giovedì, Dicembre 26, 2024

Mamma Ilia: “Gianfranco, 30 anni di amore e autismo”

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Gaetano Di Meglio | Oggi, 2 aprile, si celebra la Giornata Mondiale della Consapevolezza sull’Autismo (WAAD, World Autism Awareness Day) istituita nel 2007 dall’Assemblea Generale dell’ONU. La ricorrenza richiama l’attenzione di tutti sui diritti delle persone nello spettro autistico.
I disturbi dello spettro autistico sono un insieme eterogeneo di disturbi del neuro sviluppo caratterizzati da: compromissione qualitativa nelle aree dell’interazione sociale e della comunicazione e modelli ripetitivi e stereotipati di comportamento, interessi e attività.

I sintomi e la loro severità possono manifestarsi in modo differente da persona a persona, conseguentemente i bisogni specifici e la necessità di sostegno sono variabili e possono mutare nel tempo.
Questa è la spiegazione fredda, da manuale ma l’autismo è uno “tsunami” che colpisce famiglie intere ed è una malattia che merita rispetto sociale, istituzionale e collettivo.
Con Ilia De Angelis, la mamma di Gianfranco Celebrin, facciamo un percorso di 30 anni di amore e autismo

Prof, come si vive con un uomo autistico di 33 anni?
Eggià, un uomo autistico di 33 anni. Prima di arrivare a 33 anni, però, c’è tutto un percorso che abbiamo dovuto fare. Ogni autistico ha le sue peculiarità caratteriali e la sua gravità nella sindrome. La famiglia da sola, e ti parlo di vent’anni fa, non ci riusciva e abbiamo dovuto chiedere aiuto. Lo abbiamo dovuto fare per forza, a Ischia vent’anni fa non c’era proprio niente, ma niente di niente e quindi abbiamo dovuto fare viaggi della speranza…
Poi è arrivata l’età adolescenziale e, come tutti gli adolescenti, anche loro vivono quella crisi tremenda e anche Gianfranco ha avuto questi problemi con esacerbazioni, manierismi, diventava violento e poi più cresceva fisicamente e più diventava problematico. E quindi per forza di cose è diventato un paziente neuropsichiatrico.

A questo punto bisogna andare incontro a delle terapie farmacologiche e solo con quelle poi si riesce a bilanciare anche lo stato di compulsività e a renderlo vivibile in società.
Finita la scuola arriva il gradino, beh più che gradino è proprio una montagna insormontabile, in un centro come Ischia, e ti parlo di 15 anni fa, non c’era niente e quando levi la possibilità di interazione quale può essere la scuola, sia pure con mille difficoltà, ma comunque un momento di crescita, di confronto, in cui ragazzo vive, che si fa? Non c’era un centro, non c’era niente. Allora ci siamo messi alla ricerca e abbiamo trovato questo centro nei Padri Trinitari di Venosa, lavorano e hanno la finalizzazione della giornata con attività sia lavorative, sia anche quelle pomeridiane di sport che diventano terapeutiche e diventano un momento ancora di maggiore crescita e di avvicinamento all’età adulta.

E, quindi, Gianfranco è stato inserito in questo centro di riabilitazione ed è tuttora presso questo centro ed è stato inserito in diversi laboratori tra ceramica, fumetti e tutte quelle attività che valorizzano quelle che sono le sue capacità e danno un senso alla sua giornata.
E tutto questo non senza un grosso senso di colpa da parte della famiglia, perché sapere un figlio così lontano e senza la possibilità di potergli stare vicino e garantire anche la tua vicinanza, non è semplice da accettare. Con gli anni, però, vedo il ragazzo felice, perché io lo vedo felice, e che ha accettato la sua condizione, è migliorato in tante cose. Adesso è compatibile con tante cose che prima non riusciva a fare, tipo andare al ristorante e riuscire ad aspettare che arrivasse il suo turno. A volte siamo stati costretti a venir via dal ristorante e scusarci con i carabinieri perché… e dovevamo dire “scusateci, ma il ragazzo non ce la fa” … Oggi, invece, non solo aspetta il nostro turno, ma attende che tutti a tavola abbiano la loro pizza.
Quando ritorna a casa riscontriamo una migliore vivibilità e coesistenza con lui. L’unica cosa negativa è che lui sta lì, lontano. Con il covid abbiamo interrotto le nostre visite, ma vivendo il disagio insieme a tutti gli altri ragazzi, ha imparato a sopportarlo meglio. E anche in questo è migliorato.

