GEPPINO CUOMO | Un lungo, sentitissimo applauso ha salutato la sua omelia: Un’omelia fatta di ricordi lunghi 54 anni, tanti quanti se ne contavano ieri di sacerdozio. Con voce rotta spesso dalla commozione, a stento ha trattenuto le lacrime. Don Agostino Iovene ha celebrato così la sua ultima messa da parroco di San Pietro. E’ prossimo ai settantanove, finché i malanni fisici lo hanno lasciato in pace, ha tirato la “carretta” senza lamentarsi mai. Quello che non lo ha mai abbandonato è stato il suo sorriso malizioso, dietro il quale ha nascosto tanti aspetti positivi e negativi del suo sacerdozio. Mai per sua volontà, comunque è stato sempre al centro della vita sociale e comunque mai fuori di essa, ha quasi sempre fatto “Chiesa” da solo in una Diocesi dove le spigolosità del clero non erano e non sono poche. Da giovane prete conquistò la fiducia della gente del Macello, allora ben diversa realtà rispetto ad oggi. Comunità emarginata che aveva la religione come suo ultimo dei pensieri. Non esisteva la chiesa del Buon Pastore, non esisteva altra struttura al Macello nel patrimonio della diocesi, ma da lì a qualche anno, quella chiesa risultò essere una delle più frequentate.
Don Agostino è sempre stato dotato di carattere forte, tutto si può dire di lui, tranne che fosse un don Abbondio. Ben presto anche la politica si accorse del giovanissimo parroco e decenni fa, avere la chiesa amica nelle elezioni amministrative contava parecchio. Oltre quarant’anni fa dominava la scena Enzo Mazzella e l’accostamento fra i due fu sottoscritto con lo spostamento di don Agostino alla parrocchia di San Pietro, chiesa comunale di importanza storica e da tutti ritenuta la più ricca dell’isola. Chi era allora il parroco don Agostino, nonostante la giovane età, ce lo fa capire la rivoluzione dei fedeli del Macello che fecero agitazione nella zona per parecchio tempo, mai avrebbero voluto lo spostamento del loro parroco ad altra parrocchia. Neanche lui l’accettò volentieri, rifiutandola in un primo momento ed accettata per obbedienza. In tanti, per molto tempo, hanno pensato che la politica sfruttasse don Agostino, per accorgersi col senno di poi, che don Agostino sfruttava i politici a fini sociali e a scopi religiosi. Ogni suo aiuto chiesto al sindaco, all’assessore, al consigliere al ramo, non era mai a suo uso e consumo, ma sempre per risolvere problematiche di gente abbandonata a se stessa.
CARATTERE ORGOGLIOSO
San Pietro come chiesa è localizzata al corso e quando don Agostino ne prese possesso non era così curata. Lui riuscì a farla rimettere nelle giuste condizioni. Ereditò situazioni particolari al suo interno, gente che frequentava la parrocchia e che non dava certo il buon esempio. Ha avuto la forza di renderla frequentabile affrontando in prima persona e risolvendo situazioni scabrose. In questi anni ha creato un gruppo di giovani che ha cresciuto altri giovani nel ricambio generazionale. Per anni ha fatto crescere la simbiosi fra socialità laica e religiosa, mantenendo in piedi “Settembre sul Sagrato”. Una settimana di spettacoli gratuiti che si trasformò in un appuntamento turistico di grosso livello. Fra coloro che conoscono e frequentano don Agostino, pochi lo ritengono parte integrante del capitolo diocesano, nella mentalità di tutti è il parroco a se stante, solo contro tutti. Difficilmente si è piegato alla volontà altrui, di carattere orgoglioso, se preso di petto spesso dimentica di essere sacerdote e ti fronteggia come una persona qualsiasi, senza pensare se tu sei amico o avversario. Se aveva da dirti qualcosa te la spiattellava (e lo fa tutt’ora) in faccia. Ma il suo capolavoro, è quello che lascia alla chiesa di San Pietro ed a tutta la comunità. Proprio di fianco alla chiesa, esisteva un cisternone per la raccolta dell’acqua potabile. Acqua che nella prima Ischia del dopoguerra veniva portata sull’isola dalle navi cisterne. Da una sua “pazza idea” dopo anni di impegno materiale, dopo anni di sacrifici economici, quell’inutile cisternone è stato trasformato in una meravigliosa sala multiuso. Orgoglio non solo di don Agostino, ma orgoglio di tutti, frequentatori o meno della parrocchia.
Dopo decenni e decenni don Agostino lascia la responsabilità della chiesa di San Pietro, affettivamente quella parrocchia non uscirà mai dal suo cuore. Quanti ricordi si affollano nella sua mente. L’ultima messa da parroco gli avrà fatto dimenticare per un attimo i malanni e guardando uno per uno i fedeli che hanno affollato la chiesa, avrà rivissuto centinaia di storie che hanno occupato la sua vita. Quel lungo applauso è stato la ricompensa al suo modo di fare, al suo operato e si è sentito gratificato.
IL CENTRO PARROCCHIALE
– “Don”, che si prova a dire basta?
“Niente di particolare, perché io non dico basta. Ero prete ieri, sono prete oggi e sarò prete anche domani. Smetto di frequentare assiduamente la parrocchia di San Pietro per una questione di sensibilità e di rispetto verso chi verrà a fare il parroco qui al mio posto. Ognuno deve assumersi le sue responsabilità senza avere ombre alle proprie spalle. Io continuerò a fare il prete e da domani andrò a dire messa in Cattedrale. Andare in Cattedrale è un po’ come ritornare alle origini. No, posso assicurare che non ritengo affatto di essere arrivato al capolinea”.
– C’è qualcosa che non sei riuscito a realizzare e che invece avresti voluto fare?
