lunedì, Gennaio 20, 2025

Ricostruzione dell’Isola d’Ischia, la disciplina attuativa. La struttura del Piano e gli interventi per le diverse tipologie di edifici. 3a puntata

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Le indicazioni per le modalità di recupero o ricostruzione. Individuati 213 fabbricati da demolire. Rendere funzionali e fruibili le strutture pubbliche inutilizzate a seguito del sisma. La destinazione degli spazi aperti pubblici o da acquisire

Il Piano di ricostruzione dell’Isola d’Ischia «si basa su di una “disciplina ordinaria”, rappresentata nello “schema direttore”, di livello generale, e in una “disciplina attuativa”, elaborata a una scala di maggiore dettaglio». La disciplina ordinaria identifica due ampie zone territoriali: ATO1, composta da aree gravate da condizioni di pericolo elevato e molto elevato; ATO2, di riqualificazione e possibile ricollocazione degli abitanti provenienti dall’ambito territoriale omogeneo n.1, mediante il riutilizzo di immobili esistenti. La disciplina attuativa norma tre fattispecie di aree, tracciati ed elementi».

LA CLASSIFICAZIONE DELLE COMPONENTI EDIFICATE

«Le componenti edificate si distinguono in: a) edifici e aggregati di interesse culturale; b) edifici e aggregati di valore storico-testimoniale; c) edifici e aggregati riparabili/ricostruibili a parità di sedime; d) edifici e aggregati ricostruibili con differente sedime; e) edifici e aggregati non ricostruibili; f) altri edifici e aggregati riparabili; g) edifici e aggregati da demolire per la realizzazione di interventi pubblici; h) attrezzature pubbliche.

La classificazione di cui ai punti a), b), c), d), e), g), riportata nelle tavole DA2 “Categorie di intervento”, riguarda le seguenti fattispecie: 1) edifici e aggregati fortemente danneggiati, per i quali è stabilito un livello operativo “L4”; 2) edifici e aggregati oggetto del Piano commissariale delle Demolizioni degli edifici danneggiate; 3) edifici e aggregati oggetto di istanza di delocalizzazione volontaria da parte dei proprietari; 4) altri edifici interessati da opere pubbliche previste dal PdRi e da Piani e altri provvedimenti dell’Autorità di Bacino Distrettuale dell’Appennino Meridionale e del Commissariato Straordinario per la ricostruzione.

La classificazione di cui al punto f), riguarda gli edifici non danneggiati o con livello operativo “L1”, “L2”, L3”, per i quali il Piano prevede, salvo quanto riportato al comma seguente, la possibilità di realizzare le opere di recupero previste, per ogni sub-ATO, nella Parte 2 delle presenti Norme. Per gli immobili così classificati, edificati prima del 1945, sono consentiti interventi di recupero fino alla categoria di cui al punto c) dell’art. 3 del Dpr 380/2001 (restauro e risanamento conservativo); per gli edifici di recente costruzione sono invece consentiti anche interventi di ristrutturazione edilizia, punto d), dell’art. 3 del Dpr 380/2001. A esclusione degli edifici e degli aggregati di cui ai punti e) e g), è facoltà del proponente, in fase di progettazione architettonica delle opere di ricostruzione/riparazione, avanzare, sulla base di una più dettagliata conoscenza dello stato dei luoghi e della loro evoluzione storica, una differente tipizzazione dell’immobile rispetto alle classificazioni imposte dal piano, nel rispetto comunque delle norme generali».

INTERESSE CULTURALE E VALORE STORICO
«La disciplina attuativa prevede, per le singole componenti edificate, quanto segue:

Edifici e aggregati di interesse culturale. Manufatti di emergente valore storico testimoniale, archeologico, artistico e culturale. Tali edifici e aggregati sono da recuperare nel rispetto di quanto stabilito nell’eventuale provvedimento di vincolo su di essi presente.