Qual è il consiglio che si può dare ad una coppia, magari giovane, che si trova a fare i conti l’autismo?
“Oggi come oggi, le tecniche e le terapie che ci sono, sono molto, diciamo incisive e se vengono intraprese appena si inizia a vedere qualcosa di anomalo nell’evoluzione del bambino danno risultati. Quindi consiglio di non mettere la testa sotto la sabbia per non vedere la realtà e di darsi subito da fare e “accettare”, diciamo tra virgolette, la diversità del proprio figlio e di cercare di vedere tutto quello che, invece, di buono si conquista. I progressi, ecco, i miglioramenti che sicuramente con queste nuove terapie e con i nuovi metodi tra terapie cognitivo comportamentali, psicomotricità e tutto quello che c’è da fare. Non bisogna arrendersi. Poi, farsi guidare e non spaventarsi anche di accettare terapie psicoterapiche anche per i genitori. Noi abbiamo fatto 12 anni di terapia, sia il bambino sia noi come genitori. Perché è uno tsunami in una famiglia, un bambino diverso è uno tsunami che mina alla base la tranquillità anche della coppia. E se la coppia non è tranquilla e non accetta la situazione e la condizione del proprio figlio anche i progressi del bambino possono essere deficitari e possono non andare a buon fine.
Una buona terapia fatta con le energie giuste anche da parte della famiglia e dei genitori, può sicuramente determinare un successo evolutivo. Cosa, invece, che non avviene se i genitori non accettano questa situazione e anche la coppia, come si suol dire, scoppia.
Io mi ricordo, allora mi informavo, andavo in questi centri dove ci siamo rivolti per l’aiuto, per cercare di aiutare nostro figlio. Spesso abbiamo fatto anche giornate proprio come genitori di terapia familiare, e sentivamo anche di mamme sole. Molto spesso trovavamo mamme da sole, perché i mariti non riuscivano ad accettare questa condizione del proprio figlio e quindi, niente, lasciavano la propria moglie, divorziano perché proprio non riuscivano ad andare avanti e non per questo erano da condannare.
Mi ricordo gli psicologi che venivano e dicevano che non tutti hanno la stessa capacità e non per questo bisogna condannare chi non riesce ad accettare e comunque consigliavano sempre di dire a queste persone di farsi aiutare perché l’aiuto è fondamentale. Fondamentale per riuscire ad andare avanti nella strada dell’accettazione della vita, perché poi si continua a vivere e ti rendi conto che anche se tuo figlio è diverso rispetto agli altri, e tu vedi la diversità, ti accontenti anche di questo e c’è l’accettazione e la voglia di continuare. È questo sì, la voglia di continuare perché la vita vale la pena e di vivere con tuo figlio anche se tuo figlio è diverso. Poi hai altri figli, ci sei tu e il rispetto che hai per la tua vita che non vale la pena poi darsi per vinti e per sconfitti e quindi dentro di te tu trovi la forza anche per tuo figlio.

C’è un ricordo di Primo e Gianfranco?
Eh, Primo. Sì, Primo e Gianfranco. Ricordo la loro unione. Certe volte erano una cosa sola. Primo ci ha messo più tempo di me per accettare, però poi l’abbiamo accettato e nel momento in cui l’abbiamo accettato…. Vederli insieme, vedere la loro somiglianza, si capivano. Primo lo capiva e anticipava ogni sua reazione negativa e cercava di prevenirla. Era bellissimo vederli insieme. Eh, peccato, peccato che… la sorte e vabbè…

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