venerdì, Settembre 20, 2024

ABUSO DI “CHIESA”. Il Comune di Ischia vince la guerra contro gli abusi edilizi di Sant’Alessandro

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Il Consiglio di Stato ha respinto l’appello della Confraternita. Già il Tar aveva ritenuto legittimo il rigetto parziale della istanza di condono con contestuale ordinanza di demolizione per le opere di ampliamento della chiesetta che hanno occupato un tratto di strada pubblica. I giudici di secondo grado hanno ritenuto corretta quella sentenza, anche alla luce del vincolo di inedificabilità assoluta

Il Comune d’Ischia vince definitivamente la “guerra” di Sant’Alessandro. Il Consiglio di Stato ha infatti respinto l’appello presentato dalla Confraternita della Venerabile Chiesa dello Spirito Santo per la riforma della sentenza emessa dal Tar nel 2019 che le dava torto. L’Ente ha avuto ragione a sanzionare quei lavori abusivi di ampliamento della chiesa, parzialmente non condonabili, in quanto hanno peraltro occupato illegittimamente un tratto di strada pubblica. Nella sentenza del collegio della Settima Sezione si ripercorre l’annosa vicenda, sintetizzando la decisione del Tribunale amministrativo regionale ritenuta in questa sede corretta.

La sentenza del Tar impugnata, si ricorda, aveva respinto il ricorso proposto «avverso il provvedimento adottato dal Comune di Ischia, di rigetto parziale dell’istanza di condono presentata in data 30 settembre 1986, riferita all’ampliamento di una preesistente unità immobiliare, motivato in considerazione della occupazione, per una porzione delle opere oggetto di sanatoria, della strada pubblica, con contestuale ingiunzione alla demolizione e al ripristino».

I giudici di primo grado avevano rilevato innanzitutto «che la ricorrente non ha assolto all’onere su essa gravante di comprovare la sussistenza dei presupposti per l’accoglimento della domanda di sanatoria straordinaria, con precipuo riferimento alla proprietà esclusiva dell’area interessata dall’intervento, essendo stati ritenuti dal primo giudice non sufficienti gli elementi allegati in giudizio e, comunque, idonei a superare le evidenze alla base della determinazione adottata dall’amministrazione, sottolineando, peraltro, la richiesta formulata, in via di subordine, dall’interessata all’ente territoriale nel corso del procedimento, diretta ad ottenere la concessione dell’area pubblica ovvero la compensazione con altra area in sua proprietà in precedenza occupata oppure la disponibilità della stessa verso pagamento di un corrispettivo». Il che starebbe a significare l’ammissione che il tratto di strada occupato era pubblico…

Ancora, il Tar aveva escluso «in radice l’ammissibilità della sanatoria straordinaria nella parte relativa all’occupazione della strada pubblica, alla luce delle previsioni della l. n. 47 del 1985 e della sussistenza del vincolo di inedificabilità assoluta apposto in epoca anteriore all’edificazione abusiva, completata nel 1975». Respinto anche un ulteriore motivo di ricorso: «Quanto, infine, alla impossibilità di procedere alla demolizione parziale delle opere senza pregiudizio per la parte del fabbricato ammesso a sanatoria, il primo giudice, oltre a rilevare la mancanza di allegazioni a comprova di tale affermazione – non prodotte dalla ricorrente – ha escluso l’applicabilità del d.P.R. n. 380 del 2001, non venendo in rilievo una mera difformità parziale rispetto a un titolo edilizio bensì la totale abusività dell’opera».

