Mi rendo conto che si tratta di un argomento non esattamente alla portata di tutti. E ancor di più, ritengo che se uno storico filo-americano come me comincia a parlare di crisi del sistema economico statunitense e dell’attuale asse globale a cui apparteniamo non può che essere preso sul serio. Ecco perché il consolidamento del fronte BRICS (nient’altro che l’insieme di Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa in un unico, nuovo progetto globale su larga scala), con le sue decine di richieste di nuove adesioni, dovrebbe in qualche modo interessare anche tutti noi, non solo quali cittadini europei ma principalmente da appartenenti ad una nazione storicamente atlantista che non può certo permettersi ulteriori scossoni, visti i tempi che corrono per imprese e famiglie di casa nostra.
Giusto per restare il più vicino possibile alla nostra realtà, va detto che ancor prima della guerra in Ucraina, le sanzioni UE alla Russia avevano già minato il nostro sistema turistico in un momento in cui quel segmento di incoming stava rappresentando una fortissima svolta economica, per l’isola d’Ischia come per l’Italia e l’Europa intera, attraverso gli arrivi di un pubblico di ottimi spender,benché figlio dell’enorme stratificazione dei redditi da quelle parti. Quel genere di turismo luxury era ben lieto di aver scoperto l’Italia tra le sue destinazioni preferite e tutti contavamo di poter costruire su di esso un nuovo modello di rinascita economica, puntualmente stroncato dalle scelte quanto meno discutibili dell’Unione Europea e dagli eventi a cui tuttora stiamo assistendo.
L’ulteriore emarginazione della Russia conseguente al conflitto tuttora in corso, unitamente a tutti i provvedimenti restrittivi conseguenti, avrebbe dovuto dare un vero e proprio colpo di grazia a Putin e al suo sistema. E invece, per quanto il mainstream voglia farci credere a tutti i costi l’esatto contrario, da quelle parti sembra proprio che continuino a crescere e a consolidare, in seno al BRICS, un nuovo modello di influenza della politica mondiale e del commercio internazionale, oltre a farlo diventare catalizzatore di notevole interesse per gli investimenti dei paesi in via di sviluppo.
E se è vero, com’è vero, che è proprio l’enorme massa debitoria degli Stati Uniti a tenere sotto scacco l’intera Europa e le sue decisioni, quand’è che si comincerà a capire seriamente il da farsi?