martedì, Novembre 19, 2024

Nicola Di Iorio: “Il Celario è un paradiso maledetto. Il racconto dei terribili momenti della frana

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«Quella notte sotto il fango potevamo esserci anche io e la mia famiglia. Ho assistito in diretta allo spaventoso spettacolo di tutte le auto che erano nel parcheggio scaraventate come birilli sulla strada sottostante, insieme a grandi massi, tronchi. E man mano che scendeva questo fiume, praticamente avvolgeva tutto». Il ricordo delle 12 vittime e di Gioacchino, il padre di Salvatore, morto poco dopo. La vita in albergo e il ritorno al Celario. Il giudizio sulle istituzioni: «E’ stata una cosa troppo grande anche per loro»

Nicola Di Iorio, ma per tutti è il “Principe”, è uno dei sopravvissuti alla frana del 26 novembre. Con lui torniamo a quanto è successo un anno fa, alle cinque del mattino.

– Proviamo un po’ a ripercorrere quelli che sono stati gli eventi che ti hanno sicuramente stravolto la vita, a capire cosa è accaduto quel giorno. Quali sono i ricordi che dopo un anno ancora affollano la tua mente?
«I ricordi sono chiari. Riesco a ricordare tutto quello che è successo da quando sono rincasato, perché ero stato a festeggiare il compleanno di mio figlio. Eravamo rimasti fino a mezzanotte in un bar in piazza perché dopo i ragazzi si erano intrattenuti lì. Siamo rientrati a casa e con noi sono venuti anche i due cuginetti di mio figlio che per forza volevano dormire da noi. Quindi io dovevo dormire sul divano, anche se poi alla fine quella notte non ho dormito proprio. Da quando siamo arrivati a casa è cominciato a piovere incessantemente, fortissimo, tanto che io dal divano non riuscivo a vedere la pianta fuori casa, che dista quattro-cinque metri. Più trascorrevano le ore e più ero preoccupato per quel muro d’acqua che veniva giù e non smetteva.

Poi, poco prima delle 5.00, nemmeno un quarto d’ora, sono uscito fuori a controllare la botola che noi abbiamo nel giardino per verificare il deflusso dell’acqua ed era tutto normale. Devo dire che mio padre è stato sempre in allerta quando piove, da anni è sempre in allerta, e quindi verso le 5.00 mi sono alzato per andare nuovamente a controllare fuori. E nell’aprire il portone, ho visto i pappagalli che io avevo a casa e tuttora stanno lì, che svolazzavano come se fossero impazziti. Intanto sentivo un tuono in lontananza e il clacson di un’auto che suonava incessantemente. Ho pensato fosse un allarme andato in tilt. Poi mi è venuto il pensiero che fosse il terremoto, però non mi ero accorto di niente.

«LI CONOSCEVO TUTTI»

«Ho richiuso il portone e sono tornato sul divano, ma è arrivato mio cognato che mi ha detto: “Corriamo subito in piazza che è successo un macello. Ci sono tutte le auto incastrate fra loro. Ha sfondato il muro centrale della piazza, la piazza è quasi del tutto piena di terra”. Nell’uscire fuori ho visto l’auto che era praticamente incastrata. C’era un pitbull che mi veniva incontro con occhi impauriti, ma non potevo farlo entrare perché a casa mia c’era già il mio cane. Ho dovuto richiudere il cancello che si era aperto a causa dal terreno che era entrato.

Dopodiché ho cominciato a chiamare i Carabinieri, i Vigili del Fuoco, ad allertare qualcuno. Ma non si era ancora verificato il peggio. Intanto abbiamo trasferito tutti i bambini al piano superiore, in modo da metterli al sicuro e stare tranquilli se la situazione fosse peggiorata, come infatti è successo dopo circa mezz’ora, quando è arrivata la seconda ondata. Stavolta ho capito subito che si trattava di qualcosa di diverso, di molto grave. Ho assistito in diretta allo spaventoso spettacolo di tutte le auto che erano nel parcheggio scaraventate come birilli sulla strada sottostante, insieme a grandi massi, tronchi. E man mano che scendeva questo fiume di terreno, praticamente avvolgeva tutto: parapetti, ringhiere, alberi, pali della luce, con un effetto domino. In quel momento qualcuno mi ha detto: “Ma non devi registrare qualcosa?”. Non potevo registrare, non ce la facevo, ero attonito di fronte a quello che si stava verificando sotto i miei occhi. Mi rendevo conto che stava succedendo davvero, non stavo sognando.