LA PROPRIETA’ DELLA VIA

La Confraternita è quindi ricorsa al Consiglio di Stato nella speranza di ribaltare quella sentenza “criticata”, «deducendo che il primo giudice avrebbe erroneamente interpretato il materiale probatorio prodotto nel corso del procedimento e in giudizio, incluse le perizie di parte, emergendo, invece, evidenze sufficienti a comprovare una non corretta rappresentazione catastale dell’area e che l’opera eseguita non insisteva su suolo pubblico ma all’interno della proprietà della Confraternita delimitata da apposito muretto. Oltre a contestare l’assenza di un’adeguata istruttoria, con riproposizione della richiesta di nomina di un CTU o di un verificatore, la deducente ha insistito, sulla base degli elementi specificamente indicati, per l’assenza di evidenze a comprova della certa proprietà pubblica della porzione del lotto interessato dall’edificazione». Tentativo vano. Continuando a sostenere inoltre la violazione della legge sul primo condono e la impossibilità di esecuzione della demolizione parziale «per il pregiudizio che ne deriverebbe alla parte del fabbricato assentita, con riproposizione delle censure originarie».

Il Comune di Ischia si è costituito in giudizio, sollevando eccezione di inammissibilità dell’appello, contestando il tardivo deposito di documenti e comunque reiterando l’infondatezza del ricorso. Analogamente si è costituito il dott. Franco Napoleone, controinteressato, «il quale ha sollecitato l’amministrazione alla conclusione del procedimento di condono, pendente da molti anni, con interposizione anche di un giudizio innanzi al competente Tar per l’accertamento dell’illegittimità della inerzia dell’amministrazione comunale, definito, con esito favorevole, con la sentenza del 19 luglio 2016». Una “tirata d’orecchie” alla lentezza del Comune. E ribadendo a sua volta l’inammissibilità e, comunque, il rigetto del ricorso in appello.

IL CONTENZIOSO CIVILE

Sulla proprietà di quel tratto di strada tra Confraternita e Comune d’Ischia pende anche un contenzioso civile dinanzi alla Sezione distaccata di Ischia ed infatti la stessa Confraternita, nell’imminenza della camera di consiglio, ha chiesto la sospensione del giudizio fino alla definizione di quella causa «per l’accertamento del proprio diritto di proprietà sull’area in contestazione». Una istanza subito respinta dal Consiglio di Stato, «in quanto l’accertamento sulla natura pubblica o privata di una strada o sull’uso pubblico della stessa può avvenire incidentalmente nell’ambito di un giudizio amministrativo se tale elemento costituisce, come nella fattispecie, il presupposto per l’adozione di provvedimenti amministrativi in contestazione».

Quindi ha rigettato il ricorso perché infondato. Acclarando la natura pubblica della via: «La pubblica strada Sant’Alessandro è inserita nell’elenco delle strade comunali di cui alla delibera di Consiglio comunale n. 5 del 25 giugno 1965 e, come emerge dagli atti del giudizio di primo grado e come correttamente rilevato nella sentenza impugnata, l’appellante non ha fornito congrui e significativi elementi idonei a comprovare che il fabbricato oggetto della domanda di sanatoria straordinaria nella sua interezza sia stato edificato su area privata e che, dunque, non abbia interessato la strada pubblica, con conseguente restringimento della stessa».

Aggiungendo: «È incontestato, infatti, che nessun titolo di proprietà dell’area in questione sia stato prodotto dall’odierna appellante, sulla quale, conformemente alle generali regole di riparto, pure richiamate nella sentenza impugnata, gravava il relativo onere probatorio, dal momento che solo l’interessato può fornire inconfutabili atti, documenti ed elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza circa la sussistenza dei presupposti per l’accoglimento dell’istanza. Inoltre, nel caso di opere edilizie abusivamente realizzate, l’autore si pone volontariamente in una situazione di illeceità della quale deve assumersi la responsabilità anche per quanto attiene al rischio della sussistenza di un regime vincolistico preclusivo alla sanatoria».

