Nella prima puntata (LEGGILA QUA) di questa intervista con l’agronomo Francesco Mattera abbiamo toccato le problematiche relative alle tecniche di spegnimento degli incendi e i rischi causati dall’utilizzo dell’acqua di mare. Ora vediamo quali conclusioni se ne possono trarre.
– Da quanto già detto, e riconducendo tutto agli incendi estivi e non di boschi, terreni incolti, macchia mediterranea, cosa in sintesi possiamo trarne come insegnamento?
«La cosa più semplice da rimarcare è che il problema degli incendi è parte di un problema più grande e variegato, ovvero quella della gestione del territorio. La nostra isola, da questo punto di vista, è in gran parte non gestita, o gestita malissimo. Le due cose non sono alternative. Infatti sono due facce della stessa medaglia. Non ci vuole molto a capirlo, basta girare un po’ per l’isola in modo attento ed entrare in profondità sul territorio. Se si osserva infatti da lontano e distrattamente, l’isola appare bella comunque perché in definitiva lo è. Ma anche una bella donna rimane tale se non si cura adeguatamente, divenendo un poco sciatta, non vestita decorosamente, o se non cura a fondo la sua igiene personale. Un tète a tète può rivelare le sue manchevolezze. Ma può sempre riparare, allora la bellezza si esalta. Un altro esempio sono i campi di calcio, i loro tappeti erbosi: visti dalla tribuna sembrano il più delle volte perfetti. Ma se ti avvicini e soprattutto se li calpesti, noterai subito se ci sono zone diradate, buche, avvallamenti, ecc. E’ una questione ottica: l’occhio umano ha una percezione degli insiemi molto ristretta man mano che aumenta la distanza dagli oggetti, ed aumenta al contrario, fino ai dettagli più minuti, quanto più ci si avvicina. Questo è vero anche per i territori: visti da lontano non fanno percepire (o traguardare) le loro parti più minute, belle o brutte che siano, né tanto meno i problemi, piccoli p grandi che siano».
PRESIDIO UMANO
– Ma questo cosa c’entra con la gestione del territorio?
«C’entra come può entrare facilmente una mela in un canestro dalla bocca larghissima, anche se lanciata da qualche metro. Mi spiego meglio: i territori sono governati dai sindaci, ma se questi poniamo non conoscono a fondo i loro rispettivi territori, o se pur conoscendoli non se ne occupano affatto, limitandosi a poche e ristrette porzioni di essi, cosa mai potranno dirti quando succede un disastro ambientale, ad es. un’alluvione, frane, inquinamenti dolosi e, dulcis in fundo, incendi devastanti. Ti risponderanno (scioccamente a mio parere!): “E’ tutta opera di piromani, incendio doloso al 100%, non possiamo fare molto!”».
– Allora la responsabilità cade tutta in testa ai Comuni, ai sindaci?
«La percezione comune non è quella. Anche perché bisogna distinguere tra la mano dei delinquenti dalla insipienza di chi governa e amministra un territorio. Le due cose convergono sullo stesso focus: i primi sono una sorta di braccio armato, i secondi sono quelli che dovrebbero disarmarli e non lo fanno».
– Voglio capire meglio, i sindaci dovrebbero disarmare i piromani, gli inquinatori, insomma i criminali dell’ambiente?
«In senso non strettamente letterale. In senso sostanziale si! Anticipo la sua domanda successiva: prendendosi cura del territorio, attuando una politica territoriale e ambientale seria, usando le risorse umane locali, come le associazioni ambientaliste e quelle di volontariato che vanno guidate nelle loro azioni con una indirizzo preciso di quello che serve veramente al territorio, e non solo fare proclami, presidiare i varchi e le processioni religiose, ecc.. Anche quelle cose vanno fatte, ma prima vanno cavalcate le priorità. Il territorio va presidiato 12 mesi all’anno. Ed il presidio umano deve appoggiarsi anche su chi sul territorio ci vive, come ad esempio gli agricoltori. Farli assurgere ad un ruolo di responsabilità, dargli peso e importanza, e soprattutto meriti pubblici se se li guadagnano . Le associazioni culturali possono fare anche loro cose importanti. Ma non basta denunciare astrattamente o fare convegni, o andare nelle scuole a fare educazione ambientale. Tutte cose belle e sante, ma ingloriosamente sterili se non si sposano intimamente ad un complesso di azioni dirette sul territorio. Spesso le associazioni ambientaliste diventano un paravento per gli amministratori inerti e disattenti. Possono infatti pensare e dire: ci sono loro, ci pensano loro a queste cose! Ma sappiamo bene che non è così, e lo sanno anche loro. Ma dissimulano! Più correttamente ogni componente sociale può affiancarsi alle Amministrazioni comunali nella sana gestione del territorio e svolgere un ruolo che converge in una pianificazione a vasto raggio. Ma sono sempre le istituzioni pubbliche a dover guidare il tutto».
