L’ultimo consiglio comunale dell’isola di Graziella, oltre a discutere di Bilancio consuntivo, di debiti fuori bilancio e di diverse interrogazioni, è stato anche l’occasione per iniziare l’iter per la revoca della cittadinanza a Benito Mussolini.
A chiederlo la consigliera comunale Matilde Carabellese. Sebbene la “cittadinanza onoraria” non sia disciplinata da alcuna norma di legge, tuttavia sono molti i Comuni che si sono dotati di un regolamento per il conferimento e la revoca della concessione. Nel 1924 per alimentare il mito del Duce quasi tutti i Comuni conferirono la cittadinanza onoraria a Mussolini e da qualche anno le proposte di revoca per indegnità suscitano polemiche e divisioni, anche in alcuni Comuni di provata fede antifascista sul presupposto che non avrebbe senso cancellare dopo cento anni, in tutt’altro contesto politico e sociale, un fatto storico.
La cittadinanza onoraria a Mussolini
Negli anni 1923 e 1924 furono migliaia le cittadinanze onorarie concesse dai comuni a Mussolini ma il fenomeno assunse dimensioni tali non per spontaneismo e convinzione ma per adesione ad un preciso disegno politico di alimentare il culto del Duce, in particolare nella primavera del 1924 durante le elezioni per la Camera dei deputati. Dopo la ritirata tedesca furono le città di Napoli e di Matera a revocare la cittadinanza onoraria a Mussolini ma poi nel dopoguerra, con i governi centristi, la politica di assimilazione del Movimento Sociale Italiano, la mancata epurazione negli apparati statali, la questione non è stata più oggetto di discussione politica ed è stata ripresa da alcuni anni con esiti contrastanti. Alcune amministrazioni comunali hanno provveduto alla revoca, talvolta all’unanimità, altre volte a maggioranza. Altre hanno negato la revoca (quasi sempre chiesta da singoli consiglieri, dall’ANPI, da privati cittadini) con motivazioni che sono state le più disparate ma sostanzialmente riconducibili (anche in amministrazioni di centro-sinistra) alla inutilità della revoca di una onorificenza che appartiene alla storia e va inquadrata e letta nel contesto in cui fu conferita.
A meno che il regolamento comunale non preveda esplicitamente l’impossibilità della revoca qualora l’insignito non sia più in vita, non parrebbero esserci ostacoli giuridici alla revoca della cittadinanza onoraria conferita a Mussolini. Infatti, le motivazioni del diniego (molte delle quali si rinvengono sul Web) poggiano sulla considerazione che il conferimento, per quanto criticabile e condannabile, resta come fatto storico e che una odierna revoca, dopo moltissimi anni e in tutt’altro contesto storico e politico, sarebbe una sorta di “cancel culture”. Sono state addotte, laddove non vi è alcun regolamento, anche motivazioni formali come, ad esempio, la necessità che la revoca debba essere all’unanimità. L’argomentazione ha tutto il carattere della pretestuosità poiché in assenza di una norma specifica la regola per le deliberazioni consiliari è la semplice maggioranza.
La cittadinanza onoraria è un titolo concesso per testimoniare la vicinanza e la riconoscenza di una comunità ad un individuo, per le sue azioni e per i valori che le hanno ispirate. Riteniamo che Benito Mussolini non risponda affatto a tali requisiti. Un dittatore giunto al potere attraverso la violenza politica e al più spregiudicato opportunismo, che ha soppresso ogni libertà democratiche, che ha condotto l’Italia in un’avventura coloniale fatta di crimini di guerra e deportazione, poi nella guerra civile di Spagna a sostegno del golpe militare del Generale Franco; che ha promulgato, nel 1938 le leggi razziali; ed infine schierato l’Italia a fianco della Germania nazista in una guerra con esiti catastrofici.
I fatti di quegli anni
In Italia si sono appena svolte, il 6 aprile, elezioni politiche segnate dalla violenza, da brogli e da una legge elettorale, la nota Legge Acerbo, scritta apposta per favorire il conseguimento della maggioranza assoluta da parte del Partito Nazionale Fascista. C’era stata, due anni prima, la Marcia su Roma (di cui ricorre il centenario quest’anno), il Re che non firma lo stato d’assedio e chiama il Duce, fino a quel momento a Milano, a formare il Governo, con la minaccia di fare del Parlamento “un bivacco di manipoli”. Prima ancora, fin dalla fondazione dei Fasci di combattimento nel 1919, c’erano stati tre anni di violenza squadrista, iniziati con l’assalto alla redazione dell’Avanti, il quotidiano socialista. Violenza spesso a servizio della proprietà industriale e ancor più agricola, con particolare ferocia proprio nelle nostre terre, dove non si contano le spedizioni punitive delle milizie, paese per paese, contro le leghe di braccianti e le amministrazioni socialiste. Violenze che avvenivano spesso nella connivenza di ampie fette dello Stato liberale che miravano ad utilizzare il fascismo contro lo spauracchio socialista e gli scioperi del biennio rosso.