sabato, Dicembre 28, 2024

Il “sistema” Ischia. La verità di Palamara sull’inchiesta CPL Concordia nel libro di Sallusti

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Ugo De Rosa | Ne “Il sistema” , il libro di Luca Palamara e Alessandro Sallusti, che porta alla luce la verità dell’ex magistrato nella gestione del CSM e della magistratura più in generale, il capitolo numero 12: “Il «Rottamato» Da Riina al «questa è una bomba» su Renzi” c’è un’ampia parentesi ischitana ed è collegata alla famosa vicenda della CPL Concordia, delle possibili tangenti, dell’assoluzione con formula piena dell’ex sindaco di Ischia Giosi Ferrandino e che ora si discute al Riesame.
Un retroscena che oggi, ad anni dalla vicenda, ci serve per collegare i fatti e comprendere, ancora di più, cosa c’era dietro.

Ampia la domanda del direttore Sallusti: «Il 21 aprile 2015 Matteo Renzi è nel suo ufficio a Palazzo Chigi, nel pieno dei suoi poteri e al massimo del suo successo politico. «Basta palude, avanti su tutto» twitta apostrofando le resistenze di parte dei suoi e delle opposizioni alla nuova legge elettorale, l’Italicum. Quello stesso giorno due ufficiali dei Carabinieri, che fanno parte della squadra di polizia giudiziaria del procuratore di Napoli Henry John Woodcock, entrano nell’ufficio del procuratore di Modena Lucia Musti con un enorme faldone di intercettazioni telefoniche e informative, composto da ben undici capitoli che coinvolgono anche personaggi, per la verità minori, del mondo cooperativo modenese. L’inchiesta è denominata Cpl Concordia, riguarda presunte tangenti per la metanizzazione dell’isola di Ischia ed è considerata la madre della successiva inchiesta Consip. Uno dei due carabinieri è il capitano Giampaolo Scafarto, che poi, vedremo come e perché, finirà nei guai. L’altro è il colonnello Sergio De Caprio, più noto come il «Capitano Ultimo», l’uomo che il 15 gennaio del 1993, a Palermo, arrestò Salvatore Riina, il capo dei capi della mafia, e a cui Raoul Bova dette un volto nella fortunata miniserie televisiva andata in onda nel 1998. Secondo quanto riferito dalla Musti il 17 luglio 2017 davanti alla commissione disciplinare del Csm, che stava valutando le accuse a Woodcock per una fuga di notizie sensibili, i due carabinieri le dicono: «Questa è una bomba, si arriverà a Renzi».

Ecco un ampio stralcio della risposta di Palamara.
«Ricordo bene, io facevo parte di quella commissione che stava ascoltando la Musti e giudicando Woodcock. Esattamente le parole messe a verbale dalla Musti sono: «I due mi dicono: “Dottoressa lei ha una bomba in mano, se vuole può fare esplodere la bomba”». In realtà la bomba era già in pieno possesso della procura di Napoli, che era pronta a farla esplodere autonomamente, come poi avvenne, ma non complichiamo la storia. Anzi, per capirla bisogna fare un passo indietro, al 21 febbraio 2014, giorno in cui Matteo Renzi, disarcionato Enrico Letta, sale al Quirinale da Napolitano per sottoporgli la lista dei ministri del suo governo. E compie il primo, grave e decisivo passo falso, almeno per quanto riguarda la magistratura.»
E’ ancora Sallusti che incalza: «Chiaro, ma torniamo all’inizio, all’inchiesta con cui, non sui genitori ma sugli appalti, si mira a Matteo Renzi».
Palamara: «Quella sulla Cpl Concordia, la società che deve metanizzare la Campania, è una maxi inchiesta che nel 2015 il pm napoletano Woodcock annuncia con squilli di tromba che lasciano intendere grandi cose: già dai primi giorni si sussurra che si arriverà a D’Alema ma pure a Renzi, «la bomba» di cui parla la pm modenese Musti. Di migliaia di carte disseminate per competenze nelle procure di mezza Italia alla fine rimarrà ben poca cosa, ma questo è un altro discorso. Una di quelle carte in effetti farà il botto, non giudiziario ma – tanto per cambiare – politico e mediatico. È l’intercettazione di una telefonata tra Matteo Renzi e il generale Michele Adinolfi, in quel momento vicino a diventare comandante generale della Guardia di Finanza. Si dice che Renzi, segretario del Pd, risponda al cellulare mentre si trova a Palazzo Chigi in attesa di essere ricevuto dal premier Enrico Letta, al quale sta per comunicare la decisione di licenziarlo e prendere il suo posto, cosa che avverrà pochi giorni dopo. Nella telefonata non c’è nulla di penalmente rilevante: i due parlano con grande confidenza – Adinolfi chiude dicendo: «Ciao stronzo» – e Renzi si lascia andare a giudizi su Letta, «non è cattivo, è un incapace», e su Berlusconi, «con lui si può parlare». Woodcock quella trascrizione la custodisce gelosamente e un anno dopo, nel luglio del 2015, la conversazione appare integrale sul «Fatto Quotidiano». Adinolfi salta, Renzi è in grande imbarazzo, partono accuse e controaccuse, ma il dato è che su Matteo Renzi si accende un faro della magistratura che non si spegnerà più.

