La Corte di Appello di Napoli, Sezione III penale, in accoglimento della istanza avanzata nell’interesse dei legittimi proprietari, difesi dagli avvocati Bruno Molinaro e Giorgio Fontana, ha decretato, con ordinanza dell’11 giugno 2021, la sospensione della demolizione di un fabbricato costituito da appartamenti abitati da più nuclei familiari, ben sette, sito nel comune di Quarto (della città metropolitana di Napoli) alla via Lenza lunga.
La Procura Generale aveva già disposto lo sgombero e programmato la demolizione delle unità immobiliari per il prossimo 15 giugno 2021.
Tuttavia, improvviso ma non inatteso, poiché fortemente sollecitato dalla Difesa, è arrivato ieri lo STOP alla demolizione della Corte di Appello, che ha motivato con la ritenuta sussistenza di ragioni di opportunità, pendendo il ricorso innanzi alla Suprema Corte di Cassazione, stante “la controversia delle questioni tecniche affrontate”.
Da notare che per le opere sanzionate erano stati anche rilasciati una concessione edilizia nel lontano 1992 ed in seguito quattro distinti permessi a costruire in sanatoria, ai sensi della legge n. 724/94, per talune difformità.
Alquanto singolare è il fatto che, proprio sulla base dell’avvenuto rilascio dei titoli in sanatoria, proprio la Procura Generale aveva chiesto anni addietro alla Corte di Appello la revoca dell’ordine di demolizione, “rilevato che l’immobile oggetto della presente procedura demolitoria in atto è stata oggetto di concessioni in sanatoria e che le stesse non appaiono illecite; considerato, conseguentemente, che, nel caso in esame, ricorre l’ipotesi d’incompatibilità del provvedimento giurisdizionale di demolizione con le legittime determinazioni dell’amministrazione competente, in seguito alle quali sono venuti a mancare i presupposti indispensabili per mettere in esecuzione il provvedimento di condanna (…) e che non si può più procedere ad esecuzione forzata da parte di questa Procura Generale”.
Sorprendentemente, in epoca più recente, la stessa Procura Generale, rappresentata da diverso Sostituto, era, tuttavia, pervenuta a diverse conclusioni, avendo valutato come illegittimi i condoni rilasciati ed eseguibile la disposta demolizione.
Altrettanto singolare è, poi, il fatto che, in questa vicenda, era stato a suo tempo stipulato anche un atto di donazione e divisione innanzi ad un Notaio che aveva attribuito pubblica fede all’operazione, avallando la piena commerciabilità dell’intero immobile, come d’altronde confermato anche da un importante istituto bancario che aveva dato il proprio placet alla erogazione di un mutuo, dopo aver valutato la assoluta legittimità dei titoli conseguiti.
Va, infine, ricordato che, a rendere ancora più controverso il caso, è anche l’ulteriore circostanza che, in precedenza, a seguito di rigetto di altro incidente di esecuzione ad opera della stessa Corte di Appello, la Corte di Cassazione aveva annullato il provvedimento per difetto di motivazione, rinviando al giudice di merito per nuovo esame, in quanto “nella relazione dell’architetto … datata 8 marzo 2019 … sono stati formulati vari rilievi circa la consistenza delle opere oggetto dell’ordine di demolizione e l’eventuale impatto derivante dalla esecuzione di quest’ultimo; con le censure esposte nella predetta consulenza tecnica, formulate in termini non generici, la Corte territoriale non si è adeguatamente confrontata, limitandosi a dichiarare inammissibile l’istanza, senza tuttavia chiarire se è in che misura si trattava di profili già precedentemente esplorato in sede esecutiva”.
Che altro dire?
Indubbiamente, questo è un caso che fa molto riflettere per le contraddizioni, le incertezze interpretative, il contrasto tra Comune e Autorità Giudiziaria e i vari colpi di scena susseguitisi nel volgere di pochi anni.
Eppure, non va dimenticato che la Corte Europea ha ripetutamente affermato che “gli Stati contraenti sono tenuti ad assicurare un esame giudiziale della complessiva proporzionalità di misure così invasive, come la demolizione della propria abitazione, e a riconsiderare l’ordine di demolizione della casa abitata dai ricorrenti alla luce delle condizioni personali degli stessi, che vi vivono da anni ed hanno risorse economiche limitate“.
In tutto questo, come è possibile che abitazioni assistite da permessi vengano demolite quando non vi è prova di collusione colpevole tra pubblico funzionario e privato beneficiario?
Il caso Fabozzi, sempre a Quarto, ha fatto scomodare tutte le emittenti televisive nazionali e locali, oltre alla carta stampata, che hanno messo in evidenza a più riprese il contrasto tra il Comune che, anche in quella particolare vicenda, aveva rilasciato i permessi, e la Procura che ha inteso, comunque, demolire l’immobile, ritenendo i permessi illegittimi, anche se non illeciti.
Come può uno Stato, che, con l’ultimo decreto “semplificazioni”, per agevolare l’accesso al c.d. “superbonus”, consente di ritenere legittimo un immobile ritenendo addirittura sufficiente una CILA per lavori di manutenzione e l’attestazione di conformità del tecnico di parte, permettere, poi, la disapplicazione di titoli in sanatoria rilasciati dai Comuni a fronte di ipotetici profili di illegittimità amministrativa, talvolta seriamente discutibili?
La misura è ormai colma e il tempo è scaduto.
Un conto è proteggere il diritto meramente economico di chi costruisce violando la normativa edilizia ed un altro conto è assicurare che la prima ed unica casa di una persona vulnerabile e in difficoltà non venga demolita con leggerezza.
Il problema va affrontato con la giusta serenità senza farsi condizionare da falsi ideologismi, guardando, in particolare, alla giurisprudenza europea per trovare la soluzione e realizzare, senza eccessivi bizantinismi, il giusto contemperamento tra attività repressiva, valori da salvaguardare e diritto alla inviolabilità del domicilio.