Lello Montuori | Ho riflettuto a lungo prima di scrivere questo breve ricordo. Poi ho pensato che in fondo glielo dovevo. Anche per restituire alla memoria di chi vuole ricordarlo, la storia personale di un uomo per bene, cui è toccata una vita particolarmente difficile negli ultimi venti anni. Anni difficili che tuttavia non gli hanno impedito di conservare la stima e l’amicizia di tante persone che gli hanno voluto bene. Fino alla fine.
Le stesse persone che, saputo della sua improvvisa scomparsa, nonostante le esequie in forma privata, hanno voluto rendergli l’estremo saluto attraverso scritti, messaggi, attestazioni pubbliche di affetto e di riconoscenza. Tutte per lui. Che ha vissuto due vite.
Diplomato non ancora diciottenne al Liceo Classico di Ischia, per non aver voluto seguire, iscrivendosi al Nautico, nonostante fosse il primogenito, la tradizione marinara della famiglia e di Nonno Capitano, divenuto poi promettente Cadetto dell’Accademia Militare di Modena di cui aveva superato il difficile concorso di ammissione, poi giovanissimo fra le nuove leve del Banco di Napoli negli anni 70 dove conobbe e divenne amico di Peppe Brandi, Franco Iacono, Antonio Trofa, Carmine Bernardo, Antonio Maio, era stato fra i più giovani pensionati dell’istituto di credito, per seguire la sua passione per le macchine da scrivere elettriche e gli strumenti di trasmissione, prima dell’era dei computer.
Furono gli anni in cui ebbe il singolare privilegio di vivere -con l’amatissima moglie Ela Di Meglio- al piano nobile di Villa Enrichetta, ai miei occhi di bambino, una delle più belle dimore storiche dell’isola, dal grande portone di vetri colorati in stile liberty con il grande balcone centrale che affacciava sul lungomare di Casamicciola. Gli anni con Angela bambina, poi con Denny il Chihuahua da cui era divenuto inseparabile. Gli anni delle feste a Santa Maria al Monte il 12 Settembre quando si occupava personalmente dell’amplificazione per far sentire la messa fino alle pendici del monte dove accorreva tutta Forio.
Poi la malattia di Zia Ela e la sua prematura scomparsa a causa di un terribile male nel 1999. Un evento dal quale non si è mai davvero ripreso.
La fine della sua prima vita.
E l’inizio di un’altra che forse non aveva mai iniziato davvero. Inquieto.
Sempre in giro, fino a notte fonda, mai a casa, nonostante fosse ritornato a vivere nella parte che è rimasta della casa paterna di Ischia, dove era stato bambino.
Pensieroso.Ma sempre pronto a parlare, anche a lungo, con le persone a cui voleva bene e che gliene volevano. Le persone che gli andavano a genio. Non tutte. Ma neppure poche.
Ha vissuto gli ultimi anni così. Appoggiandosi tanto agli amici della famiglia De Maio che lo avevano un po’ adottato, sempre nei dintorni della sala giochi, del cinema, della Piazzetta dei Pini, e sul Corso Vittoria Colonna, al Bar Calise, luoghi che gli erano diventati familiari.
Nessuno, nemmeno io, ha mai davvero compreso la sua inquietudine e quel nuovo corso della sua vita quasi sempre in strada. Con le immancabili sigarette, nonostante i medici gli avessero raccomandato di non fumare più.
I suoi ultimi anni resteranno per sempre un insoluto insieme a quel guazzabuglio di sentimenti e di pensieri che è l’animo umano.
A lui sarebbe piaciuto essere ricordato come un uomo che aveva mantenuto il senso del rigore, lo stesso che lo aveva portato da ragazzo in Accademia, il profondo rispetto che aveva per gli uomini in divisa, quando secondo lui erano degni di portarla, la sua acuta capacità di osservatore e la sua ironia, negli ultimi anni divenuta disillusione o forse solo amarezza.
Se ne è andato in silenzio, da solo, mentre dormiva in una notte di maggio.
Possa l’infinita misericordia di Dio restituirgli la Pace che invano ha cercato in vita e magari un po’ di felicità, quella che tutti inseguono correndo come funamboli, in precarissimo equilibrio, sul filo teso delle nostre vite.