FINANZIAMENTI INUTILI
– Ma come può fare un sindaco che quotidianamente è afflitto da mille problemi, ad occuparsi anche del territorio come dice lei? E poi senza risorse economiche sufficienti?
«Questa domanda i sindaci dovrebbero porsela nel momento in cui decidono di candidarsi. Mi sembra ovvio. Ma poi come si fa a decidere che i problemi del territorio e dell’ambiente, sono ad esempio meno importanti ed impellenti delle luminarie natalizie o della sponsorizzazione di eventi dal vago sapore culturale, o di sagre paesane? Suvvia, avere un territorio sano, ordinato, ben presidiato in tutte le sue parti, dovrebbe essere il cuore di un programma politico serio e lungimirante».
– E le risorse economiche, insomma i soldoni per fare tutto ciò?
«Dire non abbiamo soldi, è una facile scappatoia. Ma il vero politico deve saper scalare le istituzioni e battere i tacchi sulle scrivanie per fare in modo che la politica prenda le mosse dal basso e non dall’alto. Spesso, se non sempre, anche l’Unione Europea bizzarramente propone finanziamenti agli Enti locali senza ascoltare le loro esigenze. La trappola a volte si risolve in progetti inutili, senza risultati apprezzabili, se non quello di divenire una succosa occasione per i tecnici che non aspettano altro per sviluppare la loro professione. Qualche esempio? Cambiamo le mattonelle a tutti i marciapiedi del comune perché quelle attuali non si accostano per colore ai fabbricati! Oppure facciamo le rampe per i disabili, laddove non c’è nemmeno la larghezza utile minima per far passare una carrozzella. E poi quelle rampe divengono un comodo piano inclinato per far salire le automobili sui marciapiedi. E mi fermo qui, per non infierire più del dovuto. Molto più saggio, utile e produttivo sarebbe che le agenzie nazionali e comunitarie di finanziamento ascoltassero i sindaci, in maniera differenziata e singola, e chiedessero loro: “Ma nel vostro comune di cosa avete bisogno per mettere a posto il vostro territorio?” E’ ovvio che ad un sindaco fuori di testa non verrebbe dato ascolto se chiedesse la luna, o cose senza senso».
LA REALTA’ DEL TERRITORIO
– Dott. Mattera, ma non è che tutto quello che dice lei si possa tradurre nella parola utopia?
«Dipende dai punti di vista! Per chi è abituato a non pensare o a pensare solo a cose amene, e non conoscere la parola impegno, forse quella parola potrebbe anche andare bene. Ma c’è evidente un vizio di fondo che l’intelligenza che attribuisco a chi leggerà questa intervista, non mi consente di spiegare. Per tutte le altre persone, suggerirei in alternativa la parola visione. La visione mia personale poggia direttamente sulla realtà attuale del nostro territorio. Un po’ come un medico che visita un paziente in difficoltà e nella sua mente matura la visione della sua guarigione, passando da una diagnosi da cui formulare poi una terapia e una prognosi. Ma…!? Occorre la collaborazione del paziente, che deve accettare anzitutto il medico e tutto quello che gli propone. Nel nostro caso il paziente è il nostro territorio e la popolazione che l’abita, il medico è colui o coloro che hanno una visione da tradurre in un piano per sanare i guasti del territorio. Le cose andranno bene solo quando il piano viene realizzato con il concorso di tutti. Stando così le cose, l’utopia rimane relegata nel dizionario della lingua italiana. Mentre la parola visione assurge a realtà concreta coniugata da tanti, forse da tutti».