Ed eccoli lì, ieri, a Ischia Ponte, ancora una volta pronti a sfilare uno dietro l’altro in chiesa nel giorno di San Giovan Giuseppe della Croce. Papaveri con fascia tricolore e senza, sepolcri imbiancati che nulla hanno a vedere con la fede e col Patrono per un anno intero, se non quando devono tuffarsi a capofitto nella prima occasione utile per guadagnare (secondo loro) un po’ di visibilità e far vedere che esistono anche al nuovo Vescovo Villano.
Le categorie sono innumerevoli: atei, comunisti malcelati, divorziati con amanti al seguito e non necessariamente seduti accanto (salvo scambiarsi frequenti occhiolini e sguardi ammiccanti durante la celebrazione), etero-omo-bisex, cittadini curiosi e vogliosi dapprima di partecipare insieme agli altri e poi, perché no, tentare di imbucarsi nel buffet offerto alle cosiddette “autorità” dal Bar Ideal accanto alla Galleria Mazzella.
Uno spettacolo decisamente penoso, per quel che mi riguarda, se penso solo per un attimo al fatto che mio Nonno Antonio, ogni cinque di marzo, amava ripetere che “’u iuorno ‘e San Giuan Giuseppe pure l’aucielle èscene ‘a ind ‘e caiole”. Nell’accezione del nonno, uomo saggio e generoso classe 1898, non si esaltava certo il culto dell’apparire in luogo dell’essere, bensì quello verso il Santo tutto ischitano, al quale ogni compaesano di buona volontà e, soprattutto, “vecchio stampo”, era devoto e che si guardava bene dal trasgredire quella regola; anche perché, nella credulità popolare, si è sempre detto che “’u zelluso è culleruso”. Naturalmente, per non occupare troppo spazio in questa sede, invito tutti i Lettori necessitanti la traduzione dal napoletano di contattarmi in privato.
Quando sono stato in Amministrazione Comunale insieme al mio Sindaco Peppino Brandi (ma in realtà già prima del quadriennio 2002-2006, cioè dal 2000, dopo le elezioni regionali) abbiamo partecipato regolarmente a tante processioni, sia in veste di amministratori comunali sia da aspiranti tali. Ma in entrambe le vesti, a onor del vero, vi era innanzitutto il ruolo di modestissimi fedeli che ciascuno di noi conservava gelosamente sin da bambino e a tutt’oggi. E ricordo con affetto l’amico Lello Pilato, che nel corso della campagna elettorale 2002 declinò l’invito del suo candidato sindaco Gino Di Meglio ad unirsi ad una processione, restando seduto ai tavolini dell’allora Caffè D’Avalos rispondendogli: “Io àrete a ‘na prucessione? Oi Gì, ma tu nun stai buon?”
Lui si che era uno coerente fino in fondo… Altri uomini, mica ‘sti mezzi caporali di oggi…