Per induzione, da Cpl Concordia Woodcock passa a Consip, l’inchiesta sulla centrale d’acquisti dello Stato, e il cerchio si allarga. Accuse, sospetti e veleni travolgono tutto il mondo renziano, dal sottosegretario Lotti al padre di Renzi, dal comandante generale dei Carabinieri Tullio Del Sette al comandante della Legione Toscana dei Carabinieri Emanuele Saltalamacchia, tanto per fare i nomi più conosciuti. La cosa curiosa è che poco o nulla di tutto ciò c’entra con Napoli, tanto che Woodcock, fatta scoppiare la bomba, deve inviare le carte alla procura di Roma guidata da Pignatone, uno molto sensibile a certi equilibri. Pignatone non ci sta a trovarsi per le mani un’inchiesta preconfezionata che per di più appare coinvolgere premier e generali ed è inquinata da macroscopici errori – famosa la frase mai pronunciata dal padre di Renzi durante una telefonata – e da fughe di notizie che addirittura chiamano in causa i servizi segreti. Tanto per farle capire: una mattina il «Corriere della Sera» pubblica la notizia che il Noe ha segnalato in prossimità degli uffici dell’imprenditore campano Alfredo Romeo una macchina sospetta appartenente ai servizi, con l’obiettivo di carpire notizie per bruciare l’indagine. Quella stessa mattina mi squilla il telefono: è il padre di un amichetto di mio figlio che mi dice: «Luca, hai letto il “Corriere”?».

Gli rispondo: «Sì, perché?». «Ma quello della macchina sono io, stavo solo rientrando a casa mia che è davanti a quegli uffici. Possibile che in Italia le indagini funzionino così?» Per Pignatone è troppo, decide di indagare Woodcock per violazione del segreto istruttorio e lo stesso fa con il suo braccio destro Giampaolo Scafarto. Il giornalista del «Fatto Quotidiano» Marco Lillo viene perquisito e a Federica Sciarelli, conduttrice di Chi l’ha visto? oltre che molto amica di Woodcock, viene sequestrato il telefonino. Come se non bastasse, la giornalista Annalisa Chirico sul «Foglio» apre scenari inediti, e mai smentiti, svelando che quando, il 16 dicembre 2016, la procura di Napoli apre l’inchiesta Consip con l’interrogatorio del manager Luigi Marroni, nella stanza con Woodcock è presente anche un magistrato della procura di Roma, Paolo Ielo, braccio destro di Pignatone: un mistero nei misteri. È uno scontro tra procure senza precedenti, ma soprattutto è un grande giallo, anzi un noir, di cui ancora oggi non conosciamo la fine, con carte che girano e quindi fughe di notizie. tutti che parlano con tutti».

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