#treannifa #sonosemprele2057 per il nostro speciale sul terzo anniversario del terremoto di Ischia, abbiamo selezionato questo post del dott. Gianluigi Caruso. Una testimonianza, educata, sincera e inserita in un contesto “prezioso”, la propria tesi di laurea. Buona lettura.
Gianluigi Caruso | A tre anni dal tragico evento del 21 agosto 2017, voglio riportare un estratto della mia tesi di laurea in Letteratura latina, incentrata sul rapporto tra mitologia e scienza ravvisabile nel pensiero degli scrittori antichi che hanno citato Ischia nelle loro opere. Seppur in un contesto poco adatto a quello di uno scritto scientifico, ho deciso di lasciare queste riflessioni per ultime, in appendice al mio lavoro, per ricordare la tragicità del terremoto del 21 agosto ma, allo stesso tempo, anche la tenacia e la forza di “ripartire da zero” di chi, quella notte, pur avendo perso tutto, ha trovato il coraggio di ricominciare.
“Raramente mi è capitato di soffermarmi a riflettere su come, nei più disparati momenti della vita, certi eventi possano presentarsi come dettati non dallo scorrere casuale del tempo, ma predestinati ad accadere in quel preciso istante. Per abitudine, non ho mai dato importanza più di tanto ad una componente che, presso gli antichi Romani, aveva invece un significato più profondo rispetto a quello che assume oggi: il fatum. Più volte mi è successo di tradurre questa parola non nel modo più immediato, come «fato» o «destino», ma come «fatalità».
A tre anni dal tragico evento del 21 agosto 2017, voglio riportare un estratto della mia tesi di laurea in Letteratura...
Pubblicato da Gianluigi Caruso su Venerdì 21 agosto 2020
Mi ritrovo a scrivere l’ultima parola della mia tesi di laurea in una data troppo simbolica perché io possa tacere ancora di un evento che, nel corso della trattazione, ho – forse volutamente – solo accennato: 21 agosto. Sembrerebbe troppo strano se io, ischitano di nascita, nello scrivere una tesi in cui più volte faccio riferimento all’aspetto geologico della mia isola, non parlassi dell’ultima, recente prova della sua persistente vulcanicità: Ischia è viva.
Come due anni fa mi ritrovo immerso tra studio e lavoro. Ho però cambiato casa, per mia scelta. Ho avuto la fortuna di aver potuto premeditare tutto, dal pavimento al trasloco, dalla divisione degli spazi alla disposizione dei quadri sulle pareti. In tutto, io e la mia famiglia abbiamo impiegato un anno a organizzare lo spostamento, portandoci ciò che non sarebbe potuto mancare nella nuova casa e lasciando in quella vecchia quanto basta per poterla sentire ancora nostra. Con noi madre Natura è stata clemente. Per altri ischitani, due anni fa alla stessa ora in cui mi trovo a concludere il mio lavoro, la vita era destinata a cambiare per sempre, in un istante.
Ricordo che quel giorno avevo lavorato più del solito, tanto da rientrare a casa quando il sole stava ormai per tramontare. Ad Ischia possiamo vantarci di poter ammirare tramonti mozzafiato: eppure quella sera, all’imbrunire, uno strano bagliore rosso sembrava non voler lasciare il cielo e far posto al crepuscolo. A questo strano fenomeno, si aggiungeva un vento caldo che rendeva ancora più pesante l’afosa calura estiva, e che aveva soffiato per tutto il giorno: tutti ce ne eravamo lamentati. C’è chi ci crede e chi pensa siano state solo coincidenze, ma imparai solo successivamente che un detto antico descrive in maniera molto concisa il fenomeno: “Aria e’tarramot”.
Anche se la ratio spesso si rifiuta di guardare certi fenomeni con occhio non scientifico, prima o poi, finisce per confermare le antiche superstizioni con una spiegazione logica: forse madre Natura aveva voluto darci dei segni premonitori? A fronte del folklore resta tuttavia il dato scientifico che non si può prevedere un terremoto!
Scienza o no, Fatalità volle che circa un’ora dopo si scatenasse il finimondo: alle 20:57 una violenta scossa di terremoto metteva in ginocchio la zona alta di Casamicciola, facendosi sentire distintamente in tutta l’isola, ma in particolar modo nella parte occidentale. Tifeo si stava ridestando. Il pavimento mi è mancato per un attimo sotto ai piedi, ho percepito un rollio simile a quello che si prova su una nave. Posso però affermare che in quel momento non mi sembrò tanto catastrofica: mi sbagliavo. Sceso in strada, constatai che regnava il panico, ma non vi erano danni ingenti. Nessuno delle mie parti poteva immaginare che, quelli che per noi erano stati sette secondi di moderato tremore, avevano distrutto intere case in altre zone dell’isola, più sismiche e più vicine all’epicentro.
Anche noi abbiamo avuto i nostri eroi che, come Plinio il Vecchio, non hanno esitato a mettersi in moto e a precipitarsi, da qualsiasi parte d’Italia, la notte stessa, nei luoghi in cui il sisma era stato così forte da intrappolare un’intera famiglia nelle macerie della propria casa.
Il bilancio delle vittime, però, non tardò ad arrivare: due morti, tanti feriti, tre bambini ancora sotto le macerie. Ricordo l’ansia di conoscere il nome delle vittime e lo sgomento che provammo nell’apprendere che una di queste abitava nel nostro quartiere; ma poi la gioia, che accompagnò la felice conclusione delle operazioni di salvataggio, con le quali venivano portati in salvo i tre fratellini. Ischia, mai come quella notte, era una sola: anche se Tifeo aveva tremato, dopo tanto tempo, l’isola restava in piedi.”