Dopo diverso tempo in cui ho sostenuto che sia Matteo Berrettini sia Jannik Sinner fossero degli ottimi tennisti ma non certo dei fuoriclasse, in quanto i loro colpi e la loro tenuta mentale-tecnico-tattica non risultavano mai all’altezza di reggere botta al salto di qualità all’interno della top ten ATP, la vittoria di Vienna è riuscita finalmente a farmi cambiare idea sul nostro campione altoatesino.
Vincere contro Danil Medvedev non è impresa da poco e Jannik ci è riuscito per due finali di fila! Ma soprattutto, in entrambi i casi ha convinto sotto ogni aspetto tra quelli in cui fino a poco tempo fa risultava fallace negli appuntamenti che contano, aggiungendovi una resilienza da veterano che gli consente, oggi, di risalire la china anche in situazioni apparentemente irrecuperabili e in cui, in ogni caso, riesce a recuperare alla grande a prescindere dall’esito finale del match, anch’esso sistematicamente favorevole nei recenti importanti appuntamenti del circuito.
Non mi lascio certo suggestionare dal raggiungimento della quarta poltrona del ranking mondiale, sia ben chiaro. Ma lo Jannik Sinner che ho visto giocare nella finale di Vienna, più che a Toronto e e a Pechino, è quello che mi ha impressionato di più, con una capacità di sbagliare veramente pochissimo e, in ogni caso, riuscendo a dettare autorevolmente i ritmi del gioco nei momenti cruciali del match, imponendoli al suo avversario senza troppa clemenza.
Questo, tennisticamente parlando, è il Sinner che vorrei sempre e che, di questo passo, può togliersi ancora qualche soddisfazione, a cominciare dal vincere finalmente uno Slam e, perché no, battere quell’eterno insormontabile colosso che risponde al nome di Nole Djokovic, il quale non vuol proprio saperne di scendere per sempre dalla vetta mondiale. Apprezzo decisamente poco, invece, questo suo modo glaciale, distaccato e supponente di rispondere ad alcune domande nel corso delle interviste, quando alterna a battute simpatiche ed eleganti (come quella della compiacenza del momento verso Toronto e Montreal) alcuni atteggiamenti sgradevoli come quello dopo la vittoria con Rublev a Vienna (“Non gioco per la storia dell’Italia, io gioco per me e gioco per i tifosi”) e della latente considerazione della sua nazionalità al termine della finale in terra d’Austria.
Nessuno è perfetto, ci mancherebbe, Ma un campione dev’esserlo sempre, in tutto e per tutto!