Ieri, con una Santa Messa, abbiamo celebrato il primo anniversario della morte di mio padre, Pippo Conte, ultimo superstite di sette fratelli riuniti nell’aldilà sin dal 25 maggio dello scorso anno.
Il momento del ricordo religioso è sicuramente rapportabile a chi ci crede e, di conseguenza, dedica ai defunti uno spazio anche spirituale che si concretizza in una funzione religiosa come in un’intenzione all’eucarestia. Il culto dei morti è cosa diversa, perché non è certo la visita occasionale al cimitero, peggio ancora se fatta una volta l’anno il primo o il due di novembre, a rendere il giusto omaggio ai resti dei nostri cari. E fanno tenerezza quelli che, per giustificare la loro assenza dall’ipogeo, si definiscono intristiti da quell’ambiente. Così come quelli che si appellano al Vangelo di Matteo e alla famosa frase “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti”, ignorando o facendo finta di ignorare che i morti di cui parla Gesù sono quelli che ancora non hanno recepito e fatto proprio il Suo messaggio rinascendo in Cristo, non certo i defunti già presenti al cimitero.
Ecco, sebbene anch’io cerchi di vivere nel migliore dei modi quel briciolo di fede e spiritualità che ancora riesco a scorgere nella pratica religiosa ordinaria come nelle più semplici azioni quotidiane, credo che verso i nostri cari che non ci sono più e che in vita ci hanno donato esempi ed insegnamenti preziosi debba valere innanzitutto la necessità di tenere vivo questo patrimonio, curandone incessantemente il ricordo, anche pubblicamente, affinché resti condivisibile per tutti quelli che, come noi, ancora credono fermamente nella sua importanza.
Qualche mese fa, al Bar Cocò di Ischia Ponte, incontrai un conoscente del Porto e andando via prima di lui dal bar, pagai il caffè suo e di sua moglie. Lui mi raggiunse poco dopo mentre stavo per salire in moto con Catrin e, ringraziandomi, mi disse: “Sì ‘nu signore, tale e quale a pàtete!”. Inutile dirVi quanto il mio cuore abbia traboccato di gioia dinanzi ad un’espressione così sentita e, soprattutto, ad un accostamento talmente caro. Di certo non è stato il semplice caffè offerto a generare quel tipo di riflessione, bensì il ricordo di tanti piccoli gesti che in quella persona tenevano vivo il ricordo di “Pippone”, al punto da rappresentarmelo con tanta spontaneità.
E se, come recita un verso sacro, “il giusto resta sempre nel ricordo, non teme il giudizio sfavorevole”, la mia personalissima ambizione resta quella di essere ricordato, un giorno, con la stessa intensità con cui, quotidianamente, mio padre ha saputo scolpire il cuore di tante persone.