“Ho sempre fatto tutto quello che mi riproponevo di fare. Onestamente non è stato poco e non è stato facile, ma grazie all’aiuto di Dio ho realizzato tutto quello che in cuor mio volevo realizzare. Certamente l’opera più impegnativa è stata il centro parrocchiale che è costato una cifra blu e sicuramente da solo, nonostante di mio c’è parecchio, non avrei mai potuto portarla a termine. Io ho insegnato a tempo pieno per oltre vent’anni e questo mi ha permesso di avere uno stipendio che mi è servito a tamponare tantissime cose. No, non ho rimpianti di cose non fatte”.
– Quanti vescovi hai avuto?
“Parecchi, se parliamo solo da sacerdote, ne ho avuti sette escluso S.E. Carlo Villano. Sono stato ordinato sacerdote da S.E. Dino Tommasini, poi per due anni Corrado Ursi, quindi Diego Parodi, Antonio Pagano, Filippo Strofaldi, Pietro Lagnese e Gennaro Pascarella”.
– Chi secondo te ha dato di più alla diocesi?
“Non ho dubbi nel dire Pietro Lagnese”.
– Come mai ritieni che sia stato S.E. Pietro Lagnese? In molti penso non condividerebbero questo parere.
“Io la penso così perché la diocesi la vivo dall’interno. Il vescovo Pietro Lagnese ha ubbidito. E’ stato nominato vescovo di Ischia per riordinare le cose nel clero ischitano e ha ubbidito, portando a termine la missione per la quale era venuto. Ha sistemato molte cose che non andavano per il verso giusto e forse questo dall’esterno è stato vissuto marginalmente, ma chi è all’interno lo sa. Un lavoro non facile”.
IL RAPPORTO CON I GIOVANI
– Don Agostino e la politica, che rapporto c’è stato?
“C’è stato un buonissimo rapporto. Avere conoscenze con i politici di una volta, mi ha consentito di sistemare molte faccende che altrimenti non si sarebbero mai sistemate. La mia politica è sempre stata improntata all’onestà, senza onestà non ci poteva essere politica. Io ero molto amico di Enzo Mazzella e grazie a queste mie conoscenze ho risolto molte cose. Te ne dico una per tutte. Una sera un padre di famiglia con parecchi figli mi venne a dire che non avevano più un tetto dove ripararsi. Me ne feci subito carico andando a dirlo ad Enzo Mazzella, gli dissi che serviva una casa per questa famiglia, bene, quella famiglia da allora è ancora in quella casa e così tante altre cose, come la chiesa di San Pietro di proprietà del comune, un tempo fatiscente ed ora invece decorosissima”.
– Don Agostino e i giovani.
“Ti sembrerà strano, ma più che cercare io i giovani, sono stati i giovani a cercare me. Ora alcuni di loro non sono più ragazzi ma continuano a passare di qua per salutarmi, per scambiare quattro chiacchiere, segno che alla base c’era e c’è un ottimo rapporto. Con loro insieme abbiamo fatto tante cose, tutte impegnative ed i risultati si sono visti”.
L’OBBEDIENZA
– In una nuova vita rifaresti il prete?
“Assolutamente sì e credo che rifarei le stesse cose. So di non avere un carattere molto dolce, ma tra positività e negatività, mi accontento visto i risultati ottenuti”.
– Ti sei mai pentito di aver reagito in maniera sbagliata in qualcosa?
“Nella finalità no, forse nei modi, ma siamo umani e le reazioni sono umane. Non posso mica pretendere di andare a genio a tutti, credo sia impossibile, anche se parliamo di Gesù saremmo capaci di trovargli dei difetti. Siamo persone umane fra persone umane”.
– Sei stato il prete che ha determinato di più nella nostra comunità, te ne rendi conto?
“Se si intende che ho fatto molte cose, devo riconoscere di sì, ma forse perché ne ho avuto la volontà e ne ho avuto le occasioni che non mi sono fatto sfuggire. Da parroco di San Pietro, ho fatto anche il muratore per sistemare la chiesa, in caso di bisogno non mi sono mai tirato indietro. Per il resto ho sempre ubbidito. Il vescovo di turno ti chiamava e ti chiedeva di fare e tu anche se non condividevi ubbidivi. Questa è stata la mia vita da sacerdote, ventiquattro ore su ventiquattro per cinquantaquattro anni”.
FUTURO IN CATTEDRALE
– Hai mai sentito sulle spalle il peso di essere tu la Chiesa nei confronti di chi ti ha seguito?
“Mi dai responsabilità che non ho mai avvertito sulle mie spalle. Sono stato parroco e vicario, sicuramente mi sono assunto delle responsabilità, poi cosa pensasse la gente di me, non mi sono mai fermato a riflettere, mi bastava stare in pace con me stesso. E’ vero, per molti sono stato un punto di riferimento e per certi versi lo sono ancora, ma la soddisfazione maggiore è vedere che amici sacerdoti, che ora mi hanno dato una mano ad andare avanti, sono cresciuti nella mia parrocchia e sulle mie orme mi sostituiranno e so che lo faranno nel migliore die modi”.
– Come pensi che sarà il tuo futuro ora che non hai più grandi responsabilità verso la collettività?
“Continuerò ad essere sacerdote, noi preti non andiamo in pensione. Forse mi affaticherò di meno, ma continuerò a dare quello che riuscirò a dare. Ora la mia messa quotidiana la dirò in cattedrale. Quando S.E. Pagano mi disse di volermi mandare a San Pietro, gli risposi che mi sarebbe piaciuto andare alla cattedrale, che era il mio ambiente naturale. La sua risposta fu che alla cattedrale ci sarei andato dopo San Pietro. In un certo qual modo si è avverato, dopo trentaquattro annima si è avverato”.