martedì, Novembre 26, 2024

Tarsu del ristorante, per la Cassazione il Comune d’Ischia può incassare

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L’Ente ha impugnato la sentenza della CTR che aveva accolto in parte l’appello del ristoratore. Lo “scontro” verteva sulla esatta individuazione della superficie tassabile alla luce della normativa vigente. Per i giudici di legittimità il metodo di calcolo degli uffici per l’avviso di accertamento era esatto anche alla luce del documento redatto dal tecnico comunale

Lo “scontro” tra il Comune d’Ischia e un contribuente sulla quantificazione della Tarsu risalente all’anno 2010 e relativa ad un ristorante, si è finalmente concluso in Cassazione a vantaggio dell’Ente, che potrà incassare quanto preteso. Dopo la sentenza di primo grado favorevole al Comune la Commissione Tributaria Regionale nel 2017 aveva accolto in parte l’appello del contribuente Pisano, rideterminando «la superficie tassabile, ai fini Tarsu, in mq. 297, pari all’80 per cento della superficie di mq. 371 riportata nella planimetria catastale prodotta in giudizio, in tal modo riducendo quella riportata nell’avviso di accertamento impugnato, per l’anno d’imposta 2010, riguardo ad un immobile adibito a ristorazione».

Nell’ordinanza della Quinta Sezione Civile della Corte di Cassazione si riferisce che «il Comune di Ischia, con l’avviso di accertamento impugnato aveva rettificato, alla luce delle risultanze catastali, il dato relativo alla superficie tassabile della predetta unità immobiliare, elevandola a mq. 390 (80 per cento di mq. 487), rispetto a quella della superficie (mq. 220) dichiarata dal contribuente nella denuncia del 1997».Una rettifica ovviamente contestata dall’interessato. Ma l’Ente, ritenendo giusto il calcolo effettuato, ha proposto ricorso per cassazione con ben quattro censure.

Il primo motivo ha evidenziato «l’omessa considerazione di un fatto decisivo e controverso, costituito dalla superficie catastale risultante dal DOCFA (Documenti Catasto Fabbricati, ndr) presentato dal contribuente all’Agenzia del Territorio, per non avere la CTR ritenuto rilevanti i dati ivi dichiarati, al fine di determinare correttamente quali fossero le superfici del locale principale, dei locali accessori, delle dipendenze e delle aree scoperte in uso esclusivo». Nel secondo motivo si è dedotto che la CTR ha «erroneamente ritenuto determinante il dato della consistenza catastale, pari a mq. 371, e calcolato, sulla base di esso, la superficie ai fini TARSU tassabile».

Ancora, il Comune ha contestato alla CTR di aver affermato «che la planimetria catastale versata in atti reca la superficie di mq. 371, dato quest’ultimo, in realtà, riferibile alla consistenza catastale dell’immobile mentre il DOCFA del 3/6/2013, redatto dal Geom. Arcamone, riporta una superficie catastale di mq. 487. Deduce, quindi, la parte ricorrente che tutto ciò ingenera incertezza sull’iter logico seguito dal giudice di appello, atteso che il contribuente aveva sostenuto che l’unità immobiliare era composta da un unico locale di mq. 301, oltre un wc, un disimpegno, una cella frigorifera, un locale deposito e aree esterne non utilizzate e, che, però, non tutti gli spazi dovevano essere considerati ai fini del calcolo della superficie imponibile».

“MALEDETTO” 80 PER CENTO

Questi tre motivi sono stati giudicati congiuntamente, ritenendoli fondati come evidenziato nell’ordinanza. Innanzitutto il collegio richiama la norma del 1993, che «nell’individuare i presupposti del tributo per cui è causa, fa riferimento a una generica superficie tassabile, stabilendone i casi di esclusione dei metri quadrati ove, per specifiche caratteristiche strutturali e per destinazione si formano, di regola, rifiuti speciali, tossici o nocivi, allo smaltimento dei quali sono tenuti a provvedere a proprie spese i produttori stessi in base alle norme vigenti. Ai fini della determinazione della predetta superficie, viene anche consentito ai Comuni di individuare, nel regolamento, categorie di attività produttive di rifiuti speciali, tossici o nocivi alle quali applicare una percentuale di riduzione rispetto alla intera superficie su cui l’attività viene svolta».

La norma più recente del 2005, in relazione alla presentazione della denuncia ai fini dell’applicazione del tributo, stabilisce che la stessa «deve contenere l’indicazione dell’ubicazione, superficie e destinazione dei singoli locali ed aree denunciati e delle loro ripartizioni interne, nonché della data di inizio dell’occupazione o detenzione». E precisa: «A decorrere dal 1 gennaio 2005, per le unità immobiliari di proprietà privata a destinazione ordinaria censite nel catasto edilizio urbano, la superficie di riferimento non può in ogni caso essere inferiore all’80 per cento della superficie catastale determinata secondo i criteri stabiliti dal regolamento di cui al DPR 23 marzo 1998, n. 138; per gli immobili già denunciati, i comuni modificano d’ufficio, dandone comunicazione agli interessati, le superfici che risultano inferiori alla predetta percentuale a seguito di incrocio dei dati comunali, comprensivi della toponomastica, con quelli dell’Agenzia del territorio, secondo modalità di interscambio…».

E’ previsto anche il caso in cui manchino, negli atti catastali, gli elementi necessari per effettuare la determinazione della superficie catastale, stabilendo che «i soggetti privati intestatari catastali, provvedono, a richiesta del comune, a presentare all’ufficio provinciale dell’Agenzia del territorio la planimetria del relativo immobile, per l’eventuale conseguente modifica, presso il comune, della consistenza di riferimento».

