirimente è se, alla luce delle finalità della legge, i documenti richiesti risultino conoscibili in quanto in grado di contribuire a realizzare il controllo diffuso sull’attività dell’amministrazione e sulle scelte dalla stessa effettuate. (salvaguardando concomitanti limiti ritenuti prevalenti). In merito alla istanza nella specie proposta, certamente può ritenersi che la conoscenza dei documenti e dei dati richiesta consentono un controllo diffuso da parte del cittadino in quanto permettono di sapere, per esempio, quante sono le domande di condono pendenti presso il Comune, e da quanti anni pendono, se sono stati rilasciati certificati di agibilità provvisoria (anziché evadere le domande di condono) ovvero se sono autorizzate continuità d’uso per immobili sottoposti a pratica di condono non ancora esaminata.
Non rilevano in questa sede i motivi di ricorso che potrebbero essere proposti successivamente, in merito agli atti conosciuti, così come non rileva il fatto che gli stessi potrebbero risultare in ipotesi inammissibili o infondati, in quanto, ai fini della presente decisione, è importante solo decidere se i dati e i documenti richiesti ai sensi dell’art. 5, co. 2 possono ritenersi utili ai fini della conoscenza di come un’amministrazione pubblica svolge la propria attività e di come organizza i proprio uffici al fine di garantire efficienza, efficacia e credibilità dell’azione amministrativa. L’istanza di accesso che viene qui in esame poteva essere formulata da qualunque cittadino, non necessariamente e/o esclusivamente dall’odierno ricorrente.
L ‘amministrazione comunale chiamata a provvedere su questa istanza avrebbe dovuto esaminarla tenendo distinti i presupposti dell’accesso documentale di cui alla legge 241/1990 da quelli previsti per l’accesso generalizzato; avrebbe dovuto, quindi, operare la sua scelta operando un bilanciamento tra l’interesse del richiedente (nella sua qualità di quisque de populo) a vedere i documenti e quindi a conoscere l’attività amministrativa di che trattasi e la protezione da assicurare agli interessi pubblici e privati di cui all’elencazione dell’art. 5-bis del d. lg.33/2013, dando conto in motivazione della ponderazione effettuata e della prevalenza, nel caso, degli uni sull’altro.

MOTIVAZIONE CARENTE, BACCHETTATE PER L’ENTE
Sul punto deve ritenersi che l’atto impugnato risulta certamente affetto da motivazione carente in quanto non dà conto delle ragioni per cui è stato negato l’accesso civico generalizzato e cioè dell’eventuale pregiudizio a interessi pubblici e privati che si intendono tutelare (gli unici limiti, questi, previsti dal legislatore per negare l’accesso), limitandosi invece il comune a richiamare la giurisprudenza che fa riferimento a istanze c.d. “massive” che si pongono come causa di intralcio dell’azione della pubblica amministrazione (di cui si dirà a breve) e ritenendo inaccoglibile l’istanza del ricorrente in quanto rivolta solo a soddisfare un “bisogno conoscitivo esclusivamente privato, individuale, egoistico”.
In merito all’ultimo punto deve ritenersi non legittima, alla luce del dettato normativo in tema di accesso generalizzato, la decisione dell’amministrazione in quanto riferita ad “istanza egoistica”.