Passata la seconda ondata, che è durata 4-5 minuti, ci siamo di nuovo messi in moto per avvertire la Polizia, i Carabinieri, tutti i soccorsi. Abbiamo chiamato Pasqualino Monti per vedere come stava, mentre era ancora buio. Dopo mezz’ora, verso le 6.00, ho sentito gridare Nicola, Ciro, il nome di mio cognato e dei miei amici Amedeo e Chicca, che praticamente si sono lanciati dalla finestre. Fortunatamente si erano salvati e Gianni ha cominciato a raccontare che praticamente la casa di Salvatore non esisteva più. In quel momento abbiano iniziato a fare mente locale sulla situazione, capendo che stavolta era successo qualcosa di veramente grave. Bastava vedere la casa di Salvatore, che si trovava dove era scesa la frana e dov’era la strada.

Ho iniziato a temere che fosse successo quello che effettivamente si è verificato. Io sono sempre una persona allegra, che ride molto. Però quando racconto questa esperienza e anche adesso, pensando a quella notte, mi viene da piangere. Mi prende un’emozione grande perché, come sai, quelli che non ci sono più li conoscevo tutti. Con Nina ci eravamo visti la mattina all’Ufficio Anagrafe perché aveva dovuto fare la carta di identità avendo ricevuto la cittadinanza italiana. Penso a Giovan Giuseppe, il piccolo di Giovanna e Maurizio che avevamo registrato tre settimane prima ed è nato il giorno di mia figlia, il 4 novembre. Sotto il fango ci potevamo essere anche noi. Siamo vivi per miracolo, grazie alle auto fuori dal cancello che si sono messe di traverso e ci hanno fatto da riparo. Quindi è come se fossero morti dei miei figli, perché dovevo esserci anch’io. Sono vivo, ma lì sotto potevo esserci io. Sarebbero bastati dieci metri più a destra o a sinistra e poteva capitare di tutto».

LA TRAGEDIA VISSUTA DAI BAMBINI

– Quante volte hai sognato quella notte?
«Ci penso sempre. Non passa giorno senza che ci ripensi. Come ho detto sono una persona che ama scherzare e divertirsi, però viene sempre un momento, anche pochi minuti o pochi istanti in cui penso a quella notte e quindi alle persone che non ci sono più. E’ una tragedia che continua e che continua a fare vittime. Un mio caro amico, Gioacchino, il papà di Salvatore, giardiniere, è deceduto successivamente, sempre come conseguenza della perdita del figlio. Sono tutte queste tragedie familiari che pesano tanto. Ti faccio un esempio. Come ti ho detto, domenica (oggi, ndr) dobbiamo cambiare albergo e c’è qualcuno che si lamenta perché è un disagio. Ma questi sono solo piccoli disagi in confronto a quello che stanno vivendo i parenti delle vittime».

– E’ chiaro che in queste situazioni non si può certo pensare di poter fare delle classifiche, ma immagino che forse il dolore più grande sia quello della famiglia di Gianluca…
«Esatto, la famiglia di Gianluca. Ma qui siamo quasi tutti imparentati, o si tratta di familiari di amici. Per questo dico sempre che è stata una tragedia che ha colpito veramente tutti».

– Ti ho ascoltato in altre interviste. Tu racconti questa esperienza come se fosse una cosa normale. Ma ai ragazzi, cosa avete detto? Ai bambini, a tuoi nipotini?
«Ai miei ragazzi in quel momento ho detto: ci siamo salvati tutti. Ma ti confesso che mio figlio mi disse “Quest’anno sarà un Natale di merda”. Al che gli risposi: “Come di merda? Ringrazia Dio che siamo ancora vivi”. E mio figlio si scusò. Proprio in riferimento ai bambini, voglio anche aggiungere che siamo stati fortunati ad essere ospitati presso l’Hotel Michelangelo, perché è un family hotel e quindi può organizzare l’intrattenimento dei bambini. Loro hanno fatto gruppo, erano circa venti bambini. A Natale nonostante la tragedia c’è stata festa, se vogliamo usare questo termine. I bambini stavano tutti insieme, c’era il campo di calcetto, tanti giochi, la tombola e anche tantissimi gesti di solidarietà da ogni parte: il Babbo Natale del Napoli, quello dell’Ischia e ogni sera era una festa. Tutte cose che hanno contribuito almeno ad attutire questo triste ricordo per come hanno vissuto questa tragedia importante. Per i più piccoli è stato fondamentale poter stare tutti insieme per superare questa prima fase».

