Gianni Vuoso | La storia comincia nel 1929, mio padre – racconta l’unico figlio maschio rimasto Carlo Sorrentino-già lavorava nei locali della salumeria di Ciccio Baldino, accanto all’attuale salumeria di Francarosa sulla salita dell’Arso, a pochi passi dalla chiesa dell’Addolorata. Poi vennero fuori i locali dei fratelli Venci che non riuscirono a dividersi la proprietà che fu messa all’asta.
I locali facevano angolo con Via Champault, ribattezzato come “’O vicolo ‘e Nerone”
“Esatto. Lui li comprò per 44000 lire; tre stanze, una dentro l’altra per almeno 100 mq. Nella stanza interna fu ritrovata la statuetta della madonna dell’Addolorata.”
E tuo padre quanti anni aveva?
“Circa 23 anni. Lavorava col fratello, zio Pasquale, che non era però intraprendente come papà.” Poi sposò Giuseppina, dalla quale ebbe un bel grappolo di figli: Raffaele, Carlo, Lucia, Immacolata, Annamaria, Giannina e Gemma.
E’ nato falegname dunque?
“No. veramente mio padre avrebbe dovuto prendere il posto di mio nonno, che faceva l’usciere comunale, Raffaele ‘U feroce.”
Feroce perché violento, aggressivo?
“No, assolutamente. Il nome si collega ai carcerieri che prestavano servizio sul Castello Aragonese feroci, veri cani da presa, destinati a controllare i detenuti che furono poi impiegati anche per scavare le macerie del terremoto del 1883 e non mi soffermo a ricordare l’avidità e l’ingordigia di chi scavava e trovava tesori di ogni peso. Lasciamo perdere… Mio nonno sconsigliò a mio padre di fare quel suo mestiere, per non essere succube dei politici che lui giudicava molto male. Lo obbligò ad imparare un mestiere e lui andò a bottega da Mast’Aniello, il nonno del dr. Carraturo. Facevano opere mirabili.”
Poi si trasferì di fronte, appena ebbe l’occasione. Ma chi lavorava con lui?
“Quando si trasferì nella nuova bottega aveva con sé gli amici che giocavano a pallone con lui. Era un fissato del calcio e giocava anche bene. Pensa che il martedì e il giovedì lasciavano il lavoro per fare tutti insieme, l’allenamento: con lui c’erano Nino ‘e ‘Ngiulella, Raffaele Ungaro, Terzuoli, lo zio di Leonardo Commitante, il nonno del preside De Simone e tanti altri, tutti giocatori della “Robur” una squadra forte del calcio ischitano.”
Tutti a bottega da lui. E fra gli altri operai?
“Vincenzo Tesoro, Giuseppe Sasso attualmente in America, Crescenzo Sorrentino che realizzava lavori incredibili sugli yachts…”
“Con loro realizzò lavori incredibili a personaggi importanti della società napoletana e non solo: al giudice Peluso, al dr. Spagnuolo, al giudice Corduas, lavori rifiniti nei minimi particolari che oggi vengono realizzati dal computer. A Peluso realizzò uno studio stile Luigi XV.”
E siete stati alla Mandra fino a quando?
“Siamo venuti qui nel 1966. Qui mio padre acquistò il terreno nel 62…”
E voi figli quando cominciaste a lavorare con lui?
“Mio fratello Raffaele cominciò a tredici anni. Io avevo 8 anni…”
A questa età oggi non viene nessuno a bottega.
“Infatti. Noi ci siamo dati da fare per sensibilizzare i giovani. Mio fratello Raffaele, da Presidente dell’AssoArtigiani, si è dato molto da fare per diffondere nelle scuole il valore dell’artigianato ma i giovani vogliono solo essere pagati.
Ma qui ci addentriamo in un discorso più complesso. Continuiamo la vostra storia.
“Nel 67 ci trasferimmo a Via Leonardo Mazzella, il macello, dove mio padre acquistò un appezzamento di terreno. Anche qui tanti giovani aiutavano a trasportare pietre, una partecipazione amichevole, corale. Nel 72 ci dividemmo. Mio fratello con i figli Giovan Giuseppe e Antonello cominciarono la lavorazione degli infissi di plastica e alluminio, mentre io ho continuato col legno e dal 95 la ditta, che si avvale del lavoro di tre-quattro persone, è oggi sotto la guida di mio figlio Giovan Giuseppe.”
Tutto rigorosamente a mano. Oggi però, è sopraggiunto un operaio speciale, il gran cervellone che realizza di tutto…
“Quando vedo un lavoro fatto a computer – sbotta Carlo dall’alto dei suoi 78 anni portati con energia invidiabile- mi viene di esclamare che è uno schifo perché dentro di me prevale il ricordo di tutto ciò che per decenni abbiamo realizzato a mano. Mio padre non dimenticare, era un ebanista, impiallacciava, intarsiava, era capace di realizzare mobili di gran pregio, intramontabili…”
Fin qui è l’artista del legno, ma tuo padre era anche un gran casinista.
“Certamente. In campo politico, in campo sociale. Quando c’era da rivendicare un diritto o un’opera nell’interesse di tutti, lo volevano in prima fila perché non aveva peli sulla lingua e mollava la preda solo quando era riuscito ad ottenere ciò che voleva, non per sé ovviamente. Aveva una grande fantasia. Era un gran devoto di san Giovan Giuseppe e della Madonna dell’Addolorata e poi della festa di sant’Anna. A tal proposito va detto che fra poco, i novant’anni della nostra bottega coincidono con i novant’anni della Festa agli scogli a mare di s. Anna, una manifestazione che inventò lui insieme ad altri pochi amici e mantenuta sempre con la nostra partecipazione gratuita e spassionata, non come avviene oggi con tanti mercenari. Anche la festa dell’Addolorata fu creata da lui, per rispetto di quella statuetta trovata nei locali che divennero sede del nostro primo laboratorio. Sul volto di quella statua comparvero delle macchie, come grandi nei, simbolo di grazie ricevute dai devoti e notevoli furono gli sforzi per costruire l’attuale chiesa, anche col contributo di tanti emigrati in America e poi per organizzare ogni anno, la festa che oggi è diventata Pe’ terre assaje luntane”.
Un artista noto come Nerone. Abbiamo detto che tuo nonno veniva chiamato “’O feroce” non perché fosse aggressivo ma per ricordare i carcerieri dei detenuti al Castello. E tuo padre veniva chiamato “Nerone” non perché fosse un incendiario…
“No assolutamente- spiega Carlo- ma perché all’età di 6 anni contrasse una malattia che lo fece diventare molto scuro in volto, quasi nero e il dr. Cuzzocrea cominciò a chiamarlo Nerone dal colore della pelle e da allora tutti hanno continuato a chiamarlo così”.
Un omaggio a Nerone e per festeggiare una bottega artigiana che appartiene ormai alla storia dell’isola d’Ischia, l’appuntamento è fissato per mercoledì 18 alle 19.30 alla Torre del Mulino.