Attori & Spettatori di Anna Fermo | I dati personali sono oggetto di un mercato illegale che in Italia ha raggiunto proporzioni spropositate: è questa la certezza che in questi giorni sta sconvolgendo il mondo politico quanto imprenditoriale e non solo nel nostro paese.
Le indagini della Dda, direzione distrettuale antimafia, di Milano e della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, in queste ore stanno portando ad una serie di arresti e perquisizioni che fanno tremare un intero sistema creato per far soldi facili in quantità illimitate in pieno spregio delle leggi.
Pensare che non sono molto lontani i giorni in cui Giorgia Meloni ne parlava a Bruno Vespa per il suo ultimo libro: «Le inchieste dicono che il dossieraggio su di me è cominciato già alla fine del governo Draghi quando si capiva che sarei potuta andare al governo. Sulla vicenda mi aspetto che la magistratura vada fino in fondo, perché, nella migliore delle ipotesi, alla base di questo lavoro c’era un sistema di ricatto ed estorsione, ma nella peggiore siamo davanti al reato di eversione. Nessuno Stato di diritto può tollerare una cosa del genere». Il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, aveva tra l’altro dato mandato al capo della polizia di acquisire dall’autorità giudiziaria tutti gli atti di indagine utili per avviare verifiche «su ipotizzati accessi abusivi alle banche dati del ministero o sull’utilizzo illecito delle stesse». Il Viminale attivava addirittura una commissione di specialisti per definire eventuali ulteriori misure e procedure a protezione delle strutture informatiche interforze. Ed ecco cosa sta succedendo!
“Un pericolo per la democrazia di questo Paese”: ne è convinta la Dda di Milano che con l’indagine che venerdì scorso ha portato a quattro arresti e due sospensioni dal servizio, ha iniziato a smantellare un network di presunti spioni guidato dall’ex super poliziotto Carmine Gallo, braccio operativo di Enrico Pazzali, il presidente di Fondazione Fiera e titolare di Equalize, la società di investigazione perno di una attività di dossieraggio a livello industriale, per i magistrati “inquietante”, in quanto avrebbe potuto essere in grado di “tenere in pugno” cittadini e istituzioni” e “condizionare” dinamiche “imprenditoriali e procedure pubbliche, anche giudiziarie”.
Per la Dda di Milano le società riconducibili al gruppo di hacker, che avrebbero fabbricato dossier attraverso dati e informazioni segrete, avrebbero incassato per ora un totale di oltre 3,1 milioni di euro di “profitti illeciti”, di cui oltre 2,3 milioni la sola Equalize srl.
Le accuse al centro dell’inchiesta sono associazione per delinquere, accesso abusivo a sistema informatico, intercettazioni abusive, corruzione e rivelazione di segreti d’ufficio. La presunta associazione per delinquere avrebbe prelevato dalle banche dati strategiche nazionali informazioni su conti correnti, precedenti penali, dati fiscali, sanitari e altro, evadendo su commissione e dietro compenso, la richiesta dei “clienti”, tra cui soprattutto grandi imprese, studi professionali e legali, interessati a condizionare le attività di loro “concorrenti” con questo “dossieraggio”.
Il procuratore Marcello Viola ha chiarito che l’inchiesta, condotta dai carabinieri del Nucleo investigativo di Varese, è iniziata “nel 2022” ed ha messo in luce una “articolata rete di persone che per finalità di profitto e altra natura ha acquisito e prelevato dati” soprattutto dallo Sdi, ossia la banca dati interforze su precedenti di polizia. Al centro dell’indagine, sono coinvolte “anche altre società”, oltre le tre sequestrate, “dello stesso genere”, ossia che si occupano di investigazioni e analisi del rischio, anche per conto di imprese, e che avrebbero seguito un binario illecito di raccolta dati per quei dossier. E così sarebbero state raccolte “informazioni anche pregiudizievoli su persone”, società e imprese. La Procura aveva chiesto 16 misure cautelai su un numero di “60 indagati”. Erano i “pubblici ufficiali”, cioè gli appartenenti alle forze dell’ordine coinvolti, ad avere “le credenziali per l’accesso” alle banche dati strategiche. L’organizzazione, è stato chiarito, voleva “realizzare su mandato specifico di clienti”, tra cui “importanti imprese italiane ed estere”, dossier, report, che “a volte venivano camuffati da notizie giornalistiche per nascondere l’origine” illecita del prelevamento di quelle informazioni riservate.
Ci sono anche il gruppo Erg, tramite quattro manager ora indagati, e la Barilla, attraverso il responsabile della sicurezza interna, tra i clienti di Equalize, secondo l’indagine della Dda di Milano e della Dna.
«Credo che non siamo al sicuro e non saremo al sicuro fino a quando la legge e la tecnologia a nostra disposizione non sarà riuscita ad allinearsi con quella della criminalità. In linea generale, tecnologia avanza rispetto alle leggi, in tutti i settori, a partire dalla bioetica, quando si è capito che il confine tra vita e morte non erano compatibili con leggi vigenti. I malintenzionati sono sempre più avanti degli stessi Stati, hanno hackerato anche il Cremlino, servono sforzi per allineare normativa vigente ma anche lavorando di fantasia, prevedendo cosa possono fare senza doverli inseguire»: ha detto il ministro della Giustizia, Carlo Nordio.