NOSTALGIA DI CASA

– Da questa tragedia, però, hai tratto una forza immensa. Hai accennato al fatto che dovete cambiare albergo, spostarvi, ma che questo è solo un piccolo disagio. Però ti manca casa tua?
«Sì, a me manca. L’ho detto: sono nato qui. Ma la mia famiglia non vuole più tornarci e hanno anche ragione. Dopo quello che è successo bisogna capirli. Io sono del posto, e quindi voglio restare lì. Ma penso anche a mia moglie, che è rimasta in questa zona circa 25 anni, a mia figlia che ne ha 20, mio figlio 13. Hanno vissuto un’alluvione, un terremoto, il Covid e poi un’altra alluvione. Queste sono esperienze che ti cambiano per tutta la vita. Perché una cosa è viverla a 50 anni e oltre, un’altra cosa è viverla a 13, 15, 19 anni. Io vorrei tornare, vorrei tornare a casa mia. Non è un paradiso, è un paradiso maledetto lì sopra! Sappiamo che è un posto pericoloso sia per il terremoto che per quello che è successo.

Però una persona è legata alla propria terra, al posto dove ha sempre vissuto, ed è questo che fa la differenza. In hotel i primi sei mesi siamo stati benissimo perché eravamo in tanti e in questo modo avevamo sempre qualcuno con cui stare, con cui parlare. Poi all’Hotel Michelangelo abbiamo avuto la possibilità di assistere insieme in tv alle gesta del Napoli. Anche se eravamo una comunità che viveva all’interno di un albergo, tutti stavano bene. Poi dopo logicamente ci siamo dovuti spostare in un altro hotel, ma devo dire che Celestino Iacono e la mamma sono stati gentilissimi. Ci avevano avvertiti che per ovvie ragioni non saremmo potuti rimanere e quindi sapevamo che dovevamo cambiare albergo. Dopodiché siamo stati all’Hotel Parco dei Principi a San Francesco. Anche lì la famiglia proprietaria ci ha supportato in tutto e per tutto. E avrebbero anche voluto tenerci, ma purtroppo capiamo che essendo rimasti ormai in pochi, gli albergatori devono anche pensare alla situazione economica delle loro attività, nel senso che non ci devono rimettere».

– Sei ritornato al Celario?
«Ci devo andare per forza. Perché, per carità, non voglio fare ancora polemica, ma noi viviamo in una stanza. E possiamo mai portarci una casa in una stanza? No. Quindi dobbiamo tornare per recuperare indumenti, accudire cani, pappagalli e canarini. Per il cambio di stagione dobbiamo recuperare i panni da indossare. Quindi bisogna per forza andare, tornare a casa. Ma ormai mi ci sono abituato. Quando sono tornato la prima volta mi sono guardato attorno e mi sono chiesto “ce la faccio? Forse, chissà”. La prima volta era come vedere la morte in strada, perché ci salivamo tutti i giorni per spalare il fango. Poi per un certo periodo non ci siamo più saliti, anche perché tra l’altro nei primi tempi non c’era nemmeno l’energia elettrica. E quindi, senza energia elettrica, non c’era neanche l’acqua. Ma più di una volta mi è capitato di mangiare di nuovo a casa, che sarebbe stata la normalità. Abbiamo fatto la Pasquetta fuori, e lì avvertivo forte questa nostalgia di casa. Sentivo proprio dentro di me la sensazione di stare bene lì. Ma non ci lamentiamo di essere ancora in albergo. Siamo fortunati ad essere vivi».

L’INTERVISTA DI DIEGO BIANCHI

– Ti faccio una domanda per spezzare l’emozione. Come è stato l’incontro con “Zoro”, Diego Bianchi di “Propaganda Live”?
«Veramente non l’ho più sentito. Però devo dire che ha fatto un’intervista integrale dal vivo, e di tutto quello di cui abbiamo parlato, non ha tagliato niente. Quello che è stato è stato, pensiamo al presente. Ma voglio spiegare che quando venne da me per intervistarmi, poverino, deve aver pensato di essere tornato al Medioevo. Non c’era l’acqua, i rifugiati, quindi non si vedeva nessuno. Però devo dire che, a differenza di molti, lui ha fatto capire ai telespettatori quello che realmente era successo, mentre molti ci denigravano e ci denigrano ancora oggi. Invece lui ha portato veramente la storia nuda e cruda davanti agli occhi degli italiani».

– Diego Bianchi ha questa qualità. Tu sei uno di quelli, che magari anche per la professione, hanno a che fare con le autorità, come era stato con il commissario Simonetta Calcaterra e il vice Beniamino Cacciapuoti. Da cittadino che purtroppo resta ancora fuori casa, come valuti l’operato delle istituzioni dopo la frana?
«Io penso che sia stata una cosa troppo grande per tutti, anche per loro. Infatti una domenica li vidi passeggiare in piazza per rientrare in ufficio, Beniamino e la dottoressa Calcaterra, e dire alle persone: “Fatevi forza, non vi preoccupate, noi siamo con voi”. Ci hanno messo tutto quello che potevano metterci, perché la situazione è stata difficile nei primi giorni, ma soprattutto successivamente. Quindi, ripeto, anche per le autorità penso che sia stata una cosa più grande di loro. Poi il commissario Legnini ci ha sempre parlato chiaramente e non ci ha mai detto “voi ritornerete qua, facciamo questo, facciamo quello”. Ha detto sempre “se c’è la possibilità di rientrare a casa, mentre in altri momenti bisogna prendere provvedimenti diversi”. Quindi anche lui è stato onesto con noi, almeno per quanto ho sentito in tutte le riunioni a cui io ho partecipato posso dire che non ci ha venduto fumo. Devo dire la verità, questa è la sua battaglia. Noi vogliamo tornare ma non si sa se potremo ed è anche legittimo. Questo è il sentimento che riguarda un po’ tutti quelli che sono stati toccati».