Edifici e aggregati di valore storico-testimoniale. Manufatti costituenti parte fondativa dei Rioni baraccati realizzati nell’ambito della Ricostruzione di fine ‘800. Tali edifici e aggregati sono da recuperare con interventi tali da assicurare, mediante un insieme organico di opere, il rispetto dei caratteri tipologici e il mantenimento degli elementi architettonici e decorativi, come nel seguito precisato: a) la salvaguardia delle caratteristiche tipologico-distributive, esemplificativamente elencate: nel caso di tipi edilizi di base, con ambienti modulari (edifici residenziali, ricettivi, con- ventuali, ecc.): gli spazi comuni, i collegamenti verticali e orizzontali di uso comune (androni, corridoi primari, scale, scaloni, portici, loggiati); nel caso di tipi edilizi speciali, ad aula (come le chiese): il modulo a carattere preminente, destinato a funzioni assembleari e i suoi rapporti con gli elementi a esso subordinati; b) la salvaguardia delle murature esterne ed interne, caratterizzate dalla tipica struttura alla beneventana, dei solai e dei vani scala, con l’impiego preferenziale di tecniche di consolidamento e materiali tradizionali. È ammessa l’apertura e la rettifica delle bucature esterne solo sui prospetti interni, in modo coerente al partito decorativo-architettonico. È ammessa la modifica delle aperture sui prospetti visibili dallo spazio pubblico solo a fronte di idoneo studio storico-tipologico atto a dimostrare che l’intervento possa configurarsi come un ripristino dello spartito architettonico originale. È ammessa l’apertura di vani porta nelle murature interne, sempre che tali aperture non interferiscano con i telai strutturali e con eventuali decorazioni e superfici murarie di pregio; c) il restauro di tutti i fronti esterni e visibili dallo spazio pubblico, salvaguardando sia i materiali originari impiegati, sia la loro organizzazione, sia infine i singoli elementi decorativi.

Sono considerate “superfetazioni” le aggiunte orizzontali e verticali realizzate nel tempo con caratteri o materiali difformi rispetto a quelli dell’organismo edilizio originario di appartenenza. Le superfetazioni possono essere congrue: risultato di aggiunte verificatesi con tecniche e forme tradizionali e storicamente consolidate con un livello di integrazione accettabile riguardo alle unità edilizie di appartenenza; incongrue: risultato di aggiunte recenti, realizzate con marcate difformità́ di scala e proporzioni e con l’uso di tecniche, materiali e finiture che contrastano fortemente con le rispettive unità edilizie di appartenenza e con l’ambiente circostante.

Le superfetazioni congrue vanno mantenute e le superfici esterne trattate in modo da risultare leggibili, e quindi distinte, ad esempio mediante tinteggiatura sottotono. Le superfetazioni incongrue vanno demolite a meno che non siano oggetto di un intervento volto al miglioramento e all’armonizzazione. La scelta dei colori da utilizzare… dovrà essere rapportato a un’analisi stratigrafica degli intonaci mirata al recupero delle tracce di tinteggiatura originaria reperibili; in mancanza di riscontri certi, si raccomanda di attenersi alla gamma dei colori presenti nella tradizione locale (tonalità di bianco, grigio, ocra, rosa pallido, giallo murillo…)».

EDIFICI E AGGREGATI RICOSTRUIBILI

«Edifici e aggregati riparabili/ricostruibili a parità di sedime. Manufatti che conservano il medesimo sedime storico rilevabile nell’assetto ottocentesco e/o nell’ortofoto del 1943. Per tale categoria di manufatti, gli interventi di recupero o di ricostruzione – laddove non fattibile il recupero dell’esistente – si realizzeranno nel rispetto delle seguenti prescrizioni: senza modifiche dell’impianto planimetrico (sedime) e degli allineamenti, con possibili lievi modifiche della sagoma storicamente accertata, per meglio inserire l’edificio nel contesto storico o per eventuali esigenze di messa in sicurezza sismica; nel rispetto delle caratteristiche tipo-morfologiche preesistenti, dell’edificio o dell’aggregato; nel rispetto delle caratteristiche architettoniche.

Edifici e aggregati ricostruibili con differente sedime. Manufatti “di recente formazione”, posti sia all’interno che all’esterno degli ambiti della “città storica”. Per tale categoria di manufatti, gli interventi di recupero o di ricostruzione possono anche comportare la ristrutturazione edilizia con determinazione di una diversa sagoma plani-altimetrica. Per gli edifici e gli aggregati così classificati localizzati nell’ambito della “città storica”, le modifiche di sedime e di sagoma sono volte, prioritariamente, al conseguimento di una morfologia architettonica sismo-resistente, comunque compatibile con le caratteristiche paesaggistiche ischitane».

EDIFICI E AGGREGATI NON RICOSTRUIBILI

«Si tratta di numero 53 edifici, non ricostruibili né riparabili, per ragioni dovute alla presenza di condizioni di danneggiamento e rischio, nonché opportunità relative alla realizzazione di interventi pubblici atti alla messa in sicurezza, al miglioramento della dotazione infrastrutturale, anche con finalità di Protezione civile, e alla riqualificazione urbanistica e ambientale. L’area derivante dal crollo e/o dalla demolizione, comprese le relative pertinenze scoperte, è acquisita alla proprietà pubblica e destinata al ripristino delle condizioni di naturalità del sito o alla realizzazione di infrastrutture e spazi pubblici.

