In occasione del nuovo anno pastorale della Chiesa di Ischia, il Vescovo Carlo Villano, nel presiedere la Santa Messa convocata per l’occasione, ha tenuto un’omelia che, come ogni anno, è un po’ la fotografia dello stato di salute della chiesa cattolica sull’isola. Un’omelia che, come ci ha abituato l’altro Carlo della diocesi ischitana rappresenta un momento di riflessione comunitario.
Le parole, coerente al suo stile, sono sempre chiare e ben calibrate anche al momento sociale che coinvolge l’isola. Il richiamo alle “periferie esistenziali” con cui dobbiamo fare i conti è un segnale forte. Chi scrive non è cattolico, tuttavia riconosce ed identifica una forte attualità sociale al richiamo che pronuncia il numero uno del mondo cattolico sull’isola. Parole che scuotono il silenzio istituzionale calato su certi aspetti della nostra società e richiama l’attenzione di molti. Parlando ai suoi preti, Carlo alza i toni: “mettere da parte quelle sicurezze tante volte artatamente costruite, per saper condividere i non facili cammini degli uomini e delle donne di oggi; significa saper condividere quelle periferie esistenziali che devono tornare ad essere al centro della vita della Chiesa di oggi e di domani”. Parole che scuotono un’isola che fa i conti con diverse periferie e con a certi tipi di cronaca – quelli che noi abbiamo deciso di pubblicare con molta relatività considerando la loro enorme pericolosità di “contagio” – che ne rappresentano la punta.
L’OMELIA
“Sogno una scelta missionaria – esordisce Villano – capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione. La riforma delle strutture, che esige la conversione pastorale, si può intendere solo in questo senso: fare in modo che esse diventino tutte più missionarie, che la pastorale ordinaria in tutte le sue istanze sia più espansiva e aperta, che ponga gli agenti pastorali in costante atteggiamento di “uscita” e favorisca così la risposta positiva di tutti coloro ai quali Gesù offre la sua amicizia. Come diceva Giovanni Paolo II ai Vescovi dell’Oceania, «ogni rinnovamento nella Chiesa deve avere la missione come suo scopo per non cadere preda di una specie d’introversione ecclesiale» (EG). Carissimi fratelli e sorelle della Chiesa che è in Ischia, prendo a prestito queste parole che papa Francesco scrive in Evangelii Gaudium, le faccio mie e le rilancio a tutti quanti noi”.
IL PENSIERO DEI GIOVANI
“Nella scorsa lettera pastorale – continua – ho messo al centro della nostra riflessione l’importanza della Parola di Dio e di come da questa Parola incarnata nascono poi tutti i Sacramenti che noi celebriamo e viviamo nel nostro tessuto di fede ed ecclesiale. Già dall’ascolto sinodale della nostra Chiesa emergono con forza questi punti che sopra abbiamo richiamato: una maggiore consapevolezza della Parola di Dio ed il sogno di una Chiesa che sappia rinnovarsi (rendersi nuova) perché, sempre fedele alla Tradizione, posa parlare agli uomini ed alle donne di oggi. Permettete che, oggi, in maniera particolare possa volgere il mio pensiero ai tanti ragazzi, ragazze e giovani di questa nostra amata e bella isola; curare i nostri ragazzi significa avere a cuore non solo il presente, ma anche il futuro delle loro giovani vite. Come cristiani, allora, volgendo il nostro pensiero al sogno di Dio per la nostra Chiesa, siamo chiamati anche noi a saper sognare per poter esprimere il volto di una Chiesa che sia sempre più missionaria: si, carissimi amici, siamo chiamati ad essere missionari, qui ed ora, qui ed ora ad Ischia. Ma quale volto assume per noi oggi il sogno di una Chiesa missionaria? È stesso papa Francesco, nelle parole che abbiamo ascoltato sopra, a darci un indirizzo, una direzione. Essere oggi missionari significa avere il coraggio di mettersi in gioco, saper uscire da sé stessi, mettere da parte quelle sicurezze tante volte artatamente costruite, per saper condividere i non facili cammini degli uomini e delle donne di oggi; significa saper condividere quelle periferie esistenziali che devono tornare ad essere al centro della vita della Chiesa di oggi e di domani”.