Dagli atti dell’inchiesta emerge che nella rete dell’associazione con base in via Pattari, sono finiti migliaia e migliaia di nomi ma anche le più alte cariche del nostro Paese. Cosa che per il ministro Antonio Tajani “è una inaccettabile minaccia alla democrazia” in pericolo anche in quanto le informazioni riservate “possono essere usate da chi è nostro nemico dal punto di vista geo-strategico”.
A destare l’allarme di inquirenti e investigatori è un dialogo intercettato che fa temere che la rete di Gallo e i suoi sodali sia arrivata in qualche modo al Quirinale. Nunzio Samuele Calamucci, parlando con l’ex funzionario di polizia (Gallo), lo ha aggiornato in merito all’invio a “venti persone, più tre mail, una mail intestata a Mattarella, con nome e cognome che se vanno a vedere l’account è intestato al Presidente della Repubblica”.
Spiccano tra gli intercettati nomi importanti, da il presidente del Senato Ignazio La Russa a Letizia Moratti passando per Matteo Renzi, sino a cantanti come Alex Britti, esponenti dell’imprenditoria e persone non note pubblicamente.
La rete che rubava i dati era stata creata tra persone che appartengono o appartenevano alle forze dell’ordine, polizia e guardia di finanza.
Venerdì scorso dunque, i Carabinieri del nucleo Investigativo di Varese hanno eseguito le prime 6 misure cautelari. L’ex poliziotto Carmine Gallo, come abbiamo detto, noto per operazioni contro la ‘ndrangheta, ma anche per la soluzione del sequestro di Alessandra Sgarella, amministratore delegato della Equalize, società di investigazione privata del presidente di Fondazione Fiera Enrico Pazzali, anche lui indagato, è il nome attorno al quale graviterebbe l’intera organizzazione. Arrestati con braccialetto elettronico anche Nunzio Calamucci, Massimiliano Camponovo e Giulio Cornelli, titolari o soci di aziende collegate e specializzate nella sicurezza e nell’informatica. Sospesi dal servizio un finanziere e un agente di polizia. Sotto sequestro le società Equalize, Mercury Advisor srls e Develope and Go srls. Indagati per accesso abusivo alla filiale di Alessandria di banco Bpm sono Matteo e Fabio Arpe, e l’amministratore delegato di Banca Profilo Fabio Candeli.
Il gruppo avrebbe una struttura a grappolo con ogni componente o collaboratore che ha «contatti nelle forze dell’ordine e nelle altre pubbliche amministrazioni» per reperire illecitamente dati.
Enrico Pazzali, presidente della Fondazione Fiera, è anche socio di maggioranza di Equalize: sessantenne, milanese, in area di centrodestra, laureato in Economia aziendale, sposato con due figlie, si presenta come tecnico. Nel 2009 è amministratore delegato di Fiera Milano spa, chiude nel 2015 dopo lo scandalo per le infiltrazioni mafiose tra i fornitori. Passa tre anni a Eur spa di Roma. Torna a Milano nel 2019 da presidente della Fondazione Fiera. Partecipa alla costruzione dell’ospedale Covid. Riceve la massima onorificenza della città: l’Ambrogino d’oro.
Detta con le parole intercettate degli hacker: «Possiamo sputt…re tutta Italia».
Matteo Renzi compare nell’inchiesta. In una intercettazione Carmine Gallo dice: «Caspita, quello va a fare Matteo Renzi!». Calamucci risponde: «Ci rovina…ci manda qua la Finanza, i servizi, i contro servizi!».
Il timore indagando su politici è che scatti un alert, ma non per Calamucci: «La piattaforma attinge facendo il giro…Perché il server ce l’abbiamo a Londra? Perché se lo fai Italia su Italia, ci mettono le manette… In the road, è il nostro segreto… ci dà un vantaggio di anni».
Fra gli spiati e hackerati ci sono anche il presidente del Milan ed ex ad dell’Eni, Paolo Scaroni, il presidente di Cassa Depositi e Prestiti, Giovanni Gorno Tempini, numerosi giornalisti come Giovanni Dragoni del Sole 24 Ore e Giovanni Pons di Repubblica, Virginia von Furstenberg, nipote di Gianni Agnelli, il presidente delle Camere penali, avvocato Domenico Caiazza, Ginevra Caprotti della dinastia imprenditoriale di Esselunga etc. etc..
Per il ministro della Difesa Guido Crosetto: «La cosa più importante sarebbe sapere però se esiste un filo rosso che lega, magari nell’inconsapevolezza degli attori minori, tutte queste, e molte altre, raccolte informative, intrusioni illegittime, inseguimenti, pedinamenti, filmati, fotografie, registrazioni, non autorizzate e non giustificate da nulla di legale e a tutela dell’interesse pubblico. Le dimensioni ormai raggiunte dai fenomeni che stanno emergendo, che per me non sono che la punta dell’iceberg di un malcostume diffusissimo, debbano portare anche il Parlamento ad una riflessione su come vada affrontato, normato ed indagato questo tema, che può gravemente minare la convivenza democratica, influenzandone uno svolgimento corretto. In molti, troppi, ne hanno goduto, in questi anni».
L’inchiesta in corso dice tutto e non credo che possa esserci difesa di alcun genere. Le intercettazioni parlano più di quanto avessero mai fatto in passato, per altre inchieste.
Dossieraggio all’italiana: che vergogna!