IRRILEVANTE LA PLANIMETRIA CATASTALE

Per i giudici di legittimità appare dunque evidente che la norma del 1993 «fornisce un parametro di riferimento per l’individuazione della superficie tassabile, rivolto ai contribuenti che presentano la dichiarazione di inizio occupazione o di variazione, i quali non possono indicare un’estensione inferiore a quella derivante dal computo sopra menzionato (80 per cento della superficie catastale determinata secondo i criteri stabiliti dal regolamento di cui al d.P.R. n. 138 del 1998), ed anche all’Amministrazione, la quale è chiamata a adeguare d’ufficio le superfici indicate nelle dichiarazioni rese, qualora risultino inferiori a tale parametro». Come appunto fatto dal Comune d’Ischia.

La stessa norma, «comunque, non dispone che la superficie tassabile debba necessariamente corrispondere al risultato di tale conteggio, ma si limita a fornire un limite al di sotto del quale non si può scendere nel determinare la menzionata superficie tassabile». Nel caso specifico «per il Comune di Ischia la superficie tassabile doveva essere determinata in ragione dell’80 per cento della superficie catastale, pari a mq. 487, dato quest’ultimo ricavabile dal DOCFA e rispondente ai criteri generali di cui alle “Norme tecniche per la determinazione della superficie catastale delle unità immobiliari a destinazione ordinaria”, non già in ragione dell’80 per cento della (minore) superficie di mq. 371, riferibile alla consistenza catastale dell’immobile, dato quest’ultimo ricavabile dalla planimetria catastale versata in atti e ritenuta non rilevante ai fini del calcolo della base imponibile Tarsu».

ADEGUAMENTO CONSENTITO

Una tesi ritenuta corretta e condivisibile alla luce della norma del 2005, che «ha stabilito che la superficie di riferimento, ai fini della determinazione della Tarsu, non può essere inferiore all’80 per cento della superficie catastale (per le unità immobiliari urbane di proprietà privata a destinazione ordinaria) e previsto che i Comuni modifichino d’ufficio le superfici denunciate dai contribuenti ai fini della tassazione, che risultino inferiori alla predetta percentuale».

Resta in capo ai contribuenti la possibilità di dichiarare una superficie inferiore, ma in questo caso è necessario documentare adeguatamente la diversa misurazione dichiarata. Sta di fatto che il ristoratore ischiano non si è avvalso di tale possibilità, «essendosi limitato a contestare il metodo di calcolo della maggiore superficie tassabile eseguito dal Comune di Ischia e la stessa base documentale presupposta dall’avviso di accertamento, ma non ha fornito alcuna prova della diversa (mq. 297) superficie imponibile dichiarata». Un giudizio fin qui favorevole al Comune di Ischia.

TRE CONTENZIOSI PER LO STESSO IMMOBILE

In ultimo l’Ente ha sostenuto che la CTR ha «erroneamente richiamato un giudicato esterno formatosi sulla sentenza del 2015 della CTP di Napoli, sulle medesime questioni di fatto e di diritto, relativamente all’annualità d’imposta 2011, in base ad una semplice copia del provvedimento giudiziario, priva di alcuna attestazione, sentenza, in effetti, divenuta definitiva (7/2/2017) soltanto in epoca successiva alla data (13/12/2016) di tenuta della pubblica udienza di discussione del giudizio di gravame».

Per la Corte questa censura «investe l’affermazione del giudice di appello circa l’esistenza di un giudicato esterno favorevole alla tesi del contribuente», sentenza peraltro prodotta nel giudizio d’appello dal contribuente in semplice copia. Inoltre il Comune «invoca, altresì, altra pronuncia di segno diverso, per l’annualità d’imposta 2009, intervenuta sempre tra le stesse parti; si tratta della sentenza del 2016 della CTR della Campania, depositata il 7/9/2016 e divenuta definitiva in data 7/2/2017».

La Cassazione in questo caso conferma la propria giurisprudenza ritenendo «che la parte non può far valere, quale giudicato, la decisione definitiva, adottata in un altro giudizio, riguardante lo stesso tributo, ma riferito a diverse annualità, poiché, in relazione alle imposte periodiche, come è la Tarsu, l’effetto vincolante del giudicato esterno è limitato ai casi in cui vengano in esame fatti integranti elementi costitutivi della fattispecie che si estendono a una pluralità di periodi di imposta, avendo carattere tendenzialmente permanente o pluriennale, non anche quando il precedente risolva la controversia guardando a vizi formali dell’atto o valutando elementi variabili e suscettibili di cambiare nel corso del tempo».

E infatti nel caso in esame «si verifica proprio quest’ultima ipotesi, tenuto conto che la superficie tassabile può subire variazioni da un anno all’altro, ad esempio, a seguito di lavori edili che portino cambiamenti nella estensione e nella destinazione dei diversi vani occupati». L’ultimo motivo è stato rigettato, ma la questione non è determinante. Il collegio ha infatti cassato la sentenza della CTR nei limiti di quanto evidenziato. In pratica un rigetto dell’originario ricorso del ristoratore, che dovrà dunque rassegnarsi a pagare quella Tarsu nella misura calcolata dal Comune.

Contestazione carente

«… essendosi limitato a contestare il metodo di calcolo della maggiore superficie tassabile eseguito dal Comune di Ischia e la stessa base documentale presupposta dall’avviso di accertamento, ma non ha fornito alcuna prova della diversa (mq. 297) superficie imponibile dichiarata»

Il calcolo

Peril Comune la superficie tassabile doveva essere determinata sull’80 per cento della superficie catastale, pari a mq. 487 e non sull’80 per cento della (minore) superficie di mq. 371

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