lunedì, Dicembre 23, 2024

L’amore per i figli. Psicologicamente di dr. Enzo Sarnelli

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Psicologicamente di dr. Enzo Sarnelli | Nasciamo vulnerabili e abbiamo bisogno di essere accuditi e nutriti. Crescendo il bambino per vivere, necessita delle figure adulte di riferimento. La madre rappresenta la prima sorgente di vita, con il suo sguardo benevolo, comunica sentimenti di sicurezza, di amorevolezza, di fiducia, che lentamente il piccolo interiorizzerà. In queste condizioni, la mente della madre genera i legami affettivi, essenziali per la costruzione dei sentimenti di sicurezza e di fiducia. Il bambino si sente visto e riconosciuto come una parte integrante del sistema familiare.

Mattone dopo mattone, ha inizio una lunga trasformazione fisica e mentale; il piccolo inizia a co-creare i significati vitali per la sua esistenza, contatta le emozioni di meraviglia e di felicità. La madre funzionerà come una presenza continua, un facilitatore dei bisogni del piccolo, favorirà la formazione della fiducia di base, che permetterà di guardare e sentire il mondo con occhi curiosi e sicuri. Quando il processo di crescita biologico procede alla pari con lo sviluppo della “mente relazionale”, il bambino sarà in grado di percepirsi forte e quindi in grado di costruire anche la sua felicità di base. Il padre interviene in questa dinamica dopo che la madre ha avviato tutte le procedure di attaccamento sicuro con il figlio.

Solo adesso il piccolo è in grado di regolare e accettare la presenza della figura paterna. Il quale ha il compito di condurre il figlio verso l’esplorazione e la conoscenza del mondo. Attraverso l’esplorazione, il bambino impara la modalità di entrare in contatto con le esperienze della vita, ma anche di autoregolarsi rispetto al nuovo che gli si presenta. Dalla esplorazione, ovvero dall’incontro relazionale con altri bambini, si modella l’identità individuale, che apprenderà cos’è l’affettività, le relazioni e anche la sessualità. Andare nel mondo con occhi fiduciosi e sicuri della propria identità, significa relazionarsi con una mente aperta, capace di entrare in intimità con l’altro da me. Sentirsi al sicuro, nell’incontro con una persona a me non familiare, non è così scontato per tutti. Se il legame di attaccamento è di tipo sicuro, l’individuo sarà felice di muoversi e di sperimentarsi all’interno delle molteplici situazioni che si presenteranno.

Anche in prossimità di una relazione intima, la persona sarà se stessa, senza avere paura di ciò che sta emergendo per la prima volta da una situazione completamente nuova. Sentirsi al sicuro quando inizia l’intimità, significa esporsi, contattare l’altro, rischiare di essere sé stessi. Cosa accade quando il bambino non è posto nelle condizioni di crescere in un ambiente accudente?
Il piccolo sente la mancanza nel corpo e poi inizia a commentare dentro di sé, lentamente mette i mattoni del pensiero insicuro, ambivalente, che lo confonde e attiva nuclei di paura. Non avendo la fiducia di base, si tende ad essere prevenuti, sfuggendo le condizioni della vita, possono trascorrere anni senza entrare in intimità con le persone. Si tende a regredire all’infanzia, a quella paura atavica per l’intimità ed è proprio a questo punto che mettiamo in scena delle situazioni paradossali; l’impossibilità narrativa che ci rende evitanti e che ci fa dire “ma che strano, proprio a me che desideravo tanto amare una persona!”.

Forse era la mia parte conscia che lo voleva, ma il mio inconscio non ha autorizzato tale movimento perché non lo sentiva, non lo riconosceva. Come possiamo notare, è nella famiglia d’origine, che vediamo, sentiamo e poi apprendiamo i modelli operativi comportamentali. Poi la scuola, la cultura e le relazioni completeranno la strutturazione del quadro psicologico dell’individuo. Quando affermiamo che i figli sono lo specchio dei genitori, stiamo dicendo che il bambino nasce e si sviluppa all’interno del nucleo familiare. Per poter sopravvivere necessita dell’amorevolezza, delle cure primarie del caregiver (accudente). Il cervello dell’uomo termina il suo sviluppo a circa 24 anni e per poterlo fare, ha bisogno di sperimentarsi all’interno di contesti significativi, rappresentati dall’ambiente familiare, dalla Scuola, dal gruppo dei pari e dalle esperienze della vita.

Luoghi in cui apprende e confronta i modelli operativi precedentemente appresi, integrandoli, modificandoli in comportamenti adattivi. Il bambino di ieri diventerà l’adulto di domani, il problema di un genitore se non risolto, inevitabilmente sarà messo in scena dai figli. Sarà fonte di sofferenza per quel bambino non visto come tale ma adultizzato per far fronte alla sopravvivenza degli adulti. Nella mente del bambino è meglio pensare di essere un cattivo bambino, ma con un buon genitore e non di essere un bravo bambino con cattivo genitore. Questa dinamica non è altro che la manifestazione del contesto familiare, sociale, scolastico, relazionale in cui è vissuto. Dovremmo riflettere sulla vera missione dell’adulto inteso come Autorità, del suo raggio d’azione, della sua intenzionalità a prendersi cura degli altri o a sottomettere, sfruttandoli per un proprio vantaggio.

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