domenica, Novembre 24, 2024

«La casa è mia!»: la figlia minaccia e picchia la madre. Condannata

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Ennesima vicenda di contrasti familiari per motivi di interesse. Accusata di minaccia e lesioni aggravate, l’imputata è stata condannata a nove mesi. Pena sospesa in quanto il giudice ha riconosciuto le attenuanti generiche. Dopo essersi fatta intestare dal padre l’abitazione ha cercato di allontanare la madre e quindi è passata alle vie di fatto

Siamo ormai abituati a raccontare storie di contrapposizioni familiari anche violente per motivi di interesse. Il bene di proprietà, la casa o il terreno per taluni rappresentano un “tesoro” così prezioso da indurli a soprassedere a qualsiasi legame di parentela anche stretta e a scagliarsi contro zii, cugini, nonni, fratelli o addirittura i genitori e in qualche caso i figli. E nella contesa non di rado entrano anche i parenti acquisiti, mariti e mogli di alcune delle parti in causa. Situazioni “esplosive”, tanto che in breve si arriva ai litigi furiosi, allo scambio di offese, alle minacce, alle aggressioni non solo verbali ma finanche fisiche contro “il sangue del proprio sangue”.

Come si è verificato in quest’ultima vicenda conclusasi con la condanna dell’imputata in “lite” con la mamma. L’attaccamento ai beni materiali passa sopra ogni cosa, anche sopra l’affetto e il rispetto che dovrebbero “naturalmente” legare una figlia alla madre, ovvero colei che l’ha portata in grembo, l’ha cresciuta e accudita. Invece questa donna di 28 anni, che aveva come unica preoccupazione la proprietà dell’abitazione familiare tanto da convincere il padre a intestare a lei l’immobile, non solo ha cercato di cacciare letteralmente da casa la madre minacciandola di morte, ma è arrivata a strapparle con violenza una collana, ad afferrarla per i capelli e a colpirla con dei pugni alla testa e al collo. Procurandole lesioni fortunatamente non gravi, come si evince dal referto dei sanitari dell’ospedale “Anna Rizzoli” di Lacco Ameno. Ma sufficienti ad innescare una denuncia e un procedimento penale.
Dalla intera storia emerge ad ogni modo che questa “benedetta” casa era diventata il pomo della discordia, contesa evidentemente tra le due donne, con la più anziana che rivendicava il diritto a poter vivere tra quelle quattro mura domestiche e cercava di limitare le pretese della figlia. Ci saranno state discussioni accese e ripetuti momenti di tensione. Purtroppo, come avviene nella maggioranza dei casi, una soluzione pacifica, che pure sarebbe sempre possibile trovare, non è stata raggiunta. Tutt’altro. Tanto che la contrapposizione e i toni si sono via via esasperati fino a quando la situazione è inevitabilmente degenerata.

La figlia ventottenne è stata accusata di minaccia aggravata e lesioni personali, con l’aggravante per aver commesso il fatto contro un familiare stretto, ovvero la madre. La contestazione di cui ha dovuto rispondere dinanzi al giudice disegna efficacemente in poche righe un quadro familiare sicuramente drammatico e anche triste, ma certamente non nuovo: «Perché con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, minacciava di un male ingiusto la madre proferendo al suo indirizzo la seguente espressione “la casa non è tua me la sono fatta intestare da mio padre, fatti le valigie e vattene, tu non sei nessuno, ti faccio ricoverare, la casa me la devo vendere e poi ti faccio vedere… tu con me non la spunti… io ti ammazzo con il coltello” e nel contempo l’afferrava al collo strappandole una collana, poi per i capelli facendola abbassare per colpirla ripetutamente con pugni alla testa ed al collo così da cagionarle lesioni personali giudicate guaribili in giorni tre come da referto medico».

La responsabilità della ventottenne che si era scagliata contro la mamma per “difendere” questa casa che a quanto pare era intenzionata a vendere per ricavarne una certa somma di denaro, è stata provata nel processo. Da cui è emerso evidentemente anche lo scenario esatto in cui si sono svolti i fatti, i retroscena e le cause della forte contrapposizione tra madre e figlia. E per tali motivi l’imputata è stata condannata a nove mesi di reclusione, pena sospesa perché il giudice le ha riconosciuto le attenuanti generiche.

Come detto, se ne verificano troppe di queste vicende. E’ un dato ormai “certificato” l’elevata litigiosità che si registra da tempo immemore sull’isola per motivi appunto di eredità, spartizione di proprietà, contrapposizioni tra vicini. Una circostanza che ha portato l’isola d’Ischia alla ribalta proprio per l’elevatissimo numero di processi civili legati a queste diatribe il più delle volte tra familiari. Un primato non certamente invidiabile perché sta a dimostrare una caratteristica tutt’altro che positiva per la nostra società. Cause dinanzi al giudice civile che vanno avanti per anni e anni. E troppo spesso dallo scontro nelle aule civili si passa in quelle penali perché i contendenti si sono resi colpevoli di minacce e dispetti vari all’indirizzo del “nemico”, hanno cercato di appropriarsi in modo spiccio del possesso del bene conteso o sono passati dalle parole alle vie di fatto, con vere e proprie aggressioni. Basta poco, in certe situazioni, a far scattare la scintilla che provoca conseguenze penali. Episodi più o meno cruenti di cui è ormai costellata la nostra cronaca giudiziaria. Numerosi sono ancora in attesa di una sentenza, mentre altri si sono conclusi con condanne e in qualche caso assoluzioni.

1 COMMENT

  1. il problema che in ITALIA la Giustizia non funziona-troppo camorra e mafia-appunta com si dimostra dall arresto del Presidente dello stesso Tribunale d Ischia-sentenze che si aspettano ai tempi che verranno. Esiti di Giustizia dipende da CHI E DA COME—-DI COSA VOGLIAMO PARLARE –

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