Edifici e aggregati da demolire per la realizzazione di interventi pubblici. Si tratta di numero 160 edifici che il PdRi considera necessario acquisire alla proprietà pubblica, al fine di consentire, previa loro demolizione, la realizzazione di opere di messa in sicurezza, il miglioramento della dotazione infrastrutturale anche con finalità di Protezione civile, la riqualificazione urbanistica e ambientale degli insediamenti preesistenti».

ATTREZZATURE PUBBLICHE

«Manufatti, e relative pertinenze, destinati al reperimento delle attrezzature pubbliche: istituti scolastici e attrezzature di interesse comune. Una parte di questo patrimonio pubblico è oggi inutilizzato a causa dei danni subiti dal sisma del 2017. Nelle tavole DA3 “Disciplina di dettaglio”, le attrezzature pubbliche sono distinte in due fattispecie: attrezzature pubbliche di interesse architettonico o storico-testimoniale, per le quali è disposto il recupero dell’edificio esistente mediante interventi di manutenzione, restauro e risanamento conservativo, ristrutturazione edilizia, non comportanti modifica dei caratteri architettonici e della tipologia edilizia, originari o storicizzati. Attrezzature pubbliche, per le quali sono consentiti anche interventi di ristrutturazione edilizia con ricostruzione, anche solo parziale, con diversa sagoma. Le attrezzature pubbliche esterne all’ATO 1 sono utilizzabili – previa verifica da parte della Protezione Civile ed eventuale adeguamento – come strutture di interesse strategico per l’emergenza».

SPAZI APERTI PUBBLICI

«Il Piano distingue tra i seguenti tipi di spazi aperti, pubblici o da acquisire/assoggettare all’uso pubblico: a) viabilità di valenza storica e panoramica, da qualificare e caratterizzare prevalentemente come spazio pubblico pedonale e ciclabile ma utilizzabile, in fase di emergenza, anche per finalità di protezione civile; b) viabilità strategica ai fini dell’emergenza, composta da tratti stradali esistenti da adeguare e l’individuazione di limitati tratti stradali di nuova realizzazione, atti ad assicurare una maggiore ridondanza sistemica e a favorire, in fase di non emergenza, la limitazione del traffico carrabile di attraversamento in spazi urbani di rilevante valore storico e artistico; c) passeggiate pedonali, mulattiere e sentieri; d) parcheggi pubblici, attrezzati allo scopo di eliminare la sosta dei veicoli lungo le strade, negli slarghi e nelle piazze, favorendo la limitazione del traffico negli abitati storici. I parcheggi, realizzati in modo tale da consentire lo svolgimento di diverse funzioni, svolgono il ruolo di spazi sicuri primari, di attesa per la popolazione in caso di emergenza; e) piazze e slarghi, costituiscono il cuore degli insediamenti, preesistenti o di nuova configurazione; f) parchi pubblici attrezzati, con valenza di spazio per il gioco, lo sport e il tempo libero, anche con caratterizzazione di parco termale all’aperto.

Spazi aperti privati – Il PdRi fornisce direttive di dettaglio anche per gli spazi aperti privati, la cui sistemazione e cura è fondamentale sia per garantire il corretto equilibrio idrogeologico dei versanti, adattando gli spazi al cambiamento climatico e mitigandone gli effetti, sia per promuovere un’opera di riqualificazione ambientale e paesaggistica diffusa».

TUTELA DEL SUOLO E DELLA VEGETAZIONE

«La tutela dello spazio aperto permeabile rappresenta anche un elemento cruciale della strategia di prevenzione dei rischi ambientali legati al vulcanismo, ai terremoti, alle dinamiche idrogeologiche, agli incendi. Per la prevenzione e mitigazione dei fenomeni franosi ed erosivi sono, in particolare, consentiti interventi di consolidamento con tecniche di bioingegneria (ingegneria naturalistica). Particolare attenzione è prestata ai muri a secco, le tradizionali “parracine”.

Per quanto attiene ai litorali, nel rispetto delle norme dell’Ambito di Tutela del PPR, sono fornite specifiche prescrizioni volte a impedire l’impermeabilizzazione e la artificializzazione delle aree demaniali costiere, a contrastare i fenomeni di erosione e a tutelare e migliorare l’accessibilità pubblica».

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