L’udienza dell’appello per il caso del piccolo Mattia e dei suoi genitori divorziati è terminata alle 13.10. Collegati in teams, gli avvocati e la procuratrice speciale hanno illustrato al collegio sia gli ultimi fatti, sia tutto il pregresso che è ritornato ad essere oggetto della discussione.
L’accusa ha condiviso e sostenuto la richiesta della difesa del padre del bimbo che chiedeva l’allontanamento del minore dalla mamma e la possibilità di affido alla nonna paterna. Una terza linea che, fino ad oggi, non era ancora emersa. Così come non era ancora emerso un particolare di non poco conto. Secondo la difesa del padre – si, perché in questa vicenda c’è anche il padre di Mattia – dal circo mediatico che si è accesso attorno a questo minore è emerso una circostanza medica di cui il genitore non era a conoscenza. Un particolare, molto importante, reso noto a tutti e spiattellato sui social da chi, congiunto del piccolo, non solo ha reso noti alcuni dettagli che la stampa aveva sempre tenuto riservato, ma ha, appunto, aggiunto dei particolari che potrebbero cambiare la decisione del tribunale.
In questi giorni, tuttavia, abbiamo raccontato questa vicenda con un forte pregiudizio sul terzo attore in campo: ovvero il sistema dei servizi sociali in opera ad Ischia. Prima di tutto è utile chiarire che le nostre rimostranze non sono mai state dirette al singolo ma al sistema (che a detta di tutti dimostra pecche in ogni dove e che solo pochissimi – con evidenti collegamenti – hanno provato a difendere) in generale e, come giusto che sia, abbiamo sposato – fin da subito – la ferma condanna di ogni forma di violenza istituzionale, soprattutto quella collegata alla PAS, facendo nostre quelle che sono state le parole della Suprema Corte di Cassazione. Al netto di questa posizione, tuttavia, però, non sarebbe giusto lasciare senza “diritto di tribuna” e senza ascolto quella che è l’altra posizione debole di questo caso: il padre.
Come è giusto che sia in questi casi, ovviamente, la divisione in angeli e demoni è la prima che viene fuori ma oggi, quando i giorni passano e quando i tasselli si aggiungono, anche nel racconto della cronaca (oggi stiamo raccontando di un’udienza che si è svolta ieri), vale la pena di fare meno i tifosi.
La storia di questi genitori è iniziata nel 2014. Nel 2018 si separano e nel frattempo inizia il lungo contenzioso giudiziario che, piano piano, ci porta fino ad oggi che siamo in attesa delle decisioni del giudice. Un giudice che deve decidere sul futuro di questo bambino ma che deve tenere conto di tutto quello che è successo. Ed è certo che il giudice terrà conto anche del caso mediatico voluto dal nuovo avvocato della madre e delle esternazioni social di altri congiunti. Un mix al quale si aggiunge, tra l’altro, la dettagliatissima memoria di opposizione al reclamo della mamma presentata alla difesa del papà.
Giorni sicuramente movimentati per tutti ma che meritano di una decisione saggia. Così come quella proposta dell’avvocato Clotilde Di Meglio che ha svolto un ruolo importante nella prima fase di questa storia infinita e che poi ha lasciato il sipario all’avvocato fiorentino che ha preferito lo scontro mediatico più che d’aula. E quando lo scontro, poi, diventa aperto a tutti, è naturale che l’altra parte inizia a raccontare altri dettagli che rendono la vicenda ancora più dolorosa. Per tutti a questo punto. Sia per chi urla all’esterno di una scuola, tra mamme e bambini, accusando l’ex marito sia per quelli che, in qualche modo, scelgono la linea del tifo e, forse incolpevolmente, firmano delle dichiarazioni che non sempre sono la realtà dei fatti e che li qualifica più come incoerenti che come bugiardi.
Al vaglio del tribunale, inoltre, è stata sottolineata anche la strumentalizzazione della presenza del sindaco Pascale. Per alcuni, infatti, la presenza del sindaco era più una forma di “solidarietà” con le posizioni della mamma che non un intervento istituzionale. La verità racconta che Pascale si sia limitato solo a ricordare agli assistenti sociali di rispettare una sentenza della Cassazione che definisce l’atto di “sottrarre ii minore dal luogo ove risiede con la madre, per collocarlo in una casa-famiglia, e a prescindere dai vizi del decreto come sopra rilevati, non appare misura conforme ai principi dello Stato di diritto”.
Una cosa è affermare questi principi, una cosa è emettere sentenze in un caso che, sinceramente, è molto, molto, difficile da comprendere. Immaginatevi da giudicare.