A parte poche eccezioni, la maggior parte dei ristoranti dell’isola d’Ischia sta conferendo ai propri menu un’identità sempre più lontana dai tratti tipici della tradizione gastronomica locale, allineando la propria offerta ad una domanda pericolosamente massificata verso gli standard metropolitani.
Non basta, a mio giudizio, proporre pietanze a base di pesce, crostacei, frutti di mare e coniglio, ma serve anche rivendicare un’identità ben precisa che rispetti, non senza l’impronta personalizzata di ogni singolo chef, la tipicità di quei sapori e quegli ingredienti che hanno reso Ischia e il suo “buon mangiare” famosi nel mondo.
Il mio compianto amico Sandro Petti già diversi anni fa evidenziava con non poco rammarico questo rischio che oggi è diventato particolarmente tangibile. Sandro sognava un ristorante ad Ischia in grado di offrire tutto l’anno i piatti tradizionali della cucina napoletana (stocco, baccalà, pasta e fagioli, pasta e ceci, ‘a menesta ‘maretata, la “sua” puttanesca e tanti altri), proprio perché era assurdo, secondo lui, che un turista fosse costretto a mangiare sull’Isola principalmente quel che avrebbe potuto assaggiare ovunque e altrove. Così come si dannava del fatto che questa abitudine di molti chef contemporanei di amalgamare la pasta con l’acqua di cottura ne appiattisse il sapore del condimento, uniformando così l’approccio del palato a piatti anche sensibilmente diversi tra loro per ingredienti e preparazione ma risultanti di un gusto fin troppo simile. E quant’altro ancora ci sarebbe da dire, se solo avessimo il tempo materiale di “inventariare” la tipicità di tutta l’offerta f&b presente dalle nostre parti…
Sandro amava ricordare anche il semplice “colurcio” di pane e pomodoro, quello che fece innamorare Alida Valli al “Rangio Fellone” quando, affamata, chiese a Sandro uno spuntino e lui, attraversando la strada, andò a spugnare nell’acqua di mare un “colurcio” (per chi non conosce il napoletano, la parte terminale conica di un pezzo di pane) per poi condirglielo con i pomodori del “piènnolo”, olio, sale e origano: servitole, le piacque talmente da pretenderlo ogni giorno alla stessa ora. Oggi Catrin propone spesso agli Ospiti del nostro B&B una versione rivisitata del pane e pomodoro, chiamandolo affettuosamente “merendina ecologica” e tutti, ma sottolineo TUTTI, ne restano entusiasti. Della serie: un perfetto mix di semplicità, genuinità e tipicità. E mutuando un payoff del comico Giobbe Covatta in uno dei suoi sketch, direi che per ritrovare la tipicità perduta “basta poco, che ce vo?”.