Lo so, scrivere due giorni di fila di Enzo Ferrandino è un onore eccessivo ed immeritato per lui da parte mia, una sorta di eccesso di confidenza solitamente dedicato alle persone o agli argomenti importanti e degne di tanta attenzione. Pensate: per tentare di “apparare” la magrissima figura del mancato manifesto di partecipazione alla morte di mio padre (da ex amministratore comunale mi toccava), ieri ho ricevuto una letterina semi-ciclostilata di condoglianze intestata alle famiglie Monti-Conte, ovviamente senza data né all’affrancatura né nel corpo della lettera. Ma la situazione che si sta progressivamente venendo a creare in seno alla sua maggioranza, se per certi versi potrebbe essere considerata fine a sé stessa, all’atto pratico rappresenta invece l’ennesimo schiaffo a un paese che, per quanto intorpidito dalla sua stessa inettitudine anche al più semplice rigurgito di dignità, alla fine meriterebbe una resa dei conti e un reset totale. Ma… sarà poi vero? In ogni caso… riparliamone!
Questo modo allucinante di gestire la cosa pubblica rapportato a fini che nulla hanno a che vedere col bene di tutti per i quali un amministratore pubblico e la sua squadra si candidano e vengono eletti, mette a nudo il cammino ormai solitario di un uomo che sulla carta, da qui a quattro anni, non avrà più alcuno sbocco politico e professionale e, pertanto, insegue vanamente il proprio “piano B” come un miserrimo personaggio in cerca d’autore, sebbene ogni possibile o almeno ipotizzata opzione pare sfuggirgli sistematicamente di mano: alla Regione, l’ho scritto da mesi, c’è Dionigi Gaudioso ben più titolato e credibile di lui a voler correre; alle Europee occorrono qualità e soldi e lui, tronfio e convinto delle prime, sulla materia dei secondi è particolarmente sensibile (o, come diceva Peppino Brandi, “è stritt ‘e piett”); delle Politiche neppure se ne parla prima della scadenza naturale del 2027. E allora? Unico obiettivo possibile (ma neanche tanto): serrare le fila e anticipare una nuova tornata elettorale dimettendosi o facendosi sfiduciare prima dello scoccare di due anni, sei mesi e un giorno, in modo da dribblare la mancanza di quella leggina sul terzo mandato che con la Meloni al Governo nazionale resterà ancora a lungo una chimera per la sinistra.
E allora, a quel paese Gianluca, gli accordi tra Benito, Camillo e Gabriele, il legame con la Fortini, la stabilità dei gruppi politici e il rispetto della parola che continua a non essere il suo forte: si salvi chi può, prima che sia troppo tardi o, ancora peggio, gli alleati in fibrillazione silente si sveglino dal sonno stroncandogli la carriera ancor prima del dovuto. E su quest’ultimo rischio, almeno per ora, stendiamo un velo pietoso!