Ennesimo capitolo della guerra di San Montano tra Francesco Del Deo e il duca Paolo Fulceri Camerini. Che stavolta ha vinto in Consiglio di Stato, ma in un contenzioso diverso da quello che lo aveva visto soccombente nei confronti del Comune per la realizzazione di opere abusive che interessavano anche una stradina vicinale e per le quali era stata ordinata la demolizione.
La materia del contendere riguardava opere meno consistenti, che alla fine si sono ridotte solo a una pedana in calcestruzzo. Ritenuta legittima dai giudici amministrativi di secondo grado, a differenza di quanto sentenziato dal Tar Campania. Opere realizzate sulla spiaggia ed infatti a proporre ricorso era stata la società “Bar Stabilimento Marino e Termale San Montano”. Ovviamente il Comune di Forio si è costituito in giudizio. Sta di fatto che in questo caso Del Deo ne è uscito sconfitto.
Tutto era iniziato nell’estate del 2020, quando il Comune aveva comunicato l’avvio del procedimento volto all’adozione di provvedimenti sanzionatori relativi alle strutture stagionali a servizio dello stabilimento: la pedana in calcestruzzo, che peraltro risultava autorizzata e prevista nella concessione demaniale del 2008, ma per la quale «non risultano agli atti d’ufficio titoli abilitativi da un punto di vista edilizio e paesaggistico», si contestava; altre strutture stagionali amovibili a servizio della spiaggia pubblica, per le quali non risultavano titoli abilitativi per quanto riguarda gli aspetti paesaggistici; diverse passerelle in calcestruzzo che non risultavano autorizzate ma venivano comunque ritenute assentibili.
Nonostante le osservazioni presentate dalla società, il Comune ingiungeva la demolizione delle opere. Nelle more del ricorso al Tar e della emissione della sentenza, la stessa società aveva provveduto a rimuovere le strutture amovibili e le passerelle. Restava dunque solo la pedana in calcestruzzo, per la quale il Tar confermava la demolizione. Di qui il ricorso al Consiglio di Stato, che ha ribaltato la sentenza di primo grado.
VIAGGIO NEL TEMPO
Come spiegano i giudici della Settima Sezione, il motivo della decisione risiede principalmente nella circostanza che quella pedana sia risalente nel tempo, come provato dalla società ricorrente. Il che modifica la natura delle autorizzazioni di cui munirsi: «Contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di prime cure – scrivono -, va subito osservato che non è dimostrata l’illegittimità di questo manufatto perché, in ragione dell’accertata risalenza della sua realizzazione, è dubbio che la sua edificazione necessitasse dei titoli edilizi che si assumono mancanti».
Non solo quella pedana esisteva già all’atto della concessione demaniale del 2008, ma «vi sono plurimi elementi documentali, già acquisiti al fascicolo di primo grado, dai quali emergono significativi indizi che fanno pensare che l’opera è stata edificata molti anni orsono e che portano a condividere le deduzioni articolate in proposito dalla parte appellante. E più l’opera si retrodata, meno giustificate appaiono le ragioni poste a fondamento dell’ordine contenente la sua demolizione che è fondato sulla asserita necessità di titoli edilizi che in passato non erano necessari».
Per addivenire a tale conclusione è stato necessario andare indietro nel tempo fino agli anni Cinquanta, quando venne realizzato lo stabilimento: «Tra gli elementi che vanno in tal proposito evidenziati, va innanzitutto ricordato che lo stabilimento balneare gestito dall’odierno appellate è presente sull’area demaniale dal 1953; già all’epoca – come dimostrano i reperti fotografici in atti – il complesso era dotato di alcune cabine-spogliatoio in legno che poggiavano su di una pedana in cemento che potrebbe verosimilmente identificarsi in quella oggetto della controversia».
IL VERBALE DEL 1972
Una vera e propria “ricerca storica”. Ed infatti i giudici del Consiglio di Stato richiamano quello che definiscono «un reperto probatorio di notevole importanza», ovvero un verbale della Capitaneria di Porto di Napoli del 10 novembre del 1972, con allegata planimetria: «In esso, in particolare, si dà atto della pre-esistenza della pedana in cls rappresentata anche sulla mappa. Ebbene, in quell’occasione, i verbalizzanti constatano che, proprio a causa della pedana in muratura posta a sostegno delle cabine, si era avuto uno sconfinamento della proprietà privata su quella demaniale, sicché la Commissione all’unanimità – confermandone la risalenza – afferma che “tutto lascia supporre dall’epoca delle costruzioni e dalla loro situazione morfologica, che le stesse (le opere sottostanti le cabine, dunque inequivocabilmente la pedana de qua), realizzate da parecchi anni e per gli usi del mare, appartenessero al demanio marittimo”». Di qui l’assegnazione alla proprietà pubblica dell’area su cui insiste la pedana contestata.
Ed infatti nella sentenza si rimarca: «Il predetto verbale riveste notevole interesse probatorio perché dimostra che: 1. la pedana in calcestruzzo è stata edificata in epoca precedente (e non di poco, attesa la difficoltà di ricostruire morfologia originaria del luogo) al 1972; 2. la stessa, da quella data, anche formalmente, è ritornata in proprietà pubblica». Aggiungendo che ulteriori numerosi documenti confermano tale circostanza, tra cui una aerofotogrammetria del 1966.
