La notizia del DASPO comminato all’allenatore dell’Ischia, Enrico Buonocore, diffusa dalla Questura di Napoli merita un supplemento di notizia che, ovviamente, non sminuisce la gravità della notizia stessa che è collegata – ovviamente – alla decisione assunta dal Questore di Napoli.
Tuttavia, però, va bene precisare due dettagli. Il primo è quello relativo alla natura del provvedimento. Quello annunciato e comunicato ai diretti interessati è, ovviamente, il “primo grado” del provvedimento amministrativo che viene emesso in seguito alla comunicazione degli agenti di Polizia e al termine del primo giudizio. Lo stesso provvedimento, a questo punto, sarà oggetto di puntuale ricorso al TAR nel quale verranno evidenziate le memorie difensive e, anche con l’aiuto di testimonianze, di proverà a raccontare al giudice un quadro meno di parte.
Il secondo, invece, arriva direttamente dalla Cassazione ed è un passaggio più delicato e che, oltre al diritto, accende un riflettore su quello che sarà il futuro dell’Ischia. Secondo i massimi giudici, infatti, “Legge che limita l’accesso agli stadi non contiene alcuna sanzione economica e – più in generale – non prevede la possibilità della limitazione al diritto costituzionale al lavoro. Per tali ragioni, la Cassazione ha concluso affermando il seguente principio di diritto: “il provvedimento del Questore L. 13 dicembre 1989 n. 401, ex art. 6, non può limitare l’attività dello sportivo professionale dalla quale ricava una retribuzione e con la quale estrinseca la sua personalità, mentre può vietare l’accesso ai luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive, anche quale partecipante alle attività sportive, a chi non esercita professionalmente le stesse; una diversa interpretazione della norma, che limitasse lo svolgimento di attività sportiva per professionisti retribuiti, sarebbe palesemente incostituzionale)”.”
Tradotto in parole semplici, Enrico Buonocore potrà allenare l’Ischia, potrà partecipare alle partite dell’Ischia ma non potrà prendere parte ad altri eventi sportivi per la durata del provvedimento che, ad oggi, è di anni quattro.