sabato, Novembre 23, 2024

Massimo Troisi, l’addio quel 4 giugno 1994Procida deve tanto alla sua grandezza

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Se uno nasce nella periferia disastrata di San Giorgio a Cremano, nel cuore di una campagna non ancora città, e cresce in una casa sovraffollata con cinque fratelli, due genitori, due nonni e cinque nipoti, o è chiamato Massimo Troisi o si rassegna all’anonimato sin dalla sua infanzia. Massimo Troisi ha scelto di onorare il suo nome e combattere un destino difficile, reso ancora più complicato dalla giovinezza segnata da febbri reumatiche dolorose che hanno causato un difetto alla valvola mitrale, che alla fine gli sarebbe stato fatale a soli 41 anni. Il 4 giugno 1994, appena 12 ore dopo aver completato la sua opera cinematografica più ambiziosa e impegnativa, “Il Postino”, Massimo si è lasciato scivolare dalla dormiveglia alla morte nella casa di sua sorella Annamaria a Ostia, dove si era rifugiato dopo le fatiche del set che non avrebbe mai dovuto affrontare.

Prima di “Il Postino”, Troisi era tornato in America dal chirurgo De Beckey, che lo aveva già operato segretamente al cuore all’inizio della sua carriera. Sapeva di non poter sostenere l’impegno sia dell’ideazione che dell’interpretazione (nonostante avesse delegato la regia a Michael Radford per portare a termine le riprese), ma ha scelto di non risparmiarsi per avere l’opportunità di lavorare con Philippe Noiret nel ruolo del poeta Neruda. Era consapevole di andare incontro al suo destino; dopotutto, ha sempre giocato a nascondino con la morte e spesso ha tratteggiato personaggi che scompaiono prematuramente (“no, grazie il caffè mi rende nervoso”) e persino intitolando il suo film TV “Morto Troisi… viva Troisi” nel 1982. Nato il 19 febbraio 1953 da un macchinista ferroviario e una casalinga, il “Pulcinella senza maschera” che il pubblico avrebbe amato sin dall’esordio con “Ricomincio da tre” nel 1981 si è formato sul palcoscenico, erede istintivo di Eduardo e della napoletanità irriverente e dolente che avrebbe portato a un diverso modo di sentire, quello della “nuova Napoli” di Pino Daniele e Roberto De Simone. Con il gruppo “I Saraceni” e poi con gli inseparabili amici de “La Smorfia” come Lello Arena ed Enzo Decaro, ha presto superato i confini vernacolari del successo locale per portare la sua lingua (un napoletano vivace e colorito, la “lingua unica che so parlare”, in verità) sulle reti televisive nazionali e al cinema.

Proprio come accadde ad Eduardo e Totò, quel modo di parlare divenne comprensibile a tutti oltre le parole, un sinonimo di sentimento universale in cui la maschera si trasforma in volto e il personaggio diventa un paradigma universale. Il successo è stato inaspettato, clamoroso e immediato. Erano gli anni ’80 che portavano alla ribalta insieme a lui la generazione di Moretti e Benigni, ma è stata proprio con Roberto che Troisi ha trovato una connessione istintiva celebrata dal pubblico con il grande successo di “Non ci resta che piangere” nel 1984, in cui il suo linguaggio surreale faceva da contrappunto efficace alla cornice storica paradossale di un viaggio nel tempo esilarante fino alla Firenze medicea. La critica ha apprezzato maggiormente il secondo lavoro del regista Troisi (“Scusate il ritardo” nel 1983), mentre Manon è sempre stata generosa con l’autore, ma solo dopo le quattro candidature de “Il Postino” nel 1996 ha tributato grandi elogi postumi al film che ha fruttato l’Oscar per la colonna sonora di Luis Bacalov. Ma la sua filmografia, spesso segnata dalla collaborazione affettiva e artistica con la sceneggiatrice Anna Pavignano, merita ancora oggi una rivalutazione da “Le vie del Signore sono finite” nel 1987 a “Pensavo fosse amore… e invece era un calesse” nel 1991.

Tuttavia, è stato un collega, Ettore Scola, a cogliere le potenzialità di un attore/autore assolutamente unico facendone l’anima appassionata del suo film “Il viaggio di Capitan Fracassa” nel 1990, in cui indossava la maschera di Pulcinella e aveva l’opportunità di confrontarsi sul set con un maestro come Marcello Mastroianni. Ne è derivata una coppia di film assolutamente unici come “Che ora è?” e “Splendor” nel 1989. Per il primo film, Massimo ha ricevuto la Coppa Volpi alla Mostra del Cinema di Venezia. Nella carriera di Troisi non mancavano premi come i David di Donatello e i Nastri d’Argento; tuttavia, è stato proprio il successo internazionale de “Il Postino” a dimostrare quanto strada avesse ancora da percorrere il ragazzo di San Giorgio a Cremano. Ancora oggi rimane vivo il sentimento per un talento irripetibile e luminoso che senza Napoli non sarebbe mai esistito ma che ha restituito a Napoli lo status di capitale mondiale. Oggi il Pulcinella senza maschera avrebbe l’età giusta per conquistare l’Oscar negatogli dal destino. Ma qui (come laggiù) molti lo amano comunque.

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