Gaetano ed Elisabetta Maschio | Il tempo è un guaritore lento ma efficace. Pensieri, riflessioni e ricordi assumono contorni più sereni e trovando equilibri più consoni alla realtà, permettono di cogliere sfumature che in passato sfuggivano, oscurate dalla ruvidezza imposta dalle circostanze” così Franco Miotto, padre del Primo Caporal Maggiore Matteo Miotto, ha voluto aprire la nostra intervista.
Il giovane Matteo nasce a Thiene il 1° aprile 1986 da papà Franco e mamma Anna così come si evince dall’Atto di matrimonio n° 50 della Parrocchia di San Michele Arcangelo in Forio. Era il 16 febbraio 1954 quando il giovane thienese, Antonio Miotto, sposò la foriana Concetta Di Maio, della famiglia denominata «‘e Carzogne».
Dal loro matrimonio nacque Franco che, sin da bambino ha dimostrato un grande attaccamento alla figura degli alpini e, seguendo l’esempio del nonno, entra a far parte del corpo degli alpini subito dopo la scuola. Già in servizio dal 2008, diventa I° Caporal Maggiore del 7° reggimento Alpini di Belluno il 12 gennaio 2009.
Si trovava in Afghanistan dal luglio del 2010; assieme agli uomini del suo reparto e a una componente del genio era impegnato nella Task Force South East, la task force italiana che dal primo settembre 2010 cominciò ad operare nel distretto del Gulistan. Dotato di straordinarie qualità morali e professionali, si prodigava, con raro spirito di abnegazione ed eccezionale entusiasmo, nell’assolvimento dei propri compiti.
Il 31 dicembre 2010, presso l’avamposto di combattimento del passo di Buji, durante un prolungato attacco portato contro l’installazione, sprezzante del notevolissimo pericolo in atto e a manifesto rischio della vita, accorreva prontamente a rinforzare il dispositivo perimetrale, cadendo infine mortalmente ferito dal fuoco nemico.
“Ricordo l’ultima chiamata a mezzo satellitare dall’ avamposto in Gulistan – ci racconta il papà di Matteo, Franco – era il 30 Dicembre 2010, l’ultimo suo giorno. Chiamata tanto inattesa quanto gradita.
«Ciao papà, (tralasciando i convenevoli) Siamo qui, un manipolo di fratelli. Sai, abbiamo qualche problema di dissenteria ma questo non ci toglie sonno e allegria. Stasera ho un po’ di febbre, ho guardia da mezzanotte alle sei, ma con un paio di Tachipirine e il freddo della notte, si può fare. C’è poca acqua, l’elicottero non si è visto, ma considerando che tra breve sarò a casa, va tutto bene».
Ecco, non importavano le difficoltà che doveva affrontare, questa era la tipica telefonata di Matteo. Il resto è narrazione per interposte persona. Ricordi legati al passato”.
In seguito alla morte del giovane Miotto, arrivarono messaggi di cordoglio anche dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, dal Ministro della Difesa Ignazio La Russa e dal Ministro degli Esteri Franco Frattini, il quale espresse il suo personale cordoglio e quello della Farnesina: «Quello odierno è in termini di tempo l’ultimo, carissimo contributo pagato dai nostri soldati nella loro encomiabile lotta contro il terrorismo internazionale, finalizzata a garantire pace e sicurezza al nostro Paese ed alla nostra società».
“Per anni – continua Franco – l’interrogativo ne è valsa la pena? ha campeggiato nelle mie periodiche riflessioni affidate ai Media. Con pacato equilibrio penso a Matteo, all’entusiasmo dei suoi 24 anni, ai suoi progetti, alla sua spensierata allegria, cose legate al passato che si intrecciano nella mente come echi lontani. Il presente, con crudo realismo, racconta di attestati e medaglie. Già, le medaglie: Croce d’onore alla memoria, medaglia d’argento al valore dell’esercito. Freddi manufatti che riempiono di orgoglio e cicatrici”.
In una toccante lettera scritta poco prima della sua morte, Matteo racconta della popolazione che abitava il villaggio dove erano stati spediti parlando soprattutto della condizione in cui erano costretti a vivere i bambini di quel villaggio.
“Si portano una mano alla bocca e noi ormai sappiamo cosa vogliono: hanno fame. Li guardi: sono scalzi, con addosso qualche straccio che a occhio ha già vestito più di qualche fratello o sorella. Dei loro padri e delle loro madri neanche l’ombra. Il villaggio, il nostro villaggio, è un via vai di bambini che hanno tutta l’aria di non essere lì per giocare. Non sono lì a caso: hanno quattro, cinque anni, i più grandi al massimo dieci e con loro un mucchio di sterpaglie. Poi guardi bene, e sotto le sterpaglie c’è un asinello, stracarico, che porta con sé il raccolto. Stanno lavorando… e i fratelli maggiori, si intende non più che quattordicenni, sono con un gregge che lascia sbigottiti anche i nostri alpini sardi, gente che di capre e pecore ne sa qualcosa…”.
Nell’ultima parte della lettera Matteo ricorda il nonno Antonio, dal quale aveva ereditato l’attaccamento agli Alpini: “Mi ricordo quando mio nonno mi parlava della guerra: “Brutta cosa, bocia, beato ti che non te la vedarè mai…” Ed eccomi qua, valle del Gulistan, Afghanistan centrale, con in testa quello strano copricapo con la penna che per noi alpini è sacro. Se tu potessi ascoltarmi, ti direi “visto, nonno, che te te si sbaià”.
Miotto, con il suo operato, ha dimostrato grande attaccamento alla patria, alla bandiera e alla difesa dei più deboli. Per questo motivo il comune di Forio, nella persona del sindaco Francesco Del Deo e di tutta l’Amministrazione, ha inteso ricordare Matteo con un’iscrizione commemorativa a ricordo, che sarà apposta sul Monumento ai Caduti in Piazza Municipio, oggi, giovedì 2 giugno 2022 alle ore 12:00, alla presenza delle autorità civili, militari ed ecclesiastiche. “Ringrazio dal profondo del cuore – conclude Franco – il sindaco e l’amministrazione comunale di Forio per questo significativo gesto, certo che anche Matteo da lassù lo apprezzerà”.