RITORNARE ALLA CHIESA DOMESTICA
Il vescovo, con parole eleganti, richiama i suoi: “Essere missionari significa capacità di saper accompagnare l’altro: forse occorre ritornare a quella Chiesa domestica che, più che indicare un luogo, sta ad indicare una rinnovata dimensione ecclesiale. La dimensione di chi è attento alla vita dell’altro, la dimensione di chi non si lascia prendere dallo stile dell’indifferenza. Volendo prendere a prestito quella che forse è l’espressione che rappresenta la cifra dell’esistenza pastorale di don Lorenzo Milani, dovremmo tutti, questa sera, poter dire I care: mi interessa, mi interessa la realtà che abito, mi interessa la vita di chi mi è accanto, mi interessa la persona che ho accanto, mi interessa la vita di questa Chiesa, la sua vita pastorale, la sua capacità di diventare chiesa domestica in cui tutti siamo prossimi gli uni gli altri: nessuno, in questa chiesa, in questa isola, mi è indifferente. Tutto questo, allora, è l’esatta negazione di una fede che guarda alla massa, di una fede che guarda l’altro in termini puramente numerici e non di fraternità. Questo è lo stile missionario che sogniamo per la nostra Chiesa, questo è lo stile di una Chiesa in uscita”.
UNA CHIESA NON RIPIEGATA SU SE STESSA
I bisogni collettivi, la dimensione sociale nella quale la chiesa cattolica è calata diventa un’altra fase di riflessione. Parole pesate per evidenziare come ci sia la necessità di lasciare la “propria comodità”: “Riprendo ancora le parole di papa Francesco in Evangelii Gaudium: “Nella Parola di Dio appare costantemente questo dinamismo di “uscita” che Dio vuole provocare nei credenti. Abramo accettò la chiamata a partire verso una terra nuova (cfr Gen 12,1-3). Mosè ascoltò la chiamata di Dio: «Va’, io ti mando» (Es 3,10) e fece uscire il popolo verso la terra promessa (cfr Es 3,17). A Geremia disse: «Andrai da tutti coloro a cui ti manderò» (Ger 1,7). Oggi, in questo “andate” di Gesù, sono presenti gli scenari e le sfide sempre nuovi della missione evangelizzatrice della Chiesa, e tutti siamo chiamati a questa nuova “uscita” missionaria. Ogni cristiano e ogni comunità discernerà quale sia il cammino che il Signore chiede, però tutti siamo invitati ad accettare questa chiamata: uscire dalla propria comodità e avere il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo”. Siamo allora chiamati a vivere questa sempre rinnovata dimensione ecclesiale di una chiesa in uscita nello stile di chi vive una chiesa che non è ripiegata su sé stessa, ma una chiesa che è pronta a rendere sempre ragione di quella speranza che è in noi. Abbiamo bisogno di formazione, abbiamo bisogno di formare sempre la nostra vita di fede. La formazione permanente non riguarda allora soltanto i sacerdoti ma, dallo stesso ascolto sinodale, è lo stesso popolo di Dio, a chiedere di vivere percorsi di formazione che sappiano coniugare vita e vangelo, percorsi di formazione che siano, appunto, permanenti, durano quanto dura la nostra vita”.
IL RICHIAMO ALLE STRUTTURE: “INCONTRIAMO GLI UOMINI E LE DONNE”
Villano, facendosi aiutare dal racconto del “sogno”, traccia un bilancio di quelle che sono le varie ramificazioni sul territorio della Diocesi. Una riflessione, pacata e seria, che accende uno spot dal quale è difficile venire fuori: ““Questo sogno della Chiesa diventa il sogno, è il sogno, di strutture ecclesiali che siano al servizio della evangelizzazione. Tutte le strutture ecclesiali sono al servizio della evangelizzazione; penso alle nostre strutture della Curia, delle nostre comunità parrocchiali, delle numerose congreghe presenti nella nostra isola. Ma il mio pensiero corre anche al Centro Giovanni Paolo II, al Centro Papa Francesco, a Villa Joseph, alla Cittadella della Carità, al Consultorio diocesano, alla casa S. Maria della tenerezza: ma queste strutture sono al centro della vita della nostra Chiesa? Sono strutture che pongono al centro l’uomo e la donna di oggi sapendoli incontrare nei loro percorsi di fede, di vita? Vorrei, allora, insieme con voi, recuperare questa categoria della Speranza, che ci accompagnerà nel cammino giubilare della Chiesa in questo nuovo anno che si apre dinanzi a noi: siamo chiamati ad essere pellegrini di speranza”.