LA DECISIONE
Alla luce di tali considerazioni il Collegio ritiene che il rigetto impugnato, per quanta parte è riferito all’istanza formulata ex art. 5, co. 2, d. lg. 33/2013, deve essere annullato per difetto di motivazione in quanto non risultano sufficientemente rappresentate le ragioni per cui deve essere negato l’accesso generalizzato richiesto. Al fine di consentire concreta esecuzione alla presente decisione, il Collegio ritiene, infine, di fornire ulteriori indicazioni che hanno rilievo sul piano degli effetti conformativi della sentenza. Il Collegio chiarisce, infatti, che nella eventualità in cui l’istanza di accesso generalizzato proposta si riferisca a una mole di documenti tale da rappresentare (ad esempio, anche per mancanza di procedure informatizzate) una aggravio importante per l’attività dell’Ente, di cui si darà conto motivatamente, questo attiverà l’istituto del “dialogo cooperativo” con il richiedente. L’amministrazione, infatti, deve consentire l’accesso generalizzato anche quando l’istanza fa riferimento a un numero cospicuo di documenti ed informazioni; non vi è tenuta allorquando la richiesta risulti massiva «tale cioè da comportare un carico di lavoro in grado di interferire con il buon funzionamento dell’amministrazione», incombendo sulla stessa l’obbligo di motivare su detta ritenuta “interferenza” e di esplicitare «le condizioni suscettibili di pregiudicare in modo serio ed immediato il buon funzionamento dell’amministrazione» (Delibera ANAC n. 1309/2016).

NON E’ “ISTANZA MASSVIA”
Alla luce di tali argomentazioni il Collegio ritiene che quella formulata dal ricorrente non possa considerarsi istanza massiva tale da comportare un carico di lavoro in grado di interferire con il buon funzionamento dell’amministrazione. Come di recente affermato, il diniego opposto –motivato con riferimento alla compromissione del buon andamento della Pubblica Amministrazione, per il carico di lavoro ragionevolmente ed ordinariamente esigibile dagli uffici – non può ritenersi tout court fondato (T.A.R. Firenze, n. 133/2019). Il provvedimento di diniego dell’istanza deve pertanto essere annullato, per quanta parte si riferisce alla richiesta di accesso generalizzato, con conseguenziale obbligo, per il comune resistente, di riattivare il procedimento, attraverso (se del caso) una fase di dialogo endoprocedimentale tesa a permettere la specificazione dei documenti richiesti (nei termini sopra indicati); ciò rende ovviamente impossibile l’accoglimento dell’azione di accertamento e condanna all’ostensione dei documenti proposta dal ricorrente. Ne consegue l’obbligo dell’amministrazione intimata di dare corso, senza alcun indugio, alla domanda di “accesso civico” quale, se del caso, riformulata dal ricorrente, previa attivazione e conclusione, nei termini di legge, della procedura di confronto con i potenziali controinteressati; l’amministrazione potrà, se del caso, tenere conto (mediante il parziale oscuramento dei dati) solo di eventuali specifiche ragioni di riservatezza dei controinteressati, puntualmente motivate e circostanziate, eventualmente ritenute meritevoli di protezione.

AZIONE CORRETTA DELL’ENTE
Infine, va solo fatto un breve cenno, per respingerlo, al motivo di ricorso formulato dal ricorrente e riguardante la procedura di riesame secondo cui l’amministrazione avrebbe agito illegittimamente, in violazione dell’art. 5, co. 7 del d. lg. 33/2013, adottando tout court un rigetto senza attivare il controllo “interno” prevista in capo al Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza. Detto motivo è infondato in ragione dell’espresso dato normativo che impone in capo al solo richiedente (o eventualmente al controinteressato) di attivare la procedura di riesame e non all’amministrazione, di procedere d’ufficio. Alla luce delle esposte argomentazioni il ricorso va accolto in parte, con riguardo all’istanza di accesso generalizzato richiesto ai sensi dell’art. 5, co. 2 del d. lg. 33/2013, e per l’effetto annullato, in parte qua, il provvedimento impugnato e intrapresa una nuova interlocuzione procedimentale con il richiedente secondo quanto affermato in motivazione. Le spese di lite, in ragione della novità della questione e della parziale soccombenza, possono essere compensate.

2 COMMENTS

  1. Speriamo che Caruso la finisca presto di nominare avvocati e fare causa a più non posso perchè, nel caso lo avesse dimenticato, questi legali vengono pagati con i soldi dei contribuenti del comune di Serrara Fontana. Le battaglie politiche personali vengano corrisposte con soldi propri e non con quelli dei cittadini. Sull’albo pretorio sempre più spesso si notano incarichi legali

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