mercoledì, Dicembre 25, 2024

#raggid 02. Una società seria non è “sintetica”

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02 Nel 2011 il Prof. Sassi e un gruppo di ricercatori pubblicarono un interessante studio derivato dalla costante e sempre crescente tendenza dei calciatori “prof” a lamentarsi del dispendio energetico pagato giocando su terreni in erba artificiale e ritenuto superiore rispetto ai campi in erba naturale (ma la maggiore percentuale d’impiego di queste superfici è più nei dilettanti). L’esito fu deludente per i detrattori: nessuna differenza sostanziale.
Tuttavia il calcio si sa, per chi lo ama, lo vive, lo gioca, non è poi solo l’esito di una ricerca scientifica sul dispendio energetico, misurato peraltro con un’analisi di una corsa continua di un certo numero di minuti, perché questa non identifica la realtà del “gioco”, di suo imprevedibile per salti, calci e tiri/lanci della sfera (la differenza sta che i secondi necessitano di precisione ed obiettivi), frenate, ripartenze, scatti, tackle, cambi di senso e direzione, differenze emotive e motivazionali e così via.

Chi insomma gioca a calcio sa che una differenza tra erba sintetica ed erba naturale c’è, eccome! E questa si sente e si paga a qualsiasi livello, con la differenza che ai più alti livelli di professionismo la qualità dell’erba naturale è praticamente sopraffina mentre rarissimamente si gioca sul sintetico.
Un campo in erba artificiale necessita (o può necessitare, dipende dai ruoli) di una tacchettatura differente, di una frequenza-passo diversa, di un appoggio più leggero durante la corsa per scongiurare la sensazione di pesantezza che potrebbe presto sopravvenire, di una maggiore scioltezza nell’approccio coordinativo alla sfera per calciarla considerato che non dovrà praticamente mai tenersi in conto un intralcio al suo rotolamento e, ancora, potrà essere privilegiato un gioco di maggior movimento perché la palla potrà esser servita facilmente nello spazio piuttosto che esser giocata “su uomo”.

L’ho fatta breve, ma il discorso potrebbe essere ampliato. Quel che invece qui conta è sottolineare la scelta dell’Ischia di muoversi/partire in anticipo per fare almeno una rifinitura su un campo con queste caratteristiche in orario quanto mai prossimo a quello di gara prima di affrontare il match stesso. Questa iniziativa piace non poco! Metodo, spunto, cura del particolare, programmazione (il massimo sarebbe stato affrontare una settimana intera su un manto con le stesse caratteristiche, ma consideriamo anche le oggettività con cui sull’isola bisogna confrontarsi), indirizzo: tutte peculiarità e caratteristiche che devono necessariamente responsabilizzare la Società stessa e i calciatori (soprattutto quelli giovani che devono essere “spugne accelerate” nel comprendere ed assimilare in che contesto stanno operando e rapidamente far propri determinati concetti). Una Società che vuole puntellare il presente per prendersi il futuro deve – e ripeto “deve” – saper fare scelte di questo genere.

Il risultato del campo poi può dar ragione o meno, ma in prospettiva, considerato che il calciatore tende sempre a lamentarsi e a trovare scuse se poi le cose non vanno come si spera, muoversi con questa maniacale attenzione non può che pagare. È anche così che si costruisce un DNA vincente. Per una società impegnata in un percorso di crescita e maturazione (rectius, assestamento) questo invece dovrà rappresentare una sistematicità nella metodologia di lavoro. Lo auspico.
E così, tornando al girone G della “D” 2023-24, scopriamo che sulla carta abbiamo nove compagini che giocano sul naturale e nove sul sintetico salvo poi andare nel sostanziale e scoprire che in realtà delle due squadre a giocare sul sintetico le gare di casa (S. Marzano e Sassari Latte Dolce), una va in campo a Sassari, sul naturale della Torres (l’altra al momento va comunque sul sintetico di Palma Campania). È anche per questo che nulla deve esser lasciato al caso.
La gara di domenica scorsa molto di questo lo ha confermato: per lunghi tratti, pur non trattandosi di una partita di particolari contenuti tecnici, tattici ed anche agonistici al di là delle ben nove ammonizioni (ci mettiamo per precisione anche l’ennesima dello staff gialloblù), la palla si è mossa rasoterra, con buona sufficienza nei passaggi e nei controlli, non di rado al massimo a due tocchi.

Per il resto, a mio avviso, sarebbe da prendere a pedate quel presunto esperto di pallone che ritiene il girone “G” un girone abbordabile: io stesso ho sempre ritenuto sia “cosa buona e giusta” agire in tal senso nei confronti di questi soggetti ma anche il diffidare da una presunta abbordabilità. Il “G”, come il girone ma anche come il più famoso “punto”, affascinante e misterioso, da queste parti, negli ultimi tre anni, lo hanno vinto due volte le campane e una volta una laziale e nell’ultima Stagione Sportiva nessuna vi è finita da retrocessa in C. Inoltre, per dirla tutta, se si escludono i gironi A, B, C che sono a 20 squadre e il girone I dove è finita La Fenice Amaranto dopo il recente flop della Reggina e che gioca a 19 squadre, negli altri cinque gironi a 18 compagini che proveremo a tenere come riferimento durante questo percorso 23-24, propone in due casi dopo tre matches squadre a punteggio pieno e in tre casi no, quindi c’è mediamente un buon equilibrio con nessun salto in avanti: siamo in Serie D, vale per tutti, dovremmo in qualche modo farcene capaci, anche a livello di presunti e sbandierati blasoni. C’è da lavorare, sudare e correre per tutti, con o senza frusta.

L’Ischia nel frangente è una delle uniche sette squadre del girone a non aver ancora perso ma anche una delle sei che non ha ancora vinto (come le prime tre appaiate in testa, una laziale, una campana e una sarda) e dovrebbe cominciare a chiedersi come mai approccia le gare in maniera piuttosto molle: dopo tre gare, non moltissime ma neanche poi tanto poche, ha concesso troppo all’Ardea per poi passare generosamente in vantaggio e offrire qualcosa di più dopo il pari dei padroni di casa mentre alla seconda s’è dovuto attendere il fischio d’inizio del secondo tempo per cominciare a vedere il motore acceso a certi règimi e alla prima trasferta sarda il primo tiro è arrivato solo al 35’.
Nessuna sentenza, per carità, solo curiosità.

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