“NON VIVERE SONNI TRANQUILLI”
Le parole del Vescovo, benché rivolte ai sacerdoti dell’isola, sembrano superare i confini della chiesa. Quando le abbiamo lette le abbiamo evidenziate. Sono parole che descrivono, bene, i tempi che viviamo. E se con uno sforzo sostituiamo l’ambito ecclesiale a quello politico, Villano ci sbatte in faccia la verità: “Carissimi, il tempo che viviamo credo stia ad indicare la necessità di non vivere sonni tranquilli, di non dirci che tutto va bene perché le nostre chiese sono più o meno piene; che le nostre celebrazioni vedono una affollata partecipazione. Dobbiamo domandarci: “e le persone che stanno fuori, e le persone, i giovani che non vivono la nostra appartenenza ecclesiale, dove sono? Chi di noi lascia la pecora nell’ovile e va alla ricerca delle novantanove che sono fuori dal recinto?”. Carissimi, la parabola del padrone che chiama operai a lavorare nella sua vigna ad ogni ora del giorno ci esorta a dare valore al tempo; abbiamo dalla nostra la necessità, l’urgenza, di uscire per riannunciare il Vangelo, annunciare quelle parole di vita che danno speranza perché abbiamo incontrato il Signore. Riprendo ancora le parole di papa Francesco in Evangelii Gaudium, che fa da sfondo a questa breve riflessione, a questa esortazione per la nostra Chiesa di Ischia. La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia. In questa Esortazione desidero indirizzarmi ai fedeli cristiani, per invitarli a una nuova tappa evangelizzatrice marcata da questa gioia e indicare vie per il cammino della Chiesa nei prossimi anni”.
Questo porci in ascolto del Magistero, questa capacità di cogliere la potenzialità di una Parola che noi in alcun modo possiamo prevedere (cf EG) è, per la nostra Chiesa, seguire quella bussola che ci fa muovere passi belli e certi verso quel sogno che Dio ha per tutta la Chiesa, per tutte le nostre chiese.
CONCLUSIONE E CATECHISMO
“La Chiesa deve accettare questa libertà inafferrabile della Parola, che è efficace a suo modo, e in forme molto diverse, tali da sfuggire spesso le nostre previsioni e rompere i nostri schemi” (EG). Il Signore, dunque, ci aiuti ad accogliere la forza dirompente della Parola perché essa possa rompere gli schemi umani e possa farci entrare, sempre più, nel disegno di Dio. La Parola di Dio è parola incarnata, un annuncio che si serve sempre della mediazione umana, delle nostre categorie, dei nostri pensieri, dei nostri modi di essere. Risulta evidente che questa opera di mediazione ha sempre bisogno di un aggiornamento pastorale, di un saper trovare nuovi linguaggi per saper parlare agli uomini ed alle donne di ogni tempo e di ogni dove; quell’annuncio di una Parola antica ma sempre nuova perché eterna. Un aggiornamento che porta con sé i pregi, ma anche i limiti, di una mediazione umana, di una parola umana che è espressione di una parola che è di Dio.
Carissimi fratelli e sorelle della Chiesa di Ischia, quanta grazia, quanta grazia di Dio vedo in questo cammino che il Signore ci sta indicando. Proviamo a rifletterci insieme: il Signore, verbo incarnato, parola fatta carne, chiede a noi, nella nostra carne, nella nostra umanità, di assumere, vivere ed annunciare la Sua Parola. È come se il Signore in questo momento ci stesse dicendo di essere la sua carne; quella eucarestia che celebriamo e mangiamo e per cui ancora e sempre più siamo in comunione con Lui, chiede a noi di essere espressione di parola e di carne. Quanta grazia, quanta responsabilità il Signore mette nelle nostre mani. E noi questa responsabilità la vogliamo prendere, la vogliamo assumere su di noi seppure nella consapevolezza che, questa Chiesa di Dio, a noi affidata, è sempre nelle mani del Signore. Cara Chiesa di Ischia, Chiesa circondata dal mare, non aver paura di prendere il largo, non aver paura di gettare le reti, perché una pesca nuova possa essere annuncio di vita e di resurrezione per il nostro popolo!”