sabato, Novembre 23, 2024

L’erba cattiva

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L’erba cattiva, quella che sta attaccata ai muri e che nessuno riesce definitivamente a strappare, non muore mai. Non parla, ma sente, non vede, ma conosce e ascolta i pensieri della gente e ne sa approfittare. E’ una metafora della politica, di quella che si può paragonare proprio all’erba cattiva, che fa finta di ascoltare e di interessarsi dei problemi e delle necessità dei cittadini, che si nasconde dietro il silenzio delle verità, che si maschera per non farsi scoprire, che è difficile eradicare, per essere stata capace di attaccarsi al muro fino a divenire parte essa stessa del muro. Uno scenario inquietante che ogni giorno, in questa società di apparente democrazia, siamo costretti a vedere e tollerare. E con questa politica, quella dell’erba cattiva, è riuscita così bene ad attaccarsi al muro, che alla fine ci ha fatto credere che siamo noi cittadini i responsabili di ciò che accade, perché non collaborativi e non partecipativi alla vita sociale. E così il paese, quello della grandezza economica e del riscatto sociale post bellico, della capacità inventiva, della magnificenza scientifica e culturale, si è ritrovato nel baratro della decadenza, non solo economica e di progettualità, ma anche di idee, cultura e visione prospettica di crescita sostenibile per il futuro.

Dopo il berlusconismo, che aveva trasformato l’essere in apparire e, che non pochi danni aveva determinato allo sviluppo di una coscienza collettiva politica, ecco la farsa del qualunquismo, ancora una volta l’uomo qualunque, uno vale uno, personaggi politicamente impreparati e improvvisati che hanno finito con il depredare le ultime risorse del paese, determinando una ulteriore degrado culturale, di idee e, pensiero, oltre a gravissimi danni economici. E ancora la farsa di una sinistra che vuole fare credere in un’immagine che non solo non può sostenere, ma che non le appartiene più e che ulteriori danni sta arrecando per la mancanza di una identità e di un progetto politico identificabile, un’immagine che non corrisponde né al suo passato, né al suo presente. Una grande ammucchiata che gestisce da anni la cosa pubblica e che chiede consenso per cose non fatte, scaricando sempre su chi ha governato in precedenza responsabilità e colpe, senza mai dichiarare le proprie responsabilità e negligenze. Un’informazione che si pavoneggia e che alla fine trova il proprio tornaconto in ruoli dirigenziali o in candidature certe per la popolarità acquisita attraverso la televisione. Una faziosità che non può e non deve appartenere al giornalismo vero e puro che è fatto di obiettività e di valutazione attenta e direi anche dignitosa, dell’informazione.

Una magistratura che si arrocca per difendere infiniti privilegi e immensi poteri, senza controllo e senza un’analisi critica del suo operato. E si potrebbe continuare all’infinito senza tema di essere smentiti. E nonostante tutto, ancora una volta, al traguardo elettorale, ci vogliono far credere che sono tutti bravi e tutti puri, che pensano al bene della Nazione, al futuro delle nuove generazioni, al progresso culturale e sociale. Una democrazia malata che chiede un consenso in bianco senza dare nulla di certo e che abbia davvero un valore. E ci invitano a votare, a non disertare le urne, poiché votare è un diritto-dovere che mantiene alta la democrazia e la libertà. Forse qualcosa in più nel nostro diritto di voto con le elezioni europee lo abbiamo, grazie alla facoltà di scegliere attraverso le preferenze, di scrivere un nome e un cognome, cosa che ci è stata tolta alle elezioni nazionali, per evitar di poter essere cacciati dal loro posto e di perdere i loro privilegi. Una legge elettorale vergognosa che nessuno ha mai voluto cambiare, facendo sì che il leader di partito di turno scegliesse, a suo piacimento, chi e dove farlo eleggere.

E questa è la democrazia del nostro sistema elettorale, mascherata da una cosiddetta stabilità di governo. C’è un solo modo per risolvere una problematica che ci sta costringendo nella morsa del potere, quello di partecipare, far sentire la voce della nostra insoddisfazione e far valere il nostro diritto di poter scegliere e anche di poter esprimere un candidato a cui dare la fiducia e la credibilità. E’ tempo di una presa di coscienza collettiva, di ritornare ad una partecipazione attiva alla vita politica, di essere non più deuteragonisti, ma protagonisti della nostra società. Di far valere idee e pensieri, di smetterla di delegare in bianco. La libertà, come diceva Gaber, non è uno spazio libero, né il volo di un moscone, libertà è partecipazione.

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