LE FRANE NASCOSTE

– Pensi che le opere di messa in sicurezza, di cui si fa un gran parlare e sentiamo di progetti milionari, possano bastare?
«La montagna non può essere messa nuovamente in sicurezza perché la frattura è grande. Ci sono altre frane nascoste, che non si vedono. Quello che dico io, è almeno di mitigare il rischio poi, come si è già fatto l’anno scorso, evacuare in caso di allerta. Adesso abbiamo il pluviometro e le telecamere. Sappiamo bene o male quando viene diramata l’allerta meteo. In questo caso, se rientro nell’elenco degli abitanti che devono abbandonare la zona, io per quel giorno prendo il bagaglio e sono anche contento di dover dormire in auto. Me ne vado. Perché ricordatevi bene, nessuno più deve morire per una frana, perché gli strumenti oggi ci sono e siamo stupidi a restare in quel posto in caso di allerta meteo arancione e se si prevede una pioggia con millimetri ben superiori alla media. Voglio dire che adesso si può prevenire. Penso che se quella notte fosse stato già in funzione il pluviometro o la struttura che ha calcolato detto che dopo che è cominciato a piovere a mezzanotte, dopo le 2.00 si era già superata la soglia, e a quel punto di certo si era superata, noi saremmo stati già nell’ottica di doverci allontanare».

«LA LEZIONE E’ CHE BISOGNA STARE ATTENTI»

– Te lo chiedo per mie esperienze personali. Conosco persone che quando piove hanno paura. Tu quando piove di notte, hai paura?
«Certamente adesso, vista la tragedia a cui siamo scampati, quando piove pensiamo alle alluvioni e alle frane. I piccoli hanno paura. Certamente si deve fare attenzione, però è anche normale che ci sia un temporale. Dopo quella notte eravamo in chat e ricordi che venne a piovere? Io tranquillizzai tutti. Non possiamo negare un temporale e ogni volta avere un’allerta meteo. Il temporale dura mezz’ora e poi passa.

Quindi è necessario rassicurare, dire di stare tranquilli, di non allarmarsi ogni volta. Ormai siamo tutti informati, entriamo nell’ottica del pericolo ogni volta che piove. Ma adesso dobbiamo preoccuparci quando si prevedono due giorni di pioggia. Dobbiamo stare attenti a non rimanere nelle zone a rischio. L’evacuazione si può già attuare e viene attuata. Il Comune si può organizzare facendoci ospitare nel palazzetti o mandarci in albergo. Il palazzetto dello sport può andar bene se ci sono i fondi, ma si può anche stare in albergo per due o tre giorni. Quello che penso e voglio far capire a tutti, è che questa è l’unica possibilità che abbiamo per poter rientrare a casa. Dobbiamo vivere con la valigia pronta? Sì, per essere sicuri di ritornare a casa in quella zona, nel caso potessimo ritornare, dobbiamo sapere che quando piove, dobbiamo essere pronti ad andare via».

– In conclusione di questa piacevole conversazione, qual è la lezione che il 26 novembre 2022 ti ha insegnato? Quale lezione ti porterai dentro?
«Ognuno di noi ne ha tratto una lezione diversa. Chi più seriamente, chi sottogamba, chi magari non l’ha recepita e non si è reso conto della gravità di quello che è successo. La lezione è che bisogna stare attenti. Questo non è un evento come il terremoto, è un evento che si può prevedere. Non scherziamo più quando è cattivo tempo. Dobbiamo prevederlo e dobbiamo salvarci la vita. Questo è quello che penso. Poi vorrei ricordare Salvatore, Eleonora, Nina, Gianluca, Valentina, Francesco, Michele, Mariateresa, Mariateresa, Giovan Giuseppe, Maurizio e Giovanna. Questo poi, alla fine, è quello che ci dobbiamo ricordare: tutte le dodici persone che non ci sono più, e ci metto anche Gioacchino».

Sì. Lo ricordiamo, Gioacchino è stato la tredicesima vittima di questa frana e Gioacchino era anche il nome del papà di Federica Taglialatela, che morì poco tempo dopo. Chissà, un destino legato a quel nome…

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