LE PROVE DELL’ABUSO

Il collegio rincara la dose: «Gli elementi addotti dall’appellante, invero, rivestono una mera valenza indiziaria e sono contraddetti da ulteriori elementi di segno contrario, connotati da maggiore significatività. Inequivoca, in tal senso, l’analisi delle aerofotogrammetrie, dovendosi considerare che, come dichiarato dall’interessata, le opere sono state realizzate nel 1975 e, dunque, non potevano che essere rilevate nell’aerofotogrammetria del 1979. Dal raffronto delle aerofotogrammetrie del 1967 e del 2001 prodotte agli atti del giudizio di primo grado dal controinteressato, inoltre, emerge l’incidenza della edificazione abusiva che ha interessato una porzione della strada pubblica, così come risultante dall’elenco approvato con la sopra indicata deliberazione del 1965».

Corretto dunque il giudizio del Tar: «Con argomentazioni integralmente condivise dal collegio, in quanto saldamente ancorate alle risultanze documentali agli atti del giudizio di primo grado, con la sentenza impugnata è stato accertato che l’ampliamento del fabbricato è avvenuto attraverso l’indebita occupazione della strada pubblica. Tale accertamento, a prescindere dalla natura, dolosa o colposa, dello sconfinamento e degli elementi rappresentati dall’interessata, odierna appellante, all’amministrazione comunale, determina le conseguenze formalizzate con l’adozione del provvedimento di rigetto della domanda di sanatoria straordinaria dall’amministrazione, il cui legittimo operato è stato correttamente valutato dal primo giudice».

E arriva un’altra “bacchettata”: «Discende, inoltre, da quanto esposto l’esclusione della necessità di disporre gli approfondimenti istruttori richiesti dall’appellante, alla luce delle evidenze sopra richiamate e di un onere probatorio gravante sull’interessata che è rimasto inadempiuto».

LA PARTE DI FABBRICATO LEGITTIMA

Viene quindi richiamata la giurisprudenza in materia per ribadire «che, ai fini della sanatoria di un abuso edilizio costituito da un fabbricato realizzato in parte nella fascia di rispetto stradale, trova applicazione la disciplina della l. n. 47 del 1985, in base alla quale il divieto di costruzione entro la fascia di rispetto del nastro stradale è un vincolo che comporta la inedificabilità assoluta e, dunque, la non sanabilità dell’opera. Detto vincolo, quindi, rientra nei casi per i quali, a differenza di quelli di inedificabilità relativa, non sussiste alcuna discrezionalità da parte dell’amministrazione; pertanto, essi recano un divieto di edificabilità a carattere assoluto, sì da determinare sempre la non sanabilità dell’opera realizzata dopo la loro imposizione».

Tutte le censure sono state respinte: «Del pari correttamente il primo giudice ha escluso l’obbligo della previa deliberazione della Giunta, al più necessario per consentire la deroga alla distanza dalla strada e non anche nel caso in cui, come nella fattispecie, debba essere assicurato il rispetto rigoroso del predetto vincolo. E, invero, il bilanciamento dei diversi interessi implicati è stato svolto direttamente dal legislatore con lo scopo di garantire la sicurezza della circolazione stradale, nei confronti di quanti transitino sulle strade stesse o passino nelle immediate vicinanze o in queste abitino e operino».

La demolizione delle opere non sanabili è dunque legittima: «Il collegio reputa sufficiente rilevare che la consistenza dell’abuso, costituito da un ampliamento, avvenuto in assenza del necessario titolo edilizio, del fabbricato preesistente, e l’incidenza del vincolo sopra evidenziato escludono la fondatezza della contestazione, con l’ulteriore rilievo che la suddetta disposizione ha valore eccezionale e derogatorio, non competendo all’amministrazione procedente di dover valutare, prima dell’irrogazione della sanzione demolitoria, se la stessa possa recare pregiudizio o meno alla parte del fabbricato legittimamente edificato. In ogni caso, nel caso in esame, risulta dirimente, al fine di escludere la fondatezza della deduzione, il vincolo di inedificabilità assoluta insistente sull’area in questione».

Il contenzioso dinanzi alla giustizia amministrativa si chiude con un 2-0 per il Comune. La porzione di chiesa che occupa la strada pubblica è insanabile e dunque da demolire.

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