ORDINANZA ILLEGITTIMA
Una struttura risalente a tempi in cui la normativa urbanistica e paesistica era ben diversa, anzi quest’ultima nemmeno esisteva…
In proposito scrive il collegio: «Alla luce dei dati evidenziati, va a questo punto verificato se, in ragione della presunta data di edificazione, sussistano provate ragioni per ritenere il manufatto illegittimo da un punto di vista urbanistico e paesaggistico. Può tuttavia sin d’ora anticiparsi che, non solo dette giustificazioni non paiono sussistere, ma, che al contrario, ve ne sono di contrarie che supportano la tesi esattamente opposta e che, in un certo senso, possono essere enumerate in senso inverso e progressivo di importanza».
E quindi specificano: «In primo luogo, qualora si dovesse ritenere provata l’edificazione della pedana sin dal momento dell’avvio dell’attività dello stabilimento balneare, ossia dal 1953 – come pure i reperti fotografici parrebbero attestare – la sua risalenza ad un’epoca in cui non era prevista né la licenza edilizia (al di fuori dei centri urbani), né l’autorizzazione paesaggistica ex lege n.1497 del 1939 (il Piano di tutela paesaggistica per l’isola di Ischia venne approvato solo con il D.M. 12 gennaio del 1958), l’ordinanza di demolizione e ripristino impugnata risulterebbe in re ipsa illegittima per travisamento dei presupposti e difetto di istruttoria. Tale evenienza viene suffragata dalle emergenze fotografiche in atti.
D’altro canto il significato probatorio dei due dati appena ricordati – fotografia del 1953 e aerofotogrammetria del 1966 – trova un indiretto conforto nel ricordato verbale del 1972 che – pur procedendo ad una minuziosa ricostruzione dello stato dei luoghi – non indica i titoli edificatori della struttura, sebbene, è da ritenere, abbia tentato di reperirli. Questa mancanza, se da un lato conferma che il manufatto era (di molto) anteriore a quella data, come riconosciuto peraltro nello stesso verbale, potrebbe persino far ritenere che gli stessi, in ragione della risalenza dell’intervento, non fossero neppure necessari».
LA NORMATIVA DELL’EPOCA
Per stabilire se fosse o meno necessaria un’autorizzazione i giudici del Consiglio di Stato approfondiscono la materia: «A sua volta il dato logico da ultimo evidenziato, è coerente con la deduzione indiziaria secondo la quale si tratta di intervento anteriore, se non al decreto di tutela paesaggistica dell’isola d’Ischia del 1958, quanto meno all’entrata in vigore della cd. “legge- Ponte”.
A tutto voler concedere, dunque, si deve ritenere che la pedana venne realizzata in epoca successiva al 1958, ma anteriore al 1967. Di conseguenza ci si deve domandare se illo tempore, ci fosse bisogno di un’autorizzazione e/o comunque se quell’opera fosse o meno conforme al piano di tutela paesaggistica approntato in sede ministeriale, in vigore dal gennaio del 1958».
E dunque «In tema converrà notare che, pur contemplando l’intero territorio del Comune di Forio quale oggetto di tutela, il Decreto Ministeriale del 1958 non impose un divieto assoluto di edificabilità, limitandosi ad imporre l’obbligo di presentare alla competente Soprintendenza, per la preventiva approvazione, qualsiasi progetto di “costruzione” da erigere nella zona». Ma in base alla interpretazione dell’epoca, «era quanto meno dubbio che la realizzazione di una pedana in muratura, a supporto delle cabine, potesse rientrarvi, il che indurrebbe a ritenere che la normativa allora vigente non obbligava a sottoporre il relativo progetto all’approvazione della Soprintendenza».
AREA DEMANIALE
Quanto alla licenza edilizia, «è certo che per realizzare la struttura – condivisane la data di realizzazione ante 1967 – essa non fosse necessaria, posto che è divenuta obbligatoria per tutto il territorio comunale solo successivamente, ossia con l’entrata in vigore della legge n. 765 del 1967».
Il Comune in sostanza non ha provato «che per la realizzazione della pedana in calcestruzzo, in ragione del periodo di realizzazione, fosse necessario munirsi di titoli edilizi e paesaggistici. Di conseguenza l’opera non può ritenersi illegittima».
Infine, un’ultima bacchettata agli uffici comunali, in considerazione della natura pubblica dell’area ove insiste la “famigerata” pedana: «In ogni caso, è comunque condivisibile l’ulteriore deduzione dell’appellante che lamenta la mancata attivazione da parte dell’amministrazione demaniale, del potere di cui alla legge del 1977. A tenore di quest’ultima disposizione, essendo la stessa proprietaria, quanto meno dal 1972 (o comunque dal 6 maggio 1974, quando la Capitaneria di Porto dispose, come ricordato, l’acquisizione delle opere allo Stato), dell’area di sedime su cui insisteva detta pedana, entro sessanta giorni dall’entrata in vigore della c.d. legge Bucalossi se l’avesse ritenuta contrastante con rilevanti interessi urbanistici ed ambientali, avrebbe potuto disporne la demolizione, cosa che invece non ha fatto, neanche in epoca successiva».
Appello accolto e pedana definitivamente salva, dunque. Il Consiglio di Stato ad ogni modo ha deciso di compensare le spese del doppio grado di giudizio alla luce delle «ragioni della controversia ed il concreto contesto nel quale essa si è disputata».
Tanto rumore per nulla, si potrebbe dire. Per una pedana risalente alla metà del secolo scorso e la cui presenza era sempre stata evidente. Evidentemente la guerra tra duca e “papa” ha indotto gli uffici comunali ad usare la mano pesante. Ma sbagliando, e stavolta il sindaco incassa